Processo Perseo, Bonafè: “A mio marito 300mila euro per ingiusta detenzione” - VIDEO

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Lamezia Terme - È Carmen Bonafè, moglie di Giuseppe Notarianni ad aprire l’udienza odierna nell’ambito del Processo Perseo davanti al presidente Fontanazza e, a latere, i giudici Aragona e Talarico. I coniugi, imputati in questo procedimento per il reato di reimpiego di capitali illeciti, gestivano la ditta Edilnotar. L’impresa individuale che, secondo gli inquirenti, sarebbe servita solo per giustificare l’impiego in attività economiche del denaro provento delle attività usurarie. Carmen Bonafè rispondendo alle domande del legale Aldo Ferraro, ripercorre la storia della Edilnotar, fin dal suo avvio avvenuto nel 2001. “L’impresa è stata aperta nel 2001, era a nome mio perché mio marito aveva la sorveglianza. Dopo cinque anni di carcere mio marito ed io abbiamo deciso di rimanere nella nostra città e di rifarci una vita. Giuseppe ha avuto 300mila euro per l’ingiusta detenzione”. La Bonafè descrive come sono venuti in contatto con Montesanti e com’è nato il progetto per la costruzione delle ville: “Enrico Montesanti voleva costruita una villetta da mio marito perché gli piaceva come lavorava e, costruita la sua villa ha pensato di realizzarne altre su quel terreno per poi venderle. Lui metteva il terreno e mio marito faceva le costruzioni e i soldi andavano in parte a Montesanti e in parte a noi”. Quindi la prima villetta fu costruita per Enrico Montesanti anche se successivamente ha deciso di venderla ad un avvocato. Spiega, la Bonafè, le vicende legate alla ditta come la costruzione del complesso residenziale, costituito da villette bifamiliari, per poi venderli a terzi, appartamenti realizzati su un terreno di proprietà di Enrico Montesanti, ora deceduto.

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Per quanto riguarda il giro di assegni tra il marito e i fratelli la Bonafé li giustifica come “aiuti” in quanto “Giuseppe ha prestato dei soldi ai fratelli, visto che lui lavorava tutti i giorni e loro no, mio marito è sempre stato disponibile e glieli ha sempre prestati, alcuni glieli hanno restituiti altri no. Prestiti avvenuti sempre e solo con assegni, non abbiamo mai dato soldi in contante”. “Mio marito ha sempre lavorato - aggiunge - non c’erano sabati, domeniche, feste, quando i fratelli avevano bisogno li ha aiutati”. La Bonafè parla anche del debito che avevano con i Chirico “era un momento di difficoltà economica e non potevamo pagare, non vi preoccupate ci diceva Giovanni Chirico quando veniva da noi a prendere il caffè. Una volta Giavanni Chirico chiamò alla ditta Raffaele Armando perché non volevano concederci l’acquisto di alcune porte, dopo la chiamata andammo e acquistammo le porte senza problemi”. Il Pm Elio Romano chiede chiarimenti in merito alla loro vita prima di ritornare a Lamezia “prima stavamo in provincia di Bolzano e anche li avevamo una ditta, nel 1986 siamo venuti in ferie a Lamezia e dopo poco hanno arrestato Giuseppe e poi liberato nell’88”. Arresto che sarebbe avvenuto perché avevano trasportato della droga, episodio smentito dalla Bonafè. “Mi potete contestare che abbiamo, a volte, lavorato in nero... di altro no - conclude rivolgendosi al Pm”.

In aula anche Caterina Destito, insegnante, dichiara di conoscere la coppia perché erano amici del marito ed anche perché il figlio è stato suo alunno. La professoressa racconta che il marito è morto a causa di una grave malattia nel 2005 ma era separata da lui da una decina di anni. “Prima di morire mio marito mi disse che aveva un debito con Giuseppe Notarianni perché aveva svolto delle attività murarie per suo conto. Aveva con lui un debito di 25mila euro che ad oggi ancora esiste per questi lavori svolti in un magazzino all’ex sir”. “Le mie figlie hanno visto i lavori mentre si effettuavano - risponde alla domanda del Pm Romano”. “Mio marito - aggiunge - si occupava di antiquariato e lì aveva dei laboratori”.

Richiamato a testimoniare nell’aula Garofalo, Giovanni Chirico al quale il legale Ferraro chiede delucidazioni in merito ai rapporti con la coppia protagonista dell’udienza odierna. “Sono andato diverse volte a casa loro - afferma”. Non ricorda però l’episodio appena riferito dalla Bonafè in merito alla “presentazione” della ditta Edilnotar a Raffaele Armando. Si tratta di normali rapporti commerciali quindi, fino a quando non è maturato il debito, Chirico ribadisce quanto dichiarato nell’udienza del 17 luglio “non ho subito alcuna minaccia in merito a tale debito da parte di Giuseppe Notarianni”. I timori quindi, manifestati nell’udienza di luglio li riferiva ai fratelli, alla famiglia in generale. “Conoscevo la famiglia, la storia e quindi ho avuto paura”. Con un filo di voce Chirico continua a rispondere alle domande del Pm. Conclude il controesame il presidente Fontanazza per capire come Chirico avesse chiesto a Notarianni di pagare il debito: “Mi disserro che erano in difficoltà e non potevano pagare - ribadisce. Poi non glieli ho chiesti più”, rinunciando così al credito. Chirico, infine, afferma che “c’è un residuo anche di Aurelio ed Aldo Notarianni”.

Conclude l’udienza odierna il testimone a discarico, Pasquale Crapella, che risponde alle domande di Leopoldo Marchese difensore di Andrea Crapella in quanto fratello dell’imputato. “Mio padre lavorava al campo sportivo D’Ippolito come magazziniere, gestiva la cura dello stadio, anche io e Andrea davamo una mano. Io poi sono stato assunto ed è diventato un vero e proprio lavoro. Andrea ha fatto diversi lavori, giardiniere, trasloco mobili, piastrellista… ha sempre lavorato salvo un periodo che ha subito un’intervento. Nel 2012 Andrea ha aperto una sua ditta di giardinaggio fino all’arresto. Ha sempre lavorato e condotto una vita regolare, ha avuto un periodo di depressione… Nel 2009 infatti è stato arrestato per droga e poi è stato assolto, dopo ha avuto problemi di depressione. Vivevamo la vita sportiva di Lamezia, c’era anche Giuseppe Chirumbolo. Anche Giuseppe Giampà, che abitava vicino lo stadio, la domenica veniva a vedersi le partite”. Sa se Andrea ha frequentato Giuseppe Chirumbolo e Giuseppe Giampà? “Non l’ho mai visti insieme - risponde il fratello”. L’avvocato Scaramuzzino, invece chiede se le tute a fine stagione si regalano. “Si, si parla di 10-12 tute… non c’è un numero preciso. Una tuta fu data anche a Notarianni padre di Luigi che era detenuto, comunque si regalavano a tutti” - conclude".

R.V.

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