Processo Chimera, Giuseppe Giampà: “I Gualtieri ci proposero una pax mafiosa ma io non ci credetti”

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Lamezia Terme - A raccontare in aula i trascorsi nella cosca Giampà e i rapporti con la cosca avversaria, i Cerra-Torcasio-Gualtieri, in video conferenza, tre collaboratori di giustizia: Pasquale Catroppa, Rosario Cappello e Giuseppe Giampà che hanno risposto alle domande del Pm Elio Romano e della difesa nell’udienza odierna del Processo Chimera. Cesare Gualtieri, Peppino Festante, Massimo Crapella, Lucia Vaccaro e Giancarlo Puzzo sono gli imputati che hanno scelto il rito ordinario nel processo che si sta celebrando nel tribunale di Lamezia davanti al Presidente Carè e, a latere, i giudici Aragona e Martire.

“C’era un periodo nel quale i Gualtieri volevano la pax mafiosa e Crapella andava spesso da mio cugino Pasquale Giampà ‘millelire’ ma io non ci credevo tanto”. A dirlo è il collaboratore di giustizia Giuseppe Giampà che, aggiunge “l’iniziativa partì dai Gualtieri che andavano da mio cugino. Lui ci credeva ma molti di noi non ci credevamo in quanto sospettavamo che era una finta pace per farci rilassare. Infatti poi mio cugino fu chiamato dalle forze dell’ordine per avvisarlo che qualcuno voleva fargli del male ma noi avevamo da subito il sospetto che erano i Gualtieri e poi decidemmo di uccidere Federico Gualtieri, era il marzo 2007”.

Giuseppe Giampà, ora collaboratore di giustizia, ritenuto il boss dell’omonima cosca, chiamato a testimoniare nel processo Chimera contro la cosca Cerra-Torcasio-Gualtieri, si concentra sui rapporti con l’opposta famiglia criminale. Giampà riferisce, in particolare, sugli imputati in questo procedimento. Di Cesare Gualtieri, classe 69, dice “tutta questa persona di spicco non era ma so che faceva parte dei Gualtieri”. “So che non pagavano la merce nei negozi”, aggiunge. Parla poi dello spaccio. “Loro spacciavano più eroina noi cocaina, due mercati diversi”. Giampà riferisce anche su un altro imputato in questo processo, Peppino Festante, inquadrandolo come una persona che spacciava eroina. “In proprio o per conto di qualcuno?” gli chiede il Pm. “Quando spacci per conto tuo non lo puoi fare devi sempre essere collegato ad una rete”, sottolinea il collaboratore. Giampà parla anche dell’esistenza della cosca “Giampà-Cerra-Torcasio” prima del 2001 quando poi si separano e, dichiara “scoppiò una guerra”. “Io facevo parte anche di quella cosca” aggiunge approfondendo il punto con l’avvocato Veneziano e Canzoniere. L’avvocato D’Agosto, difensore di Crapella, gli chiede quali erano le zone di competenza delle estorsioni tra la cosca Giampà e Cerra-Torcasio-Guatieri. “Via del Progresso, Nicastro, Pianopoli e zone limitrofe fino a Vena di Maida erano dei Giampà e Capizzaglie, contrada Rotoli e anche parte di Nicastro dei Gualtieri”.

Pasquale Catroppa: “La cosca Giampà mi disse di far finta che mi ero dissociato”

Estorsioni, droga, danneggiamenti, bombe, elenca Pasquale Catroppa, il primo collaboratore ascoltato in aula, i “settori” dei quali si occupava come esponente della cosca Giampà. Al centro dell’esame, il periodo nel quale Catroppa è stato detenuto nel carcere di Rossano. Catroppa, infatti, era detenuto a Rossano e si spostava per presenziare alle udienze del Processo “Pegaso”. Nel carcere, Catroppa, racconta in aula, rimase circa un mese e mezzo, durante questa detenzione fu spostato di cella e finì insieme ad alcune persone ritenute vicine all’altra cosca. Così, durante le udienze nel tribunale per il processo, insieme ad alcuni co-imputati, Catroppa prese la decisione di manifestare ai suoi compagni di cella la sua volontà di allontanarsi dalla cosca Giampà. “Mi dissero di dirgli che non c’entravo più niente così era tutto apposto” riferisce in aula il collaboratore. “La cosca Giampà mi disse di fare questo tipo di gioco ovvero di dirgli che con loro non c’entravo più niente e loro mi hanno creduto”, precisa Catroppa rispondendo alla domanda dell’avvocato Veneziano. Il collaboratore racconta un altro episodio avvenuto nel carcere di Rossano: “Ottorino Ranieri mi fece vedere la copiata” dove erano segnati alcuni nomi di persone che vennero battezzate in carcere, tra questi, riferisce ancora Pasquale Catroppa “anche Peppino Festante con il grado di picciotto, ma io non ero presente durante il battesimo”. Ulteriori chiarimenti sono stati chiesti dall’avvocato Canzoniere difensore di Cesare Gualtieri.

Rosario Cappello parla dello spaccio di droga

L’esame del collaboratore di giustizia Rosario Cappello è incentrato, invece, sullo spaccio di droga. Fa riferimento all’imputato Festante, il collaboratore che, riferisce “so che spacciava droga ma non apparteneva a nessuna cosca, poi si è avvicinato alla famiglia Gualtieri. È venuto a casa mia - aggiunge - per prendere hascisc 200, 300 grammi alla volta e la pagava subito”. A chiedere chiarimenti sull’episodio, l’avvocato Veneziano, che insiste sulla differenza tra hascisc e marijuana. Il collaboratore dichiara che era lui stesso ad avere una piantagione e a procedere poi alle successive fasi fino alla vendita: “una pianta di hascisc arriva a due metri e mezzo quando fa i fiori si raccoglie e poi si essicca per poi venderla”. “E questa si chiama hascisc?” insiste il legale.

Il processo si conclude con le dichiarazioni spontanee di due imputati. Peppino Festante dichiara che lui non ha “mai spacciato droga ma la mia colpa è sempre stata quelle di aver fatto uso cocaina”.  L’imputato Cesare Gualtieri, invece, afferma “i collaboratori non mi possono conoscere, tra loro c’è anche chi ha ucciso mio fratello”. L’udienza è rinviata all’11 aprile con l’esame dei collaboratori di giustizia Saverio e Giuseppe Cappello. 

R.V.

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