Processo “Dioniso” a Lamezia, in aula maresciallo dei carabinieri: "Vendevano le dosi in cannucce di plastica"

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Lamezia Terme - Una dettagliata ricostruzione sul traffico di sostanze stupefacenti in quelle che sono state considerate le tre piazze di spaccio in città, (ovvero quella in località Trempa, Capizzaglie e Ciampa di Cavallo), è stata fatta dal maresciallo Marrapese ascoltato nell’aula Garofalo del tribunale lametino, nell’ambito del processo Dioniso. Dosi di droga che veniva cedute confezionate utilizzando cannucce. L’operazione, denominata “Dioniso” contro la cosca Cerra-Torcasio-Gualtieri, è scattata nel gennaio del 2017 quando furono arrestate 47 persone ritenute affiliate alla cosca ‘ndranghetista lametina. Al centro dell’operazione, il traffico illecito di sostanze stupefacenti con l’aggravante delle finalità mafiose. Davanti al Presidente, il giudice Francesca Berni, il maresciallo, nel rispondere alle domande del pubblico ministero Elio Romano, ha ripercorso l’attività svolta nell’Arma nel 2013 scaturita poi con l’operazione Dioniso. Imputati nel processo con rito ordinario, sono Antonio Gatto (difeso dall’avvocato Cerra e Gualtieri), Angela Gatto (difesa dagli avvocati Larussa e Vitaliano), Maria Pia Renda, Roberto De Fazio (difeso dall'avvocato Larussa), Peppino Festante (difeso dall’avvocato Veneziano) e Franco Franceschi (difeso dall’avvocato Paola Bilotti).

“La genesi dell’attività d’indagine sono state le dichiarazioni di Pasquale Mercatante” racconta in aula il Maresciallo dei carabinieri. Un tossicodipendente, poi divenuto testimone di giustizia, che si era presentato dai carabinieri nel 2013 e, spaventato dopo un’estorsione che avrebbe subito, ha racconto ai militari quanto a sua conoscenza come assuntore di stupefacenti. "Mercatante, riferisce il testimone, è stato poi portato in una località protetta per via della “gravità dei fatti denunciati”. L’uomo si allontana così dall’ambiente lametino e, mentre era con un militare ha ricevuto delle chiamate: “i Gualtieri lo stavano cercando sulla sua utenza che era monitorata” ricorda il maresciallo. Il testimone descrive poi come funzionava lo spaccio nelle tre piazze lametine sulla base di quanto scoperto durante le indagini effettuate dal 2013. La droga veniva acquistata da alcune delle persone rimaste poi coinvolte nell’operazione, dai capo piazza, e poi la rivendevano a loro volta al dettaglio. Si trattava principalmente di eroina. Gli indagati, per come emerso dalle indagini, avrebbero messo in piedi un’organizzazione capillare e determinata a riempire le casse della cosca e a rinforzare così il controllo sul territorio. Una cosca con appoggi non solo su Lamezia ma che aveva contatti con le famiglie della cosca jonica reggina per rifornirsi di cocaina, in particolare con gli Strangio, a San Luca. Importanti anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, principalmente nell’inquadrare l’associazione, sottolinea ancora il maresciallo Marrapese.

L’attenzione degli investigatori è stata posta anche al confezionamento della droga in modo da poter capire da dove proveniva e chi la spacciava. Un particolare modo di confezionamento, racconta in aula il testimone, era quello di “tagliare una cannuccia in più parti, inserire la sostanza stupefacente e alle estremità delle palline per non farla uscire”. Ulteriori chiarimenti, sulla base dell’esame del maresciallo, sono stati chiesti dalla difesa, in particolare, dall’avvocato Veneziano. Il processo è stato poi rinviato al 19 febbraio con l’esame di altri testimoni.

R.V.

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