Processo Perseo, Saverio Cappello: "Con gli Iannazzo ci spartivamo estorsioni"

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Lamezia Terme – E’ ripreso questa mattina il processo Perseo con rito ordinario che si svolge a Lamezia. In aula, sul banco in videoconferenza dalla località in cui si trova, il collaboratore Saverio Cappello ritorna a parlare, ad una settimana di distanza, della sua appartenenza alla cosca, il grado affiliazione dei vari imputati ed i rapporti della cosca Giampà con le altre cosche.

Il collegio presieduto da Carlo Fontanazza, ed a latere dai giudici Aragona e Monetti, ha dato il via al pm Elio Romano che ha continuato ad elencare al collaboratore gli appartenenti alla cosca e, secondo le sue conoscenze, i loro specifici gradi di affiliazione al clan Giampà. In particolare, Cappello ricorda anche la circostanza del ferimento, nei pressi della sua abitazione, di un carabiniere. In particolare Cappello fa riferimento al fatto che Claudio Paola,  “da sempre appartenente e legato a Giuseppe Giampà prima del 2004” si era trasferito da poco vicino all’abitazione di Cappello in un periodo in cui frequentava i Torcasio “che – dice il pentito – diceva di frequentare apposta per riferire a Giuseppe”.

Nel 2010, quando Paola si trasferì vicino casa dei Cappello, frequentava Francesco Torcasio (Carrà, poi assassinato). “Io – dice in aula Cappello - ero in allerta perché Trachino (Claudio Paola, ndr) portava questi personaggi a casa sua e poteva approfittare a fare qualche azione contro di me. Giuseppe (Giampà, ndr) mi disse di stare armato se vedevo qualcosa”. Avrebbe quindi questa origine la sparatoria nei confronti di un carabiniere in borghese nel quartiere Bella avvenuta nel 2010 tanto che lo stesso Cappello conferma come risale “a quel particolare periodo la sparatoria con quel carabiniere che aveva parcheggiato la macchina in borghese in una stradina vicino a casa mia e, siccome avevo paura, ho sparato qualche colpo ma invece si trattava di un carabiniere”. Tra gli altri argomenti non poteva mancare l’argomento scontistica nei negozi del centro città ed il ruolo attivo delle donne come intermediare tra carcere e vita all’esterno.

Altro tema affrontato dalle domande del pm Romano al pentito Cappello è stato quello relativo ai rapporti con le altre cosche di Lamezia e quelle fuori dal territorio lametino. Cappello parla di “sorta di compromesso” con il clan Iannazzo specificando che “eravamo in buoni rapporti con il ‘moretto’ Vincenzino Iannazzo, Antonio Davoli e gli altri appartenenti al clan Iannazzo”. Il pm ha poi chiesto in che senso dovevano intendersi le parole “buoni rapporti” e se prevedevano “accordi”. Saverio Cappello ha risposto affermativamente specificando che si trattava di “accordi di spartizione estorsioni a livello di lavori  sull'autostrada...in pratica il clan Giampá e Iannazzo avevano un'alleanza a livello di attività estorsiva. Se Iannazzo prendevano soldi per autostrada dividevano con Giampá e viceversa”. Poi Cappello specifica come i contatti, in un primo periodo “sono avvenuti tramite Angelo Torcasio, tramite di Provenzano e poi, successivamente, Franco Trovato. Poi ci sono stati incontri tra Giuseppe Giampá, Vincenzo Giampá e Antonio Davoli dopo dei quali si è arrivati ad un patto a livello estorsivo del territorio manifestando entrambi i clan la guerra al clan dei Torcasio aggiungendo che “sia Iannazzo che Giampá mantenevano questa distanza con i Torcasio perché erano entrambi rivali di questi”.

Cappello ha poi  ulteriormente spiegato che l’accordo Iannazzo-Giampà era su estorsioni su lavori di opere “Se c'era un lavoro grosso da milioni di euro – ha poi specificato Cappello - si arrivava ad un'estorsione unificata e una spartizione”. Tra le consorterie esterne al territorio Cappello ha poi fatto il nome di rapporti con i Mancuso (in particolare, Cappello ha fatto riferimento a Salvatore Ascone che riforniva i Giampà di droga), i Mantella, gli Anello, i Fruci, quelli di Amantea, i Bellocco, specificando per quest’ultimi come “Giuseppe (Giampà, ndr) mi diceva che Umberto Bellocco era stato suo compare di battesimo” ed Ascone.

Vi.Ci.

Il meccanismo delle truffe e i danneggiamenti ai commercianti

E’ stato poi il pubblico ministero Elio Romano a chiedergli quale fosse il meccanismo delle truffe assicurative e se lui ne avesse mai portato a termine qualcuna, per sé o per conto della cosca. “Era Giuseppe Giampà ad aver messo in piedi un vero e proprio meccanismo di routine. – ha risposto Cappello – In generale, era un metodo portato avanti da quasi tutti i componenti del clan”. Per quanto lo riguardava, Saverio Cappello ha spiegato che andava nella carrozzeria dei Trovato, “si svuotava la macchina e si toglievano i pezzi nuovi per sostituirli con quelli accidentati”. Il tramite con l’assicurazione Zurigo era un certo Francesco che consegnava, secondo le dichiarazioni di Cappello, anche gli assegni mentre il perito di riferimento era Renato Rotundo.

Il collaboratore ha parlato poi anche del ruolo degli avvocati nelle truffe assicurative: “conosco personalmente l’avvocato Giuseppe Lucchino, lui era nel circolo delle truffe. Lucchino acquistava i cid e seguiva le pratiche. Se dovevo rivolgermi a qualcuno per questo tipo di affari, andavo da lui o direttamente da Francesco della Zurigo”.

“Con l’avvocato Chicco Scaramuzzino, invece, non ho mai avuto rapporti personali ma ho saputo da Giuseppe Giampà che anche lui si occupava delle simulazioni”. Per quanto riguardava i certificati, invece, se ne sarebbe occupato il dottor Carlo Curcio Petronio: “una volta accompagnai personalmente il ‘Battero’ (Domenico Chirico ndr) a prendere un certificato per una somma tra i 50 e i 100 euro”. Un meccanismo, quello delle truffe, i cui proventi sarebbero serviti, così come lo spaccio e le estorsioni, “a fare cassa per il clan”.

“Con i soldi incassati – ha continuato Il pentito – si acquistavano armi e si mantenevano i ragazzi affiliati, sia del gruppo di fuoco che non”. E alla domanda del Pm se percepisse una sorta di stipendio mensile, Cappello ha risposto “ non tutti i mesi, ma periodicamente soldi e cocaina a prezzi buoni”.

Nel ricostruire la storia “singola” di ogni imputato affiliato alla cosca Giampà, Saverio Cappello ha avuto modo di parlare, tra gli altri anche della posizione di Franco Trovato e di come la sua carrozzeria fosse usata come punto di ritrovo non solo del clan Giampà ma anche di svariati clan del lametino. Una sorta di covo, dove si discuteva anche chi appoggiare alle varie elezioni nel corso degli anni. Cappello ha ricordato, in particolare, l’episodio delle Amministrative del 2010 quando appoggiarono la candidatura in Consiglio comunale dell’avvocato Lucchino che, in cambio dei voti garantiti dalla cosca, avrebbe versato la somma di 10/15 mila euro che poi il clan avrebbe consegnato anche ai Rom del campo in località Scordovillo. “La sera delle elezioni – ha ricordato Cappello – andammo personalmente alla sezione del Razionale dove votavano per controllare se effettivamente fosse andato tutto a buon fine”.

Tra le varie domande del pubblico ministero Romano, alcune sono state dirette a capire come si agisse per compiere i danneggiamenti alle attività commerciali: Cappello ha spiegato che spesso, soprattutto durante le feste, si rifornivano da un certo Fausto di San Pietro a Maida per il confezionamento di ordigni rudimentali.

“Erano bombe artigianali confezionate con carta tipo quella del pane. Avevano una miccia rossa a lenta combustione, la cui lunghezza dipendeva da quanto in fretta dovesse scoppiare l’ordigno. Il peso poi, dipendeva dal danno che si intendeva fare. Diciamo che per una bomba di circa 500gr o 1kg si spendeva 50 euro ma il pagamento in generale era soggetto al quantitativo”.

Diverse le intimidazioni ai commercianti raccontate nel corso dell’udienza, tra le quali Cappello ha ricordato quella al gioielliere Caputo: “Giuseppe Giampà ci aveva informato durante una cena in un ristorante a Bucolia dell’intenzione di compiere un danneggiamento ai danni dell’orafo Caputo perché quest’ultimo gli aveva fatto uno sgarro. Se non ricordo male – ha aggiunto – Caputo o non gli aveva fatto uno sconto su un prodotto o gli aveva fatto pagare una catenina acquistata nel suo negozio. Ricordo che Giuseppe Giampà disse che Caputo si era montato la testa e doveva fargliela pagare”.

L’udienza, conclusasi dopo circa sei ore di esame del teste, è stata l’ultima del 2014. Si ritornerà in aula, per ultimare l’esame del pentito e cominciare il controesame il 9 gennaio prossimo. 

C.S.

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