Lamezia, omicidio Ventura: dopo appello famiglia, depositate motivazioni sentenza

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Lamezia Terme - “Dodici anni per trovare un corpo, dieci per trovare un colpevole, due anni per sapere il perché di questo omicidio e, un anno dopo, nonostante la condanna, ancora nessuna motivazione alla sentenza. Questa lungaggine è, per noi, un po’ assurda”.

Dopo questo appello, l’attesa per la famiglia Ventura si é conclusa nella giornata di giovedì: sono state, infatti, depositate le motivazioni della sentenza con la quale era stato condannato a dieci anni Gennaro Pulice, oggi collaboratore di giustizia, autoaccusatosi di essere l’autore materiale dell’omicidio di Gennaro Ventura, fotografo ed ex carabiniere ucciso il 16 dicembre del 1996 nelle campagne di Lamezia Terme. 

Ventura-omicidio_1.jpgIl luogo dove fu ritrovato il corpo

A parlare era stato Raffaele Ventura, il fratello, che si era rivolto alle Istituzioni affinché si potesse smuovere qualcosa per non rischiare di inficiare un intero processo, e tornare quindi, al punto di partenza. Il termine per il deposito delle motivazioni era stato fissato a 90 giorni ma ne erano passati 365 senza alcuna novità. 

Appelli, quindi, che sembravano essere caduti nel vuoto, nonostante anche l’istanza presentata dal legale della famiglia, l’avvocato Italo Reale, al presidente del Tribunale di Catanzaro per sollecitare una risposta in merito al ritardo nel deposito delle motivazioni. Una risposta che é arrivata proprio giovedì. 

Era l’8 maggio dell’anno scorso quando fu emessa la sentenza dal Gup di Catanzaro al culmine del processo con rito abbreviato a carico del collaboratore di giustizia. Fu proprio Pulice a fornire ulteriori dettagli agli inquirenti e a spiegare che fu lui a sparare contro Ventura, su ordine di Domenico Antonio Cannizzaro, condannato a 30 anni al termine del processo di primo grado e per il quale dovrebbe cominciare a breve anche l’appello.

Una sentenza di condanna che arrivò solo una settimana dopo quella nei confronti di Pulice, con la quale il giudice ha disposto anche una provvisionale di 80 mila euro in favore dei familiari della vittima, che si sono costituitisi parte civile nel processo. Ora i familiari potranno avviare anche l’iter per il riconoscimento di vittima di ‘ndrangheta. Ma non era questo che muoveva i familiari: la questione, come ci aveva spiegato Raffaele Ventura, era quella “di chiudere un capitolo”, quello riguardo a questo omicidio che ha colpito la sua famiglia. 

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Quello di Ventura è stato, per anni, uno dei tanti casi irrisolti della città della piana. Era il 16 dicembre 1996 da Lamezia quando di lui si persero completamente le tracce e la sua scomparsa, per vent’anni, è rimasta avvolta nel mistero. La famiglia da allora non si diede pace e continuò per anni le ricerche, che si fermarono, purtroppo, nel 2008. Fu allora che in un casolare, che si trova in una zona di campagna in contrada Carrà Cosentino a Lamezia, si fece la triste scoperta.

Una signora, infatti, stava per acquistare un fondo e chiese una ispezione e fu proprio nel corso di questa ispezione che, fortuitamente, in una fossa per la fermentazione del mosto furono trovati alcuni resti. Solo con l’esame del dna si ebbe la conferma che quei resti, a dodici anni dalla scomparsa, potessero appartenere a Gennaro Ventura.

Ma questo fu solo il primo step: Gennaro Pulice, colui che materialmente colpì mortalmente Ventura, confessò agli inquirenti, nel corso delle sue dichiarazioni in veste di collaboratore di giustizia, come andarono i fatti. Gennaro Ventura, era diventato fotografo dopo aver avuto un passato da carabiniere. E sarebbe stato proprio un episodio del suo passato ad essere il movente della sua uccisione. Il suo fu definito un omicidio per vendetta, “perché aveva svolto il suo dovere”.

Ventura-omicidio_2.jpgLe macchine fotografiche ritrovate nella botola

Il mandante, Domenico Antonio Cannizzaro: durante gli anni di servizio come carabiniere a Tivoli, aveva identificato Raffaele Rao come uno dei responsabili di una rapina ai danni di un consulente tecnico dell’A.G. che custodiva un ingente quantitativo di sostanze stupefacenti nella sua abitazione. Droga sottratta da due persone che Ventura, per caso, aveva visto scendere dall’abitazione del perito. Rao, che per questo reato fu condannato a dieci anni di carcere, è legato da rapporti di parentela con i Cannizzaro. Un arresto, quello di un parente, che Cannizzaro non ritenne giusto e così decise di punire l’ex carabiniere.

Era stato lo stesso Pulice a chiedere a Ventura un appuntamento per un servizio fotografico: era una trappola. Lo uccise e fece sparire il corpo, occultando il cadavere in una vasca sotterranea all'interno di un casolare abbandonato.

Dopo vent’anni da quell’atroce episodio, la famiglia potrà chiudere un capitolo di questa triste vicenda. 

C.S.

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