Esclusiva - Ruperti: Dirty Soccer, una mia intuizione

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di Battista Notarianni.

Catanzaro - L’inchiesta denominata “Dirty Soccer” ha avuto una risonanza nazionale e internazionale. Ha causato una lunga serie di dichiarazioni e di reazioni, sia nel mondo del calcio sia in quello politico. Una per tutti (se non la più importante): nella finale di Coppa Italia, all’Olimpico, il presidente della Repubblica, Mattarella, ha voluto rilasciare una dichiarazione sull’esigenza di pulizia nel calcio. Uno degli artefici di questa inchiesta, anzi il principale artefice su sua stessa ammissione fatta con orgoglio e passione, è Rodolfo Ruperti, capo della squadra mobile di Catanzaro (nelle foto l’alto dirigente e il suo vice Angelo Paduano con gran parte del gruppo che ha eseguito le indagini). Ecco l’intervista:

“Dirty Soccer” è una richiesta di fermo da parte del pm Romano, non un’ordinanza firmata da un GIP. Per quale motivo?

“Praticamente nel corso delle indagini si sono venute a creare, soprattutto nel secondo gruppo criminale, delle frizioni molto importanti. Mi spiego meglio: quella che noi abbiamo individuato è un’associazione composta da gruppi: il gruppo dei serbi, quello degli albanesi, quello dei romagnoli, un altro gruppo che faceva capo a Ercole Di Nicola, direttore sportivo dell’Aquila, il gruppo dei maltesi. Si sono create delle serie di frizioni, perché combinare una partita di calcio non è semplicissimo, si va incontro ad una serie di incognite: vedere quanto calciatori si sono comprati, comprare, un solo calciatore potrebbe non essere sufficiente per la combine, ecc. Quindi è capitato che qualche partita è saltata, benché fosse stata combinata. Ma resta comunque il reato, perché è un diritto di pericolo, non è necessario il risultato finale perché la combine esisteva. Ma per gli scommettitori, che hanno messo i capitali, ovviamente la cosa non andava per il verso giusto.

Spesso i finanziamenti li portavano i serbi, gli albanesi, i maltesi e costoro, che avevano finanziato la combine, volevano delle garanzie sui risultati. Quelli che avevano organizzato la combine dovevano anticipare i soldi ai calciatori. Ma i finanziatori, che per esempio versavano in anticipo ventimila euro poi puntavano ad incassarne cinquanta, non volevano certo la restituzione dei ventimila. Perciò si sono create delle situazioni molto gravi, per cui noi avevamo i serbi che venivano armati in Italia a cercare i calciatori che avevano preso i soldi ma poi il risultato della partita non era quello promesso. Calciatori che scappavano per non farsi trovare, c’è il caso di un albanese che doveva dare ai pugliesi una cifra importante, letteralmente sequestrato da costoro e massacrato di botte. Noi non sapevamo dove fosse, non potevamo intervenire perché gli avevano spento il telefono, abbiamo temuto il peggio, che fosse stato ucciso.

Ci siamo rivolti al pm Romano e al procuratore aggiunto Bombardieri per i decreti di urgenza per cercare di rintracciarlo. Fortunatamente per lui non l’hanno ucciso e lo hanno liberato dopo un po’ di ore. Ma avevamo la prova che fosse stato sequestrato perché lui telefonò al fratello in Albania chiedendogli di vendere le proprietà che avevano per racimolare la cifra importante, se non erro di 150 mila euro, che doveva dare subito a questi sennò lo avrebbero ammazzato. Quindi vivevamo tutte queste “ansie” su queste vicende e temevamo che queste persone, una volta commesso dei reati così gravi - soprattutto i serbi, come è successo infatti poi li abbiamo presi - dopo potessero darsi facilmente alla fuga, scappando dall’Italia. Per questi motivi abbiamo chiesto dei provvedimenti di urgenza al pm. Però che succede? Se il pm mi dà i provvedimenti di urgenza su serbi, albanesi, pugliesi e tutti gli altri gruppi, va in discovery tutta l’attività investigativa e quindi chi se ne vuole scappare se ne scappa.

Tenete presente che queste erano persone che si muovevano per tutta Italia, noi abbiamo dovuto pianificare le catture nell’ambito di dieci giorni perché queste persone un giorno stavano in un posto, poi si spostavano in un’altra città, poi il giorno dopo in un’altra ancora. A volte non li trovavamo. Le faccio un esempio: con un escamotage abbiamo telefonato al diesse dell’Aquila, dicendogli che la mattina successiva doveva presentarsi in questura. Lui ci ha risposto dicendo che stava a Bologna ma noi stavamo monitorando il suo telefono e sapevamo che invece era proprio a L’Aquila. Lui la mattina dopo non si è presentato e se ne è andato a Venezia, ma per via del monitoraggio noi sapevamo dove si spostava e così lo abbiamo catturato.Un altro motivo dell’urgenza riguarda le necessità della giustizia sportiva, che a sua volta deve fare il suo corso. Ho letto l’intervista a un avvocato esperto in materia, in cui questo legale spiegava che già così com’è adesso questa indagine scatenerà sicuramente un terremoto per il prossimo campionato, essendo previste una serie di sanzioni amministrative molto gravi. E questo a prescindere dalla giustizia penale che già di per se stessa oggi è molto severa perché prevede per la frode sportiva una pena dai tre ai nove anni e quindi la frode sportiva è un reato importante, se l’importanza è data dalla sanzione penale”.

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Ma come è possibile che tutta questa inchiesta nasca dalle indagini su Pietro Iannazzo?

“Me ne prendo un po’ il merito, è stata una mia intuizione investigativa. Noi stavamo indagando su Pietro Iannazzo per altri motivi, il periodo era intorno ad agosto o settembre dello scorso anno, e questa intercettazione mi “alimentò” perché capii che Pietro Iannazzo si occupava di calcio in una maniera diversa da quella consuetudinaria. E’ vero un po’ che di queste pastette nel calcio si è sempre detto che ci sono, si è sempre detto che si fanno. Però in quella circostanza avevamo capito che, tramite e insieme ad un amico locale, Iannazzo faceva queste cose per scommetterci sopra. Ed erano molto interessanti questi rapporti che loro avevano con il direttore sportivo del Neapolis e con il presidente del Neapolis, Moxedano, una persona molto conosciuta come il re del bingo e come presidente del Napoli anche se per un breve periodo. Da lì si è “dipanata” immediatamente questa facilità di Pietro Iannazzo di avere contatti.

Un esempio: devono alterare il risultato di Intereggio-Neapolis, subito Iannazzo si mette in moto, facilmente e immediatamente riesce a contattare tramite un avvocato di Monasterace il diesse della Juve Stabia, poi un socio di fatto dell’Interreggio e da lì si “avvinghia” su questa partita iniziale. Da lì noi a questo punto cominciamo a mettere sotto osservazione altre persone e ci troviamo in un’attività veramente importante in un settore diverso da quello per cui stavamo lavorando. Un lavoro immenso da parte degli uomini della Squadra Mobile perché mentre stavamo lavorando sui Iannazzo seguivamo pure il filone calcistico, intercettando persone che avevano nomi per noi sconosciuti, abbiamo intercettato i serbi, gli albanesi. Noi eravamo già pronti sull’inchiesta sul calcio, aspettavamo solo il provvedimento del GIP sui Iannazzo, che ci certificasse in qualche modo l’associazione mafiosa dei Iannazzo”. 

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