Lamezia, omicidio Pagliuso: quando il penalista fu bendato e portato nel bosco al cospetto degli Scalise

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Lamezia Terme – Amicizia e vecchi rancori. Quella che ha portato all’uccisione del penalista 43enne può essere inquadrata come una vendetta trasversale. Il nome dell’avvocato penalista Francesco Pagliuso, infatti, era stato inserito in quella che viene chiamata “lista nera”, costituita inizialmente da tre nomi: Luigi Aiello, Domenico Mezzatesta e Francesco Pagliuso. Ad oggi resta in vita solo Domenico Mezzatesta (detenuto) e, per questa ragione, ritengono gli inquirenti, il 24 giugno 2017 sarebbe stato ucciso il fratello, Gregorio Mezzatesta, anche lui legato da un’amicizia con l'avvocato Pagliuso.

Legami di amicizia, quella tra la famiglia Mezzatesta e l’avvocato Pagliuso prima ancora che professionali. Il penalista, infatti, era originario di Soveria Mannelli, paese del Reventino. Anche di questo gli inquirenti si sono occupati per arrivare a fare luce sugli omicidi commessi nel lametino tra il 2016 e il 2017 ritenuti essere stati compiuti dalla stessa mano: quella del 33enne, anche lui lametino, Marco Gallo. “Lavoreremo per dare un volto anche ai mandanti” ha ribadito il procuratore Nicola Gratteri a margine della conferenza stampa convocata sabato mattina in Procura. 

L’aggressione nel bosco

Finito negli “attriti tra la famiglia Scalise e Domenico Mezzatesta” accertata in numerosi provvedimenti giudiziari basati anche sulle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, questa “guerra” consumata tra i monti del Reventino ha avuto l’apice con il duplice omicidio Vescio-Iannazzo compiuto il 19 gennaio del 2013 a Decollatura all’interno del “Bar del Reventino” e con l'omicidio di Daniele Scalise avvenuto il 28 giugno 2014. È in questa circostanza che gli inquirenti parlano del “culmine dell'attrito tra i due gruppi mafiosi”. Qui si inserisce la figura dell'avvocato Francesco Pagliuso, un tempo legale degli Scalise, che assume poi, nel procedimento a carico dei Mezzatesta, la difesa degli imputati. Ma occorre fare un passo indietro, nel periodo di latitanza di Daniele Scalise. L’avvocato, scrive il Gip nell’ordinanza, “[…] era stato condotto da Scalise Pino in un bosco laddove ad aspettarli c'erano Vescio Giovanni, Iannazzo Francesco e Scalise Daniele”.

Nel corso dell'incontro l’avvocato, si legge ancora “[…] veniva aggredito - senza specificare le modalità - e minacciato dai suoi interlocutori poiché accusato di non aver difeso in maniera adeguata Scalise Daniele nell'ambito di alcuni procedimenti che lo vedevano coinvolto”. Dal racconto di una persona vicina all’avvocato Pagliuso emerge che “era stato poi l'intervento in sua difesa di Scalise Pino, che gli aveva consentito di aver salva la vita”. Scrive ancora il gip: “Nell' estate 2012, infatti, quando ancora Francesco Pagliuso era il legale degli Scalise, l'avvocato fu prelevato e condotto, bendato, dinanzi a Pino Scalise ed a Daniele Scalise, allora latitante, i quali gli rimproverarono una difesa ritenuta non abbastanza "valida"”. Da qui “Francesco Pagliuso, ben consapevole del peso che la sua difesa aveva assunto nei rapporti critici tra i Mezzatesta e Scalise, confidava alle persone a lui più vicine la convinzione di essere un prossimo condannato a morte”. È in questa circostanza che l’avvocato svela l'esistenza “di una lista di tre persone da uccidere, stilata dagli Scalise, a lui resa nota da Domenico Mezzatesta nell'estate del 2015, in cui comparivano lo stesso Mezzatesta (detenuto), Luigi Aiello (già assassinato) ed appunto Francesco Pagliuso”.

“Il legame tra Marco Gallo e la famiglia mafiosa degli Scalise”

Indici del legame consolidato nel tempo tra Marco Gallo e la famiglia Scalise sono emersi durante le perquisizioni effettuate nella sua abitazione dopo l’arresto avvenuto il 31 luglio 2017 a seguito dell’omicidio Mezzatesta in cui scrive il gip “sono stati rinvenuti una serie di documenti attestanti il particolare legame”. Durante le indagini, inoltre, sono emerse le numerose analogie e connessioni tra i delitti Mezzatesta e Pagliuso “le due vittime erano tra loro legate da un antico rapporto di amicizia (si consideri che la figlia di Gregorio Mezzatesta era diventata praticante dello studio legale Pagliuso)”. Gregorio Mezzatesta era, inoltre, fratello di Domenico e zio di Giovanni Mezzatesta, entrambi difesi dall'avvocato Pagliuso nel processo che li vedeva imputati per il duplice omicidio avvenuto all'interno del “Bar del Reventino”.

Da dichiarazioni rese da Domenico Mezzatesta e da intercettazioni “oltre a far emergere l'affetto nutrito dai Mezzatesta nei confronti del difensore, hanno fatto altresì venir fuori che Gregorio Mezzatesta - per quanto avulso dalle dinamiche criminali in cui era coinvolto il fratello - avesse intuito la matrice dell'omicidio Pagliuso e, pubblicamente, aveva manifestato il suo desiderio di vendetta”. Secondo gli inquirenti, a lumeggiare ancor di più ed in maniera dettagliata la figura di Marco Gallo, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Rosario Cappello che, “ne riferiva come di soggetto legato agli ambienti malavitosi della c.d. ambiente della "zona della montagna"”.

Da qui si è ritenuto ricorrere all’aggravante mafiosa anche per l’omicidio di Gregorio Mezzatesta. Gallo, infine, viene descritto dal giudice “un killer di professione, che è riuscito a mantenere formalmente intatta la propria fedina penale grazie alla maestria e alla professionalità delinquenziale manifestata. Si deve ricordare - e ciò è emerso dai rilievi operati sulle scene del delitto – che l'abilità dimostrata dal Gallo nell'uso della pistola e nel compiere le azioni omicidiarie è emersa dalla tipologia dei colpi sparati (tutti a breve distanza), dalla praticità nell' eliminare i bossoli dal caricatore per impedire alla pistola di incepparsi, dal possesso della licenza di porto d'arma per uso sportivo, che dimostrano come il Gallo si sia proprio allenato per commettere gli attentati omicidiari”.

R.V.

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