Processo Perseo, moglie Giuseppe Giampà: "Mi sono pentita per il bene dei miei figli" - VIDEO

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Lamezia Terme – Nuovamente in aula oggi, nell’ambito del processo Perseo, Teresa Meliadò, la moglie dell’ex boss Giuseppe Giampà, entrambi ora collaboratori di giustizia. La donna ha risposto alle domande degli avvocati  in merito alle truffe e all’organizzazione della cosca per quanto di sua conoscenza in qualità di moglie di Giampà.

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"Da certificati risultavano problemi a collo dovuti a incidente, ma non ho mai sofferto di cervicale"

Rispondendo alle domande dell’avvocato Murone che difende il dottore Curcio Petronio indagato, nell’ambito del Processo Perseo, per l’attestazione di falsi certificati, la Meliadò ha risposto che “io non avevo danni, magari avevo problemi miei ma Giuseppe faceva credere che venivano da incidente anche se io non ho mai avuto problemi, non ho mai sofferto di cervicale” ribandendo che era andata in ospedale ma di non sapere di chi si trattasse “di queste cose se ne occupava tutto Giuseppe, lì (dal medico, ndr) serviva solo mia presenza, non abbiamo mai parlato di nessuna patologia”.

"Da Cortese usufruii di uno sconto minore"

L’avvocato Andricciola ha chiesto alla Meliadò se avesse usufruito di uno sconto da Cortese Sport. Si mi è capitato di andarci  una sola volta anche se perché non era tra attività dove andavo di solito. Mi è capitato ed ho usufruito di un sconto minore ma comunque uno sconto per uno scaldacollo nero da portare a mio marito Giuseppe in carcere”.

"Credevo in quello che mi diceva Giuseppe e che andava nella carrozzeria di Trovato"

L’avvocato Andricciola ha poi chiesto se fosse a conoscenza che Giampà portava auto in carrozzeria Trovato e la Meliadò ha confermato “io credevo a quel che Giuseppe mi diceva e se diceva che andava in quella carrozzeria vuol dire che così era. La macchina non la portava altrove, ma lì sicuramente Posso ricordare un particolare mio anche?” ha poi chiesto aggiungendo “Giuseppe mi disse all’epoca che la mia 500 la portava lì da quella carrozzeria perché c’erano già gli stessi pezzi di “M.” quello che ha il bar su via del Progresso, che ne aveva usufruito e quindi ricordo anche questo particolare”.

“Ho deciso di collaborare per dare futuro diverso ai miei figli”

L’avvocato Scaramuzzino ha poi chiesto alla Meliadò di ricordare perché si è pentita. La donna ha risposto che “io provengo da famiglia di lavoratori. Io mi sono ritrovata in questa famiglia poi con Giuseppe che faceva tutt’altro. Non era la vita nella quale sono cresciuta e non voglio che miei figli crescano così. Ho anche una figlia femmina, se rimane a Lamezia lei sarà sempre la figlia di Giuseppe ed anche in futuro non avrebbe mai potuto trovare un uomo con un futuro di pace”.  Scaramuzzino allora chiesto: “Quindi per opportunità?” e la Meliadò: “per il bene dei miei figli che è diverso”.

Sarebbe stato meglio fosse andato con altre donne e non le cose che ha fatto”

Alla domanda, “ha mai saputo di relazioni di suo marito con altre donne?” La Meliadò risponde “Avvocato con il cuore in mano sarebbe stato meglio se avesse avuto tempo per altre donne e non che faceva le cose che ha fatto così come tutto il male in giro per Lamezia. Mi scusi l’ironia”.

“Ho deciso di prendere in mano la mia vita”

Anche l’avvocato Francesco Pagliuso rimarca i motivi ed il momento della sua decisione di collaborare. “Quando Giuseppe era detenuto a Siano ed è stato spostato in altro carcere, da lì ho deciso di prendere in mano la mia vita”. “Non era giusto pagarne, io ed i bambini, le conseguenze”.

"Mia figlia tornava da scuola piangendo perché altri bambini le dicevano 'tuo padre è in carcere'”

Successivamente, la Meliadò ha raccontato parte del contenuto delle lettere. La donna, in particolare, ha raccontato delle lettere che lei scriveva al marito in carcere, lettere nelle quali scriveva il suo malessere. “Mia figlia tornava da scuola piangendo, le dicevano ‘tuo padre è in carcere’. Lei deve essere valutata per quello che vale non essere figlia di… . Questo gli scrivevo nelle lettere”. Pagliuso ha replicato: “la poesia non ci interessa. Volevo sapere se ha parlato della sua decisione di collaborare con suo marito, si o no”.

Il tenore di vita della donna di un boss

“Io ho conosciuto Giuseppe che vestiva tute Terranova, dopo siamo andati da Artusa” ha poi spiegato l’evoluzione del tenore di vita la Meliadò. L’avvocato ha chiesto poi come era cambiata la sua vita e se le mancava qualcosa. “Mio marito - ha spiegato - mi ha sempre trattata come regina e non ha mai fatto mancare nulla, avevamo la cameriera in casa”. temporalmente, questo salto è stato collocato in un lasso di tempo di dieci anni da quando aveva sedici anni e aveva conosciuto Giampà.

“Anche se provavo vergogna, se Giuseppe mi diceva di andare da Artusa, io dovevo andare”

“Prima - ha specificato - eravamo due ragazzi normali”. “Io mi vestivo anche dai cinesi sia quando lui era dentro che fuori”.  “Io non vestivo da Artusa, li compravamo abbigliamento che poi andava agli affiliati o a Giuseppe stesso, io per me non acquistavo. Io provavo vergogna a prendere le cose con lo sconto al 50%. Preferivo i cinesi. Questo giubbino che indosso oggi, ad esempio, ce l’ho da dodici anni”. “In 10 anni ho ricevuto solo qualche regalo da Artusa su iniziativa di Giuseppe ed anche i gioielli li ho ricevuti solo quando ho partorito, o per qualche anniversario”. L’avvocato Pagliuso ha poi incalzato: vuole fare credere che lei andava dai cinesi ma per suo marito ed affiliati andava da Artusa e non provava vergogna?”. La Meliadò ha risposto a Pagliuso da “donna rispetto”: “Anche se mi vergognavo, Giuseppe mi diceva di andare da Artusa e io dovevo andare”. Sui figli, però , alcuna eccezione: “usufruivo per loro sempre lo sconto del 50%”.

“Il mio lavoro era occuparmi un po’ di tutto”
“Lei ha mai lavorato?” ha poi chiesto Pagliuso “Si, ultimamente avevamo aperto società distribuzione ma poi, alla fine, avevamo più debiti che guadagno. Io aiutavo mio marito facevo di tutto. Mi occupavo di contabilità, vedere recupero crediti e come coprire il mese successivo”.

Su decisione collaborare: “Con Giuseppe abbiamo avuto stesse idee”

Pagliuso ha poi chiesto: “Lei parlava della sua decisione di collaborare solo per lettera?” “Certo - ha detto - anche perché ero ad arresti. In me maturava il pensare ‘ ma che fine ho fatto? Che delusione!’. Pagliuso ha chiesto se questi suoi pensieri li avesse fatti sapere al marito: “Certo, se si condividono è meglio per entrambi. Abbiamo avuto stesse idee. Pagliuso ha poi chiesto che tenore di vita conduca dopo la decisore di iniziare a collaborare e la Meliadò ha precisato che conduce “tenore di vita essenziale, fare spesa, pagare bollette. Anche adesso vado dai cinesi ma sicuramente sono più felice”.“Non mi interessavano dichiarazioni pentiti, non mi sentivo chiamata in causa”
L’avvocato ha poi chiesto se Giampà le avesse detto delle collaborazioni dei pentiti Angelo Torcasio e Saverio Cappello ma la Meliadò ha spiegato “Giuseppe non mi diceva i contenuti delle dichiarazioni” spiegando di non aver mai visto verbali di collaboratori “non mi interessava, non mi riguardava perché non mi sentivo chiamata in causa”.

“Giuseppe al momento dell’arresto era tranquillo”

L’avvocato Spinelli, invece, ha chiesto alla Meliadò se fosse presente presente all’arresto del marito nel 2011 durante operazione Deja Vù e che impressione il marito le avesse trasmesso. La Meliadò ha risposto: “era tranquillo e poi mi disse che da lì a poco sarebbe ritornato in libertà che c’erano accuse infondate”.

“Non sapevo nulla di documenti su pentiti”

Marchese invece ha domandato: “incontrava avvocati di suo marito?” e la Meliadò “No, se la vedeva tutto lui”. “Le è mai capitato - ha detto Marchese - che qualche familiare detenuto le avesse chiesto soldi?” e la Meliadò “incontrai la moglie di Antonio Voci che si lamentava di non avere neppure soldi per la spesa. Giuseppe mi disse che non dovevamo dare nulla che non avevamo debiti con loro”. Poi Marchese ha chiesto “lei conosce Alessandro Torcasio?” e alla risposta affermativa ha chiesto se prima del suo arresto aveva contatti. la Meliadò ha spiegato che “scriveva pizzini e io li consegnavo a Giuseppe”. Marchese ha chiesto: “ e non ha mai parlato d’altro?” e la Meliadò “si parlava normalmente ora non ricordo i  contenuti ma quelli più importanti li ho già citati”. “Lei sa - ha domandato Marchese - che a novembre 2011, prima di operazione Medusa il pm ha depositato le dichiarazioni rese da Torcasio, Cappello e Battista Cosentino?” e la Meliadò ha risposto “no, non sapevo nulla, circolavano delle voci, ma non sapevo se erano voci fondate o meno”. Dopo scarcerazione di Pasquale Torcasio l’avvocato ricorda quanto già dichiarato dalla Meliadò e della sua preoccupazione per l’incolumità del fratello come possibile ritorsione. La Meliadò ha confermato che paura c’era e che la notizia all’epoca l’aveva appresa per intero dai giornali”. Marchese ha poi chiesto che rapporti aveva con Alessandro Torcasio. La Meliadò ha risposto di “rapporti d’amicizia”. “Non ha avuto relazione con Alessandro Torcasio?”. E la Meliadò: “Avvocato ma avevo 13 e 14 anni” e Marchese: Lei dove ha abitato in questi anni?Non ho altre domande. Era solo per dimostrare - riferendosi al presidente Fontanazza - la poca credibilità della signora”.

Notarianni, malata, dà forfait

Successivamente doveva iniziare il controesame di Rosanna Notarianni ma il suo legale, l’avvocato Talarico, ha preso la parola spiegando che “non ha rinunciato, ma ha problemi di salute”. Il presidente Fontanazza ha deciso di rinviare l’udienza al prossimo venerdì 13 marzo spiegando che se la Notarianni non dovesse comparire e non dovesse presentare documentazione medica si dovrà intendere come rinuncia a comparire e come volontà di non sottoporsi all’esame nell’ambito del processo Perseo.

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