Processo Perseo, nuova udienza con pentito Torcasio su estorsioni ed organizzazione cosca

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Lamezia Terme – La Commissione, gli omicidi, il meccanismo estorsivo, l’usura e il traffico di stupefacenti: tanti i punti toccati nell’udienza odierna da Angelo Torcasio, collaboratore di giustizia e teste nel processo Perseo al Tribunale di Lamezia. Sette ore durante le quali il pentito ha chiarito ancora di più nello specifico quali fossero i ruoli, quali gli incarichi e le procedure della cosca a cui ha appartenuto per un decennio. Le ritorsioni e le minacce di morte per i figli, l’arresto nel luglio 2011, l’incontro con il pm Romano, dai quali scaturì la successiva decisione di inziare a collaborare con la giustizia, dando il là per un’altra serie di pentimenti eclatanti ma, soprattutto, la possibilità di smantellare piano piano la cosca Giampà, quella che reggeva il potere nella zona di Lamezia Sud e anche in centro città. Lui che non ha mai ricevuto il “battesimo” della ‘ndrina ma che fu elogiato dal boss come colui che aveva “il massimo delle doti da ‘ndranghetista”, parla così della cosca a cui apparteneva: “non è mai esistito il singolo. La famiglia Giampà viveva di sete di vendetta, estorsioni, usura, armi, truffe assicurative e traffico di droga. Ogni omicidio che facevamo poi, ci permetteva di allargarci anche a livello estorsivo”. Così parla Angelo Torcasio e così spiega le varie procedure che utilizzavano per ogni loro affare.

Per le estorsioni, se in un primo momento erano lavoro di Vincenzo Bonaddio, in un secondo momento sono passate a Giuseppe Giampà: “Servivano i soldi per pagare gli avvocati e mantenere le famiglie” ha aggiunto. La procedura era quella di incaricare dei ragazzi di posizionare delle bottiglie incendiarie vicino ai negozi e, se la vittima, una volta trovato il “messaggio”, non si rivolgeva ad uno degli associati, si passava allo step successivo. Nel caso contrario era l’associato ad andare dalla Commissione che avrebbe poi deciso tutto, perché, come ha spiegato nel corso del suo esame, “erano i cinque a prendere le decisioni importanti”.

Ad occuparsi poi dell’usura erano diversi componenti della cosca, con tassi del 100% mensili, mentre il traffico di stupefacenti era controllato dal boss Giuseppe Giampà che aveva la sua capillare organizzazione di associati e adepti: una vera e propria grande e piccola distribuzione con picchi nel corso dell’anno. “La cocaina ad esempio – ha spiegato Torcasio – aveva un incremento nel periodo natalizio. In generale veniva importata a chili da Milano, dal cugino di Giuseppe Giampà Antonio Stagno. Ognuno di loro aveva un proprio canale a cui riferirsi per la distribuzione, altrimenti poteva spacciare direttamente”.

Ai traffici “normali” si aggiungevano poi quelli trasversali: gli sconti del 50% nei negozi di abbigliamento, la merce ritirata dalle mogli degli associati con la promessa di un pagamento che, però, non avveniva mai in qualsiasi esercizio commerciale, spaziando dai vestiti, agli articoli sportivi, ai bazar nel periodo natalizio. Una holding vera e propria con un potere che andava oltre i soliti sistemi. Una rete intorno poi faceva da contorno, grazie alle commistioni con imprenditori, esterni alla cosca, ma che ne rafforzavano comunque il potere: Angelo Torcasio ha fatto i nomi di Fedele Filadelfio, Antonio Gallo, Roberto Piacente, Francesco Cianflone, già noti per altri processi che li vedono imputati come imprenditori di riferimento del clan. Aiuti però arrivavano anche da personaggi delle forze dell’ordine: Torcasio ha fatto riferimento, infatti, ad un carabiniere “con i baffetti” che li avrebbe aiutati in più di un’occasione.

Nel corso dell’udienza il pubblico Ministero si è poi concentrato sulle posizioni singole di ogni imputato chiedendo per ognuno, il ruolo, la posizione, l’attività: tutto ciò che poteva dare un quadro ancora più completo rispetto ai presunti associati. Venerdì prossimo, il 24 ottobre, davanti il giudice Fontanazza come presidente e i giudici Aragona e Monetti a latere, toccherà al controesame dei difensori, slittato da questa alla prossima udienza, proprio per il fiume di informazioni che ilo collaboratore ha dovuto raccontare.

C.S.

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