Processo Perseo, Angotti: dopo bacio morte ho capito che era finita - VIDEO

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Lamezia Terme -  Nuova udienza per il processo Perseo in corso a Lamezia. La collaboratrice Rosanna Noatrianni doveva concludere il suo controesame ma non è stata ascoltata in quanto in aula è stato nominato il medico legale Massimo Rizzo per prendere incarico della perizia che sarà depositata il prossimo 22 maggio. Davanti al presidente Fontanazza e, a latere, Aragona e Prignani, ci sono oggi le confessioni rese dal pentito Giuseppe Angotti, il primo a collaborare della cosca Giampà nel 2008 (ancor prima, quindi, del pentimento di Angelo Torcasio).

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Ma chi è Giuseppe Angotti? L’uomo è conosciuto con il soprannome di “Peppone” ed è il marito di Rosanna Notarianni che, dopo il pentimento del marito, decise anche lei di collaborare. Nell’ordinanza dell’operazione Medusa si legge che Angotti “ha convissuto con la famiglia acquisita a seguito del matrimonio, per circa venti anni ed ha deciso di intraprendere il percorso collaborativo allorquando percepiva con certezza che i cognati avevano sentenziato la sua "morte" (ciò accadeva nel mese di novembre del 2008)”.

I fatti che hanno portato alla collaborazione di Giuseppe Angotti risalgono al 21 novembre 2008 dopo l'omicidio di Roberto Amendola. Sin dalle prime confessioni Angotti ha posto in risalto le figure del 'Professore, di Giampà Pasquale `millelire', di Bonaddio Vincenzo e di Aldo Notarianni, ma anche di Giampà Giuseppe e Cappello Rosario così come degli altri fratelli Notarianni, tra cui spiccano Giuseppe, Rosario, Gianluca, Antonio, Aurelio”. Angotti si sarebbe pentito dopo aver notato il clima ostile presente nella famiglia sia nei suoi confronti che dei figli e, a seguito del ricovero della moglie in ospedale, avrebbe poi anche ricevuto il cosiddetto “bacio della morte”, che si dà a chi si è deciso di eliminare. Da qui la decisione di collaborare con la giustizia andando via da Lamezia.

Angotti in aula parla a tutto campo della famiglia Notarianni

Angotti prima di sottoporsi all’esame del pm Elio Romano chiede ai giornalisti presenti di non pubblicare foto della sua immagine. Successivamente, Angotti ha iniziato a rispondere alle domande del Pm Elio Romano, partendo dalla descrizione del nucleo familiare dei Notarianni (la famiglia della moglie, ndr) e dei loro affari: spaccio, droga, estorsioni, truffe, territorio.

Il boss e il vice boss

“Dal ponte della ferrovia di via del Progresso a scendere è controllato dai Notarianni e dai Giampà”. “Controllavano lo spaccio della droga, dei negozi - aggiunge Angotti - Cantafio, Miami, l’ex autosalone Autobianchi”. Questo potere glielo aveva dato “il professore, all’epoca Francesco Giampà insieme a Pasquale Giampà “Buccaccio”, loro due fratelli erano il boss ed il vice boss della zona”.

I gradi di ‘ndrangheta in famiglia
“Lei era a conoscenza se i suoi cognati hanno gradi di ‘ndrangheta? “ ha chiesto il Pm Romano. “Si – ha risposto Angotti - mio suocero Luigi, sempre perché loro me lo confermavano, era ‘Camorrista’, Aldo aveva la ‘Santa’, Giuseppe era ‘Mamma Santissima’, Aurelio aveva il grado ‘Camorrista’, Rosario era ‘Camorrista di sgarro’, Antonio era ‘Camorrista’ e gli altri erano invece semplici picciotti nipoti e figli”. E a lei hanno conferito qualche grado? “A me no. Ero sul punto un giorno del 1996 e Giuseppe mi disse se volevo essere iniziato e io dissi no. E lui mi disse che essendoci noi come famiglia puoi fare quel che vuoi”.

La debolezza con la droga

Poi Angotti racconta che nel 1988 ha avuto una “debolezza” iniziando a fare uso d’eroina e, per farlo smettere, i cognati e il suocero lo hanno chiuso in casa per un mese. “C’è stata anche la mia volontà - dice - Mi è stato portato metadone da Giuseppe ma non lo usai, è qualcosa finita subito perché non ero tossico da anni”. Sempre legato a questa circostanza, il Pm chiede se si è verificato qualche episodio di violenza e Angotti spiega che Aldo lo andò a picchiare in casa e poi, “Luigi, mio suocero, venne con Pasquale Giampà che mi voleva uccidere ma mia moglie si mise in mezzo e si risolse”. Ma, Angotti ha smesso di drogarsi anche per sua volontà e “perché mi era nata una bambina e ho ripreso a lavorare con mio padre”.

Con il bacio della morte ho capito che per me era finita
“Nel novembre 2008 chiamai mia moglie al telefono perchè io ero fuori a lavorare. Poi la sera rispose Aldo dicendomi che mia moglie si era presa delle gocce ed era in coma. Presi il treno e la sera dopo arrivai all’ospedale da mia moglie… Poi con i miei figli siamo andati a casa di mio suocero per capire cosa era successo e mia figlia disse che era stato Aldo e la moglie a darle le gocce (a Rosanna,ndr) e lui (Aldo) si scagliò contro mia figlia dandole due schiaffi. Aldo era anche armato e allora presi mia figlia e andammo via… La sera poi ero con mia figlia piccola in ospedale e la moglie di Giuseppe voleva prendere mia figlia…Io dissi che un padre ce l’aveva e lei rimaneva con me. Dopo poco Giuseppe mi saluta e mi dà un bacio di morte, ho capito che per me era finita e la mattina mi trovo anche Aurelio davanti casa mia in contrada Lenza. Lì ho capito che non avevo scampo e sono andato in caserma dei carabinieri”. Alla domanda del Pm sul perchè Angotti pensava ce l’avessero con lui, quest’ultimo ha risposto: “mi addossavano la colpa delle gocce quando io ero all’oscuro perché in quel periodo lavoravo fuori… Era cruciale salvare me e la mia famiglia. Mia moglie stava lì con loro ma io non ne avevo nessuna colpa”.

Le armi nascoste nell’argine del torrente Canne e la pistola che uccise Aversa

L’interrogatorio è poi proceduto con le domande relative alle armi. “Lei - ha detto Romano - ha parlato che Aldo era armato. Mi sa dire che armi possedeva e se le posedevano anche altri familiari?”. Angotti ha spiegato “Aldo aveva una pistola automatica, a tamburo, Giuseppe aveva pistola tedesca e Aurelio un’altra pistola automatica piccola e nelle mie dichiarazioni parlai anche di kalasnikov, fucile a canne mozze ed esplosivi. Le armi più grosse le custodiva mio suocero, le nascondevano lungo il fiume dove abitavano. In particolare, l’esplosivo me lo fece vedere Antonio e Gino,  il figlio. Era come pietra pomice in un vasetto. Lo fecero esplodere lì vicino.  lo fece esplodere lì vicino. Una sera - ricorda inoltre Angotti - mentre andavo a lavorare trovai Aurelio che aveva un’arma e che mi disse era la pistola che uccise il commissario Aversa e la moglie. Si trattava di una pistola automatica, aveva il calcio corto ed era calibro 9. Me l’ha fatta vedere in un fazzoletto bianco e la doveva mettere a posto, la doveva nascondere”.

Anche droga nascosta nel torrente. Nei primi anni ’90 si spacciavano droghe pesanti poi quelle leggere

“Nel costone del fiume c’erano solo armi?” ha poi chiesto il Pubblico ministero. “No, c’era droga. Non l’ho vista personalmente nasconderla ma sapevo che A. F. andava lì con il piccone e nascondeva all’occorrenza”. Rispondendo poi al tipo di droga utilizzata Angotti ha risposto: “fino al 1995 parliamo di eroina, cocaina e marijuana. Dopo un certo periodo si è passati alle droghe leggere e solo marijuana, almeno fino al 2008. Primi anni ’90 solo droghe pesanti, poi quelle leggere.

Le estorsioni
“Quando costruirono quel palazzo - riferisce Angotti parlando del ‘condominio’ dei Notarianni - i materiali venivano tutti dalla Edilchirico. Anche io per conto sia di Aldo che di Pasquale “boccaccio” potevo andare lì senza pagare. Anche Aurelio e mio suocero all’epoca mi dissero: ‘Scegli quello che vuoi che ce la vediamo noi’”. “Anche nel 2006 quando si sono rifatte le case. Ma io la mia casa di contrada Lenza l’ho pagata io e mi era stato proposto di dare 5/6.000 euro per un valore di 50 senza spendere. Poi Giuseppe mi propose di andare da Cantafio infissi a prendermi le finestre perchè lui doveva percepire somme arretrate. Mi disse: ‘se sei capace ti prendi lì le finestre gratis  che io non mi vado a prendere i soldi per il momento’. Ma io gli infissi li presi da un’altra parte. All’inizio, parlo degli anni ’90, tutti fecero cambiali, ma nessuno pagò”. Angotti ha poi fatto riferimento alle estorsioni per quanto riguarda altri negozi di Lamezia e delle assunzioni che sarebbero state fatte ad un supermercato in via del Progresso in cui poi sarebbe entrato a lavorare il figlio di Antonio Notarianni, Luigi detto Gino. Quest’ultimo, a detta di Angotti, si sarebbe via via introdotto nella gestione della filiale lametina di questa catena ubicata in via del Progresso e che ormai non esiste più.

Una buona parola di Giuseppe mi fece aprire conto in banca
“Signor Angotti - ha poi chiesto il pm Romano - le risulta se i suoi cognati avessero dei rapporti anche con banche di Lamezia? “Si, sempre nel 2000, la banca si trovava in via Aldo Moro. Andammo lì perchè Giuseppe aveva buoni rapporti con il direttore e lì sia io che altri abbiamo aperto un conto corrente”. Angotti ricorda i suoi protesti e la difficoltà ad aprire un conto in banca “ma una buona parola di Giuseppe mi fece aprire conto e poi mi diedero anche fido”. Successivamente Angotti ricorda che a seguito dell’apertura di questo conto gli fu chiesto da suo cognato Giuseppe di “di versare assegno e di cambiarlo in contanti”. Si trattava di cinque, dieci mila euro. Loro non avevano possibilità ma quello era il fatto ma per non destare sospetti lo diedero a me per cambiarlo”. “E oltre a questo episodio - ha chiesto Romano - ricorda c’è stata altra proposta?”. “C’era una transazione di parecchi soldi però adesso non ricordo, qualcosa come 150/200 mila euro c’era questa facoltà di farla questa operazione ma mi è stata fatta proposta di farli transitare su mio conto e io me ne sarei preso una percentuale”. Lei ricorda se in famiglia c’era bacinella comune?” ha chiesto poi il pubblico ministero. E Angotti “i soldi della loro cassa comune erano per le emergenze e se li prese una volta Antonio. Lì è successo un battibecco tra di loro per far ritornare il denaro a posto. Si trattava di un fondo cassa per le emergenze. Ora non ricordo precisa la somma”.

L’usura
Il pm Romano ha chiesto poi se era capitato di praticare usura. Angotti ha risposto affermativamente citando se stesso ma anche “Giuseppe, Gino il figlio di Antonio,  Antonio stesso, Rosario. E’ capitato. Diciamo che la cifra d’interesse erano 100 euro per 1000 euro. Interesse mensile". Romano ha chiesto se ha avuto modo di conoscere Antonio De Vito. “Non direttamente so che era custode del denaro della famiglia. Era la banca dei Giampà”.

La proposta del “Battesimo” e la prova di fedeltà

“La proposta di essere Battezzato me la fecero Giuseppe Notarianni e Aldo.  Era il 1994. Fui arrestato per ricettazione”.  “Mi trovarono una moto da cross rubata. Gino Notarianni fece questo furto e portarono la moto nel mio panificio, poi me la trovaron e da li è scaturito il fatto che io potevo essere battezzato perché non avevo fatto il suo nome, avevo mantenuto il segreto questa era una prova di essere fedele”. Angotti racconta dei riti di ‘ndrangheta dell’immaginetta di San Michele Arcangelo che ogni ‘ndranghetista deve avere. “Giuseppe ce l’aveva sempre in casa, cosi chi è dell’ambiente sa chi è la persona senza che si presenta...”. “Poi ci deve essere il consenso delle altre famiglie della regione. Mi dissero che erano affiliati con i ‘Bellocco’ di Reggio. Giuseppe mi disse che lui aveva il codice di ‘ndranghetista che poi l’ha riconsegnato”. Terminate le domande del pm ora la parola passerà alla difesa. Il prossimo appuntamento con il controesame di Giuseppe Angotti è fissato per il 24 marzo.

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