ESCLUSIVO - Processo Perseo: parla Giuseppe Giampà - VIDEO

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Lamezia Terme – “Buongiorno presidente, buongiorno alla corte, buongiorno a tutti”. Esordisce così il boss, ora collaboratore di giustizia Giuseppe Giampà all’udienza del processo Perseo in corso a Lamezia presieduto dal giudice Carlo Fontanazza e, a latere, Aragona e Monetti. Il boss, ora pentito, inizia così a rispondere alle domande del pm Elio Romano che chiede subito se Giampà apparteneva ad una famiglia di ‘ndnrangheta e, alla sua risposta affermativa, incalza chiedendo il suo ruolo all’interno della cosca. Giampà, brevemente, afferma che “sono stato capo clan dal 2008” e fino al 2011 quando poi è stato arrestato ed ha, successivamente, deciso di collaborare con la giustizia. L’ormai ex boss ha poi confermato, su domanda, coloro che erano al vertice della cosca citando se stesso, lo zio Vincenzo Bonaddio, Pasquale Giampà (millelire), Aldo Notarianni e poi “quelli della montagna”, ovvero gli Arcieri ed i Cappello.

Alla domanda del pm Romano “di cosa vi occupavate?” la risposta di Giampà è stata “un po’ di tutto: omicidi, usura, estorsioni, droga, truffe alle assicurazioni...tranne la prostituzione, ci occupavamo un po’ di tutto”. Dell’affiliazione dei Cappello, Giampà parla avvenne tra il 2003/2004. Prima li ritenevano responsabili dell’omicidio dello zio ma poi capimmo che non c’entrava nulla e ci ha dato dimostrazione che erano contro Torcasio”. Sulla figura di Saverio Cappello, invece, Giuseppe Giampà spiega come “ lui mi ha cercato per effettuare traffico di droga e, po,i ci siamo legati”. Il pm Romano insiste “con quale omicidio ha dimostrato la sua lealtà al clan?” e Giampà “Con l’omicidio di Domenico Zagami. Per quell’omicidio i mandanti siamo stati io e mio zio Vincenzo Bonaddio”. Si ricorda che proprio quell’omicidio, “nel giorno di ferragosto 2004”, fu il primo con a capo Giuseppe Giampà.

“Prima del 2004 - ricorda poi -  fino al 2000 eravamo unica cosca e dopo l ‘omicidio di Giovanni Torcasio  ci siamo staccati come cosca  e abbiamo avuto distacchi con i Cerra- Torcasio-Gualtieri. Nel 2002 in quell ‘anno venne ammazzato mio zio e quindi quello fu la rottura, ma a maggio del 2001 volevano ammazzare a me e i miei zii non ci volevano credere a sto fatto perché c’era la parentela e invece poi, dopo, hanno ammazzato a lui, a mio zio. Dall’omicidio Zagami è cominciata la vera guerra con i Cerra-Gualtieri-Torcasio”.

"Il traffico di droga lo gestivo io"

Per quanto riguarda la droga “il traffico lo gestivo io, i canali di comunicazione erano tanti. Ne avevamo un sacco di spacciatori su Lamezia”. Sulle armi, invece, la disponibilità erano quelle inerenti le “armi da guerra, bombe a mano, esplosivo, Kalashnikov. Una pistola a testa tra gli affiliati” mentre sull’approvvigionamento si poteva sempre contare su “mio cugino a Milano” oltre ad altri affiliati.

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La scelta di Vasile come killer

Sulla scelta di Vasile come killer Giampà parla che “siccome era un ragazzo riservato, si è messo a disposizione e poi da lì ha ucciso Cittadino, padre e figlio “Carrà”, Nicola Gualtieri” e, sempre Vasile,  era stato “individuato” da Angelo Torcasio.

I rapporti con Iannazzo

Su i rapporti con le altre cosche lametine Giampà ha parlato dei Iannazzo “avevamo nemici in comune (riferendosi ai Torcasio, ndr). “C’era un rapporto imprenditoriale –ha poi aggiunto - facevamo qualche estorsione insieme e parlavamo di lavori da prendere insieme. I rapporti nell’ultimo periodo li curavo io, prima Rosario Cappello, Angelo Torcasio ma nell’ultimo periodo ci parlavo io direttamente con Vincenzo Iannazzo e Antonio Provenzano”.

I dissidi con lo zio

Poi Giampà parla dei dissidi con lo zio per via dei soldi mancanti ai carcerati frutto delle estorsioni e del dissidio tra i due e la decisione di estrometterlo dalla riscossione delle estorsioni e di gestire direttamente la cosa assieme ad Angelo Torcasio. Questo perché, per Giampà, “i patti non erano stati mantenuti”.

A Muraca dissi: "se uccidi Francesco Torcasio ti faccio prendere in mano tutto Capizzaglie"

L’ex boss poi ricorda il passaggio di Umberto Egidio Muraca al clan Giampà dopo il suo sconfinamento nel richiedere le estorsioni che gli stava costando la pelle. Collegato al “passaggio” di Muraca, Giampà ricorda brevemente l’omicidio di Vincenzo Torcasio (Carrà) spiegando come quell’omicidio fu organizzato “in quattro e quattrotto”. Successivamente Muraca fu convocato da Giampà e “gli misi in testa che se voleva avere qualche ruolo, gli dissi di uccidere il ‘Carrà’ (Francesco Torcasio, ndr)” aggiungendo che “ti faccio prendere in mano tutto Capizzaglie cacciando i Torcasio”. “Quello che volevo io, era di scalzare i Torcasio”.

I messaggi in carcere

Su come Giampà dialogava dal carcere, lo stesso ammette “tramite pizzini che uscivano con le guardie carcerarie e mia moglie che riusciva a farli arrivare ai destinatari”. Anche nel carcere si “parlava”. Giampà ha infatti spiegato che ciò avveniva “sia tramite finestre del carcere, che con messaggi tra primo piano con corde che scendevano dal secondo e piano terzo”. Le comunicazioni avvenivano anche “spostandosi da area ad altra a seconda di guardie che erano in servizio”.

"I Cid si vendevano come caramelle"

Sulle truffe assicurative lo stesso si è dilungato spiegandone i meccanismi e confermando le persone coinvolte. Scendendo nel dettaglio Giampà ha spiegato che avvocato di riferimento fosse Lucchino mentre anche con l’ avvocato Scaramuzzino “avevamo buoni rapporti di amicizia, era un soggetto che curava le pratiche delle assicurazioni con i Trovato. I Trovato di truffe ne facevano a bizzeffe”. Inoltre, ha poi aggiunto “I Cid a Lamezia si vendevano come le caramelle e li vendevano anche in cambio di droga”.

Il coinvolgimento con la politica

Per quanto riguarda il legame con la politica Giampà ha poi ricordato come apprese di Aiello candidato alle regionali e che chiese all’avvocato Giovanni Scaramuzzino di fissare un incontro  per cercarmi un aiuto elettorale. Il sistema era organizzato così: loro chiedevano i voti  anche se a noi, come clan, non interessava avere dei referenti con la politica perchè non me li fidavo. A me non interessava avere legami a livello comunale, ma a livello provinciale e poiché io avevo un ingrosso di distribuzione alimentare mi serviva una mano per prendere gli appalti delle aziende sanitarie e, quindi, a livello provinciale mi sono legato ad Aiello proprio perchè lui mi avrebbe fatto ottenere gli appalti”. Per quanto riguarda gli altri, Giampà ha poi spiegato come “con Lucchino nell’ultima settimana di votazioni gli ho suggerito se voleva raccogliere qualche voto di andare dagli zingari perché Franco Trovato aveva buoni rapporti con loro e li mise d’ accordo per la compravendita di voti con 15 mila euro. Quando ci furono le elezioni, lui non ottenne voti e per recuperare quei soldi gli fece fare un’assicurazione su una macchina della moglie e gli fece ottenere i soldi persi. Tiziana D’Agosto – ha poi aggiunto - quando si presentò alle elezioni fu appoggiata da mio cugino” .

"Io non avevo rapporti con le forze dell'ordine, eravamo il bianco ed il nero"

Su legami con forze dell’ordine Giampà ha confermato che “clan aveva legami e li aveva soprattutto Battista Cosentino, lui sapeva se c’erano perquisizioni e questi due carabinieri ci riferivano tutto, ci davano le soffiate. Io non volevo rapporti con le forze dell’ordine perché eravamo come il bianco e il nero…due parti opposte”.

Successivamente Giampà ha poi parlato dei singoli omicidi per poi iniziare a parlare delle singole posizioni associative. Posizioni che saranno esposte anche nella prossima udienza fissata per il prossimo venerdì.

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