La casa degli orrori a Gizzeria, la scoperta dei carabinieri e il viaggio verso l’inferno

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Lamezia Terme – Dal sogno di arrivare in Italia con la speranza di un lavoro e trovare un futuro migliore, ad un incubo di violenze senza fine. È la storia della giovane donna che sarebbe stata costretta da Francesco Rosario Aloisio Giordano, 52enne di Lamezia, a subire violenze e abusi per dieci lunghi anni. A raccontarle è la stessa 29enne che, agli inquirenti, nonostante le prime reticenze, si apre e decide di raccontare quello che era diventata la sua quotidianità, fatta di abusi, vessazioni e violenze fisiche e psicologiche, motivate apparentemente da una malsana gelosia.

Nell’ordinanza di convalida del fermo e di applicazione della misura cautelare (Giordano si trova ora in carcere), sono messe nero su bianco tutte quelle atrocità che la donna avrebbe subito negli anni. Lui, da parte sua, ha negato ogni accusa davanti al Giudice, che ha convalidato comunque il fermo, ritenendo la sua ricostruzione “[…] non credibile, perché intrinsecamente inverosimile, confusa ed in parte contraddittoria”. I suoi legali, intanto, gli avvocati Salvatore e Simona Sisca, hanno anticipato che si rivolgeranno al Tribunale della Libertà per ottenere l’annullamento della misura cautelare.

La scoperta dei carabinieri

La storia è salita alla ribalta delle cronache solo qualche giorno fa, ma è stata uno scrupolo dei carabinieri di Gizzeria a far venire fuori la vicenda. Erano passate le sette del 9 novembre quando una pattuglia dei carabinieri aveva notato una macchina che procedeva a forte velocità a Gizzeria sulla stessa strada nel senso opposto. Si sono insospettiti e hanno deciso di seguire il mezzo e fermarlo. A bordo c’era Giordano che ha cominciato a rispondere in maniera evasiva ai carabinieri che, non soddisfatti, hanno continuato nell’ispezione, notando che dietro, sul sedile posteriore, dormiva un bambino, che l’uomo sosteneva essere suo figlio con il quale stava tornando a casa che diceva essere a Sant’Eufemia. Le condizioni dell’auto erano pessime, cosa che gli agenti hanno provato a far notare al 50enne, e che li ha insospettiti così come la differenza di età tra i due e hanno deciso di approfondire sull’atteggiamento di quell’uomo che non li convinceva.

Nervoso, evasivo e contradditorio: l’uomo ha cominciato da subito a dare risposte sempre diverse per poi ammettere che si stesse recando in un fondo di sua proprietà a Gizzeria, dove gli agenti lo hanno seguito on la scusa di un controllo sull’assicurazione. Zona isolata, completamente al buio, strada sterrata, carcasse di auto, due ruderi e un camper: alla vista dei carabinieri, aiutati da una torcia, il fondo si presentava così. Lui raccontava che avrebbe dormito in camper ma anche questa affermazione ben presto si è smontata di fronte all’evidenza. Della moglie e della figlia, che aveva raccontato essere a casa della madre a Nicastro e poi a Falerna, diceva di non sapere nulla. Allora i carabinieri hanno notato una porta del rudere chiusa con un catenaccio, non apribile dall’interno e così hanno chiesto di aprirla. È stato allora che l’uomo si è agitato ancora di più e ha cominciato ad innervosirsi e a fornire giustificazioni non richieste. Una volta prese le chiavi, nascoste sotto un cuscino in macchina, Giordano ha riferito che erano lì che si trovavano la moglie e la figlia, ed è effettivamente lì che la ragazza, con la bambina avvolta in una coperta, sono state trovate, immobili, su una sedia, nel buio pesto di quel tugurio. “Attrezzi da lavoro, bici, indumenti e coperte, vecchi e logori; cumuli di cartoni e buste di spazzatura” così descrivevano i carabinieri il luogo che si presentava davanti ai loro occhi, aggiungendo di aver trovato bidoni con urina ed escrementi di topo, con l’aria che si presentava irrespirabile. Fuori bidoni metallici con cibo scaduto. Ma questo ritrovamento non è stato altro che la punta di un iceberg con particolari assolutamente agghiaccianti. 

Le prime rivelazioni e il tentativo di Giordano di riavvicinarsi

Nonostante le condizioni disagiate in cui era stata trovata, la 29enne, ascoltata in un primo momento dai carabinieri, ha raccontato di trovarsi in quella situazione di comune accordo con Giordano. Una versione che però, non li ha convinti. Trasferita, in un primo momento, con i figli in un hotel della città, la ragazza è stata accompagnata da un supporto psicologico, vista la preoccupante situazione. Ci sono voluti tre giorni perché la donna cominciasse a parlare e a raccontare il suo incubo: Giordano, intanto, aveva scoperto dove i carabinieri avevano trasferito lei e i bambini e aveva tentato di convincerla a non denunciarlo e di lasciare quel luogo per tornare insieme ai bambini con lui. Solo la vista delle forze dell’ordine lo ha fatto desistere dal suo piano, ed è stato allora che la ragazza ha deciso di raccontare tutto ed è venuto fuori tutto l’orrore che ha dovuto subire.

L’arrivo in Italia e il viaggio verso l’inferno

“Il mio arrivo in Italia mi porta nella città di Palermo” racconta la giovane ai militari dell’Arma. Aveva conosciuto una ragazza e sapeva che sua madre lavorava in Italia come badante: era il maggio del 2007 e, arrivata nel capoluogo siciliano, ha cominciato a lavorare come badante e babysitter, pochi mesi dopo, però, a settembre, tornata da un periodo di vacanza in Romania, scopre di aver perso il lavoro a Palermo e, non sapendo cosa fare, giovane e sola, decide di contattare una coppia di connazionali conosciuta sul pullman, che le avevano promesso di poterla aiutare nel caso le fosse servito un lavoro. La coppia abitava a Lamezia ed è in casa loro che ha conosciuto quello che sarebbe diventato il suo aguzzino. Con la scusa di fare da badante alla madre (rivelatasi, in realtà, la sua compagna) la convinse ad andare a vivere da lui. La casa si trovava a Falerna Marina: “Quel viaggio da Lamezia Terme a Falerna fu l'ultimo viaggio sereno della mia vita, non sapendolo mi stavo avviando verso quello che poi in seguito si è rivelato l'inferno” ha raccontato agli inquirenti.

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Il periodo da badante e le prime violenze

La ragazza capì ben presto che quella non era la madre di Giordano ma la sua compagna, gravemente malata di un tumore alle ossa, e capì altrettanto presto che c’era qualcosa di strano negli atteggiamenti dell’uomo ma i soldi le servivano e non poteva rinunciare a quel lavoro. Così assistette ai primi episodi di violenza nei confronti della compagna, di cui poi diventò lei la protagonista, anche se allora questi erano per lei pensieri molto lontani e inimmaginabili. Le violenze dell’uomo non si fermavano neanche davanti ad una donna malata, che picchiava, come ha raccontato la ragazza, con lo stesso bastone a tre piedi che usava per riuscire a camminare. Fu la compagna stessa a raccontarle tutto ciò che era costretta a subire da sette anni: per non farsi scoprire, visto le frequenti visite mediche dovute alla chemioterapia, lui cambiava spesso zone del corpo in cui infliggerle i colpi. Un piano subdolo e preciso, studiato, secondo il racconto, nei minimi dettagli. La 29enne ha spiegato che non appena ha messo piede in quella casa a Falerna, Giordano avrebbe cominciato a trattarla come un oggetto per il suo piacere. Poi, una sera del novembre di dieci anni fa, la costrinse a bere quasi un litro di vino ubriacandola, così che la giovane si svegliò la mattina dopo nuda nel letto, scoprendo un mese dopo di essere rimasta incinta.

Il tentativo di fuga e le violenze sessuali

Fu allora che decise di andarsene: non voleva alcun figlio da lui, così preparò la valigia ma scatenò la furia dell’uomo che cominciò a picchiarla con schiaffi, tirandole i capelli e mordendola al dito al punto tale da farle cadere un’unghia. Dopo le percosse la portò alla stazione, lasciandola lì, sola, senza soldi e senza nessuno da contattare. Tornò poco dopo a riprenderla e, una volta a casa, continuò a scatenare la sua furia con calci e pugni addosso alla ragazza. Fu solo il primo di una serie di episodi irripetibili. Da lì le tolse anche il cellulare, e le impedì di parlare con la madre e il resto della famiglia rimasto in Romania. Non le risparmiava nulla neanche in gravidanza: rapporti sessuali violenti tutti i giorni, con oggetti di ogni tipo, come cavi elettrici, aste di plastica o di legno, oppure attrezzi utilizzati per la campagna, legata mani e piedi ad un letto e picchiata violentemente. Aveva creato, per questo, un palo che chiamava “la cosa verde”: un cavo elettrico doppio verde che aveva attorcigliato su se stesso. In una occasione la picchiò così forte in testa che per suturare la ferita usò ago e filo da pesca, in altre le sparò alla schiena con un fucile ad aria compressa, e altre due volte le conficcò una forchetta nella spalla e una forbicina nel gluteo. Un vero e proprio incubo. 

Claudia Strangis

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