Processo Perseo Appello rito ordinario: le motivazioni delle assoluzioni di Scaramuzzino e Chirumbolo

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Lamezia Terme – La sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro nell’ambito del processo Perseo per i 21 imputati che avevano scelto il rito ordinario, è stata pronunciata nel luglio scorso e, a distanza di sei mesi , sono state depositate anche le motivazioni di quella sentenza che aveva visto la conferma di 5 condanne, 14 pene rideterminate e due assoluzioni, a fronte della sentenza di primo grado, pronunciata dal collegio del Tribunale di Lamezia (presidente Fontanazza, Aragona e Tallarico a latere) il 16 dicembre del 2015, e che aveva visto la condanna di tutti gli imputati che avevano scelto il rito ordinario. L’altro filone del processo, per coloro che avevano scelto il rito abbreviato, si è concluso in Cassazione sempre nel luglio scorso. L’operazione “Perseo” fu la seconda in ordine di tempo, dopo “Medusa” contro la cosca Giampà e portò all’arresto di oltre sessanta persone nel luglio del 2013,

Oltre alla conferma di alcune condanne, e alla rideterminazione di altre, la Corte di Appello di Catanzaro, (Bianchi presidente, Luzzo e Di Girolamo consiglieri), ha assolto anche due imputati, Giovanni Scaramuzzino e Giancarlo Chirumbolo.

Le motivazioni dell’assoluzione di Giovanni Scaramuzzino

In primo grado, Scaramuzzino era stato condannato a 3 anni di reclusione per quanto riguarda il reato delle truffe assicurative, assolvendolo per il concorso esterno associazione mafiosa. Una sentenza alla quale si era appellata la Procura distrettuale: in appello il procuratore generale Carlo Modestino, in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero, aveva chiesto la condanna a 12 anni di reclusione. La Corte ha poi deciso di assolvere Scaramuzzino “perché il fatto non sussiste” per la questione delle truffe assicurative, confermando anche l’assoluzione dall’accusa di concorso esterno. Secondo la Corte: “Per quanto concerne l'associazione finalizzata alla realizzazione delle truffe assicurative, […] i collaboratori hanno descritto il meccanismo con cui venivano attuate le truffe”, e nello specifico i giudici citano a proposito le dichiarazioni di Giuseppe Giampà: “[…] "quelle coordinate da me erano tutte un sistema che diciamo erano dirette da me .... Poi, ognuno non è che dovevano dare conto a me per la truffa". A seguito di ulteriore specifica domanda, - si legge - il collaboratore ha riferito che gli affiliati alla cosca potevano anche fare delle truffe "per conto loro".

“Sulla base di tali elementi – scrivono i giudici - non si può quindi ritenere che vi fosse una predisposizione "comune" dei mezzi occorrenti per la realizzazione di un programma delinquenziale, atteso che si trattava di truffe che, seppur frequentemente realizzate, potevano e di fatto venivano di volta in volta organizzate da chiunque cercasse di procurarsi false certificazioni da presentare alle compagnie assicurative (come nel caso della truffa assicurativa effettuata da parenti di Torcasio Angelo, del tutto estranei alla compagine criminale, riferita dal predetto collaboratore)”. Per quanto riguarda il reato associativo legato alle truffe assicurative, nella sentenza della Corte d’appello, sono stati assolti anche Franco Trovato la cui pena è stata rideterminata da 12 anni a 9 anni di reclusione) e Carlo Curcio Petronio, (in primo grado condannato a 4 anni, in appello a 3 anni e 6 mesi).

L’altra accusa mossa a Giovanni Scaramuzzino è quella di concorso esterno all’associazione mafiosa, accusa dalla quale era stato assolto in primo grado con la formula “perché il fatto non sussiste”. Un’assoluzione confermata anche in secondo grado. Si fa riferimento, in merito a questo capo di imputazione, nelle motivazioni dei giudici della Corte di Appello, anche all’episodio in cui, secondo l’accusa, Scaramuzzino avrebbe procurato voti al senatore Piero Aiello per conto della cosca Giampà alle elezioni regionali del 2010.

Per quanto riguarda la posizione del senatore Aiello, accusato di voto di scambio con agevolazione della consorteria dei Giampà, la sentenza è stata di assoluzione in primo, secondo e anche in terzo grado di giudizio: l’ultima pronuncia è stata quella del novembre scorso quando la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del procuratore generale della Corte d'appello di Catanzaro contro la sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto emessa nei confronti del senatore.

Per quanto riguarda la posizione di Scaramuzzino, i giudici della Corte d’appello, nelle motivazioni scrivono che “[…] fermo restando che è provato l'incontro avvenuto nello studio dello Scaramuzzino e che è condivisibile l'affermazione del P.M. per cui la prova in ordine al conseguimento dello scopo (nel caso di specie l'effettivo conseguimento di vantaggi da parte della cosca dopo le consultazioni elettorali) non è elemento costitutivo della fattispecie, deve tuttavia rilevarsi che, per quanto si evince dal narrato dei collaboratori, lo Scaramuzzino ha organizzato l'incontro essenzialmente per procurare voti ad Aiello e quindi con la finalità di favorire principalmente quest'ultimo e non la cosca. Tanto si ricava dal narrato di Cappello Saverio, secondo il quale lo Scaramuzzino "ci portò nel suo ufficio personale e ci raccomandò di trovargli il più possibile i voti per farlo eleggere in quanto si trattava di una persona che poi ci avrebbe ricambiato appunto mettendosi a nostra disposizione". Tale specifico particolare è stato confermato anche da Giampà Giuseppe, il quale ha infatti riferito che "Aiello, mi sembra Piero, di età tra i 50 e i 55 anni, è un operatore della sanità. Non so esattamente cosa faccia. Mi fece contattare tramite Giovanni Scaramuzzino ... ". Oltre a ciò, deve aggiungersi che sintomatico del fatto che la finalità dello Scaramuzzino era quella di agevolare l'Aiello e non la cosca è che, sempre secondo il narrato dei collaboratori, l'iniziativa fu presa proprio dallo Scaramuzzino senza alcun previo contatto con Giampà Giuseppe o con altri componenti del sodalizio. Tali circostanze consentono quindi di confermare la pronuncia assolutoria nei confronti dell'imputato in ordine al reato di cui al capo 11 bis)”. Giovanni Scaramuzzino è stato condannato in primo grado, poi, per voto di scambio, nel luglio scorso, nel processo tenutosi al Tribunale di Lamezia, a due anni e tre mesi di reclusione e 1000 euro di multa.

Le motivazioni dell’assoluzione di Giancarlo Chirumbolo

Ad essere assolto dall’accusa di “partecipazione all’associazione di tipo mafiosa” è stato Giancarlo Chirumbolo, condannato in primo grado a sei anni di reclusione. Accogliendo l’appello della difesa, i giudici, nelle motivazioni, hanno fatto riferimento a quanto dichiarato dai collaboratori di giustizia. “[…] si evince quindi chiaramente che i collaboratori, Giampà Giuseppe e Vasile Francesco hanno indicato Chirumbolo Giancarlo come soggetto che effettuava attività di spaccio di sostanze stupefacenti per conto del fratello, senza però indicare in alcun modo quali fossero le attività concretamente svolte "per conto del sodalizio". Il legame con la cosca Giampà diventa poi ancora più vago secondo il narrato del collaboratore Piraina Luca, che afferma l'appartenenza del Chirumbolo alla cosca soltanto sulla base del legame di parentela con il fratello Giuseppe, in tal modo indicando un elemento del tutto insufficiente per ritenere il Chirumbolo associato al clan Giampà. Quanto alle dichiarazioni di Torcasio Angelo, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, lo stesso menziona Chirumbolo "Giuseppe" e non Chirumbolo Giancarlo come appartenente alla cosca e in ordine a Chirumbolo Giancarlo afferma di non essere a conoscenza di alcuna attività illecita. Rimane quindi un unico ipoteticamente, potrebbe condurre all'affermazione di responsabilità dell'imputato come appartenente alla cosca 'ndranghetistica dei Giampà, ossia la partecipazione all'omicidio di Cittadino Bruno.

In merito a tale specifico episodio delittuoso, tuttavia, appaiono corretti i rilievi della difesa che ha sottolineato da un lato la circolarità delle informazioni relative al ruolo che il Chirumbolo avrebbe assunto nella fase dell'esecuzione dell'omicidio (il Vasile ha sostanzialmente appreso quale doveva essere il ruolo dell'imputato attraverso Giampà Giuseppe, cosicché le dichiarazioni del collaboratore non possono costituire riscontro al narrato del Giampà), dall'altro il fatto che in concreto il controllo circa la presenza della vittima sul luogo dell'agguato fu effettuato da Molinaro Maurizio e non da Chirumbolo Giancarlo. Si tratta pertanto di elementi del tutto insufficienti per ritenere provata la partecipazione dell'imputato alla cosca dei Giampà, non senza evidenziare che, per come fondatamente rilevato dalla difesa, la condanna del Chirumbolo per un'estorsione realizzata in concorso con uno dei componenti della cosca avversaria (Gualtieri Federico) è elemento utile a riscontrare l'affiliazione dell'imputato ai Torcasio-Gualtieri ma non certamente a dimostrare un'eventuale pregressa affiliazione con la cosca Giampà”.

C.S.

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