Fatta luce su storia criminale del Reventino, Gratteri: "Mandanti omicidi Pagliuso e Mezzatesta attorno a questi indagati" - VIDEO

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Catanzaro - “Da quando mi sono insediato alla Procura di Catanzaro abbiamo arrestato oltre duecento persone per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Le operazioni che sono state effettuate nel territorio di Lamezia Terme hanno ben retto non solo davanti al Riesame ma anche dinnanzi al tribunale di Catanzaro e di Lamezia Terme. Questo ci conforta e dimostra la grande qualità degli investigatori e il livello probatorio che riescono ad apportare in ogni indagine”. Lo ha detto il Procuratore Capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, nel corso della conferenza stampa dell'operazione “Reventinum” che ha portato all'esecuzione di un fermo indiziato di delitto nei confronti di 12 appartenenti alle famiglie di 'ndrangheta Scalise e Mezzatesta, attive nell'area montana del lametino e che avevano scatenato una sanguinosa guerra per il controllo del territorio montano.

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L'indagine, condotta dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Catanzaro e coordinata dal Procuratore Nicola Gratteri e dal sostituto Procuratore, Elio Romano, si è sviluppata nell'ambito degli approfondimenti investigativi inerenti gli omicidi dell'avvocato Francesco Pagliuso e di Gregorio Mezzatesta, perpetrati entrambi con l'aggravante della modalità mafiosa, rispettivamente, a Lamezia Terme la sera del 9 agosto 2016, e a Catanzaro, la mattina del 24 giugno 2017. L'attività investigativa ha consentito di delineare con chiarezza gli assetti storici ed attuali, nonché gli interessi criminali di due distinte e contrapposte cosche derivanti dalla scissione del “Gruppo storico della montagna”, nell'area catanzarese del Reventino compresa tra i comuni di Soveria Mannelli, Decollatura, Platania, Serrastretta e territori limitrofi. In particolare – secondo gli investigatori – fu l'attentato subito da Pino Scalise nel 2001 a determinare la scissione e la formazione di due diverse consorterie. A fronte di una prima fase caratterizzata da un'operatività sottoposta al controllo e alla supervisione delle più influenti cosche lametine dei Giampà e dei Iannazzo-Cannizzaro-Daponte, dal 2013, le compagini degli Scalise e dei Mazzatesta cominciano ad operare con maggiore autonomia. I gravi e concordanti indizi raccolti nel corso di una prolungata attività di indagini – hanno spiegato gli inquirenti – hanno dimostrato che le due organizzazioni criminali, hanno continuato a commettere gravissimi reati alimentando una crescente contrapposizione reciproca tesa a conseguire, da parte di ciascuno dei due gruppi, l'esclusivo controllo del territorio di riferimento. Un’area, quella montana, già attenzionata ma che, - ha affermato il comandante provinciale dei carabinieri Marco Pecci durante l'incontro con i giornalisti -  “ha ancora molti aspetti oscuri”. Per Pecci questi “delitti e fatti oggi hanno un’univoca chiave di lettura”. In questo quadro rientrano anche le dinamiche criminali che riguardano la commissione di 6 omicidi e che hanno trovato gli esecutori materiali (come nell’omicidio Mezzatesta e Pagliuso). “Oggi si aggiunge un'altra tessera al mosaico che ancora deve essere completato” ha concluso Pecci.

Tre degli indagati sono stati arrestati in Piemonte, uno di loro aveva già la valigia pronta per la fuga. Gli investigatori hanno evidenziato la piena operatività della cosca Scalise nel settore delle estorsioni. “Abbiamo documentato – ha spiegato il colonnello Giuseppe Carubia, comandante del Nucleo operativo di Catanzaro - l'attentato incendiario che Luciano Scalise e Angelo Rotella misero a segno ai danni di un imprenditore di Decollatura operante nel settore del commercio di legname. Nell'agosto del 2017 – infatti – i due esponenti della cosca Scalise, al fine di favorire un'altra società concorrente nel medesimo settore e far desistere l'imprenditore dalla sua attività economica, ne davano alla fiamme una macchina agricola e il capannone provocando un danno superiore ai 150.000 euro”.

B.M.

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