Ventura ucciso per aver svolto il suo lavoro di carabiniere - VIDEO

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Lamezia Terme - “Ucciso per aver svolto il proprio dovere”. Questo il motivo alla base dell’omicidio del fotografo, ex carabiniere, Gennaro Ventura, emerso oggi in conferenza stampa. Ventura fu freddato il 16 dicembre 1996 da Gennaro Pulice, ora collaboratore di giustizia, e poi fatto sparire. I suoi resti furono trovati casualmente nel 2008 in una fossa per la fermentazione del mosto in una zona di campagna chiamata “Carrà Cosentino”. “Una signora stava per acquistare il fondo, fece fare un’ispezione e uscirono fuori i resti”. A spiegare i dettagli dell’omicidio in conferenza stampa, il capo della polizia distrettuale di Catanzaro, Nino De Santis e il suo vice Angelo Paduano, il procuratore aggiunto, Giovanni Bombardieri e il dirigente del Commissariato di Lamezia Terme, Antonio Borelli. L’omicidio di Ventura fu deciso e programmato da Domenico Antonio Cannizzaro per vendetta. Ventura, infatti, durante gli anni di servizio come carabiniere alla Stazione di Tivoli, aveva identificato Raffaele Rao, 56 anni, ritenuto uno dei responsabili di una rapina ai danni di un consulente tecnico dell’A.G. che custodiva un ingente quantitativo di sostanze stupefacenti presso la propria abitazione. Droga sottratta da due persone che Ventura, per caso, aveva visto scendere dall’abitazione del perito. Rao, che per tale reato fu condannato alla pena di dieci anni di reclusione, è legato da rapporti di parentela con i Cannizzaro. Il "Bibbiano", soprannome di Domenico Cannizzaro, riteneva l’arresto ingiusto, da qui, la vendetta nei confronti dell'ex carabiniere.

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Bombardieri, in conferenza stampa, evidenzia come le dichiarazioni del nuovo collaboratore siano un ulteriore tassello che si è aggiunto ad altre collaborazioni che hanno consentito di ricostruire quello che chiama un “cold case”. “Siamo fieri di aver fatto piena luce sul perché è stato ucciso Gennaro Ventura. Le dichiarazioni di Pulice - aggiunge - hanno dato un’accelerazione per una risposta di chiarezza a noi e ai cittadini, arrivando a sapere come, quando e perché è stato ucciso Gennaro Ventura". Bombardieri racconta la vicenda, che avuto una notevole rilevanza mediatica anche nazionale, che risale al 1996: “In principio si trattava di sequestro di persona, in assenza del cadavere. L’omicidio è poi stato archiviato e riaperto dopo la scoperta dei resti, nel 2008, tramite accertamenti scientifici ed una serie di indagini sulla base di alcune dichiarazioni dei collaboratori che già davano una causale, all’epoca non erano sufficienti per un’azione penale. Oggi ci sono elementi chiari e definitivi: il mandante fu Domenico Cannizzaro mentre Gennaro Pulice l’esecutore materiale”. E’ stato proprio Pulice, ora collaboratore di giustizia, a svelare le circostanze dell’omicidio che hanno portato oggi all’arresto di Cannizzaro, notifica del provvedimento restrittivo avvenuta presso la Casa Circondariale di Tolmezzo, dove attualmente è detenuto per altra causa. Gennaro Pulice, riferisce sempre il procuratore aggiunto Bombardieri, ha fatto luce sulle modalità e i motivi dell’omicidio raccontando che fu lui a far cadere Ventura nella trappola omicida. Gli diede un appuntamento per fare un servizio fotografico che Pulice doveva svolgere presso un terreno. “Il fotografo aveva perfino annotato l’appuntamento sull’agenda - sottolinea Bombardieri - con la meraviglia dello stesso Pulice". Particolare che conferma la versione resa dal collaboratore.

Il capo della Squadra Mobile di Catanzaro, De Santis, spiega in dettaglio le cause del delitto che, “trova la sua causale in un’attività di servizio svolta da Ventura: l’origine dell’omicidio è da rintracciarsi, infatti, nell’attività di servizio svolta da Ventura come carabiniere a Tivoli. Grazie a lui fu possibile arrestare Raffaele Rao, cugino di Domenico Cannizzaro". De Santis ripercorre l’episodio che ha portato Ventura a riconoscere Rao scendere dall’abitazione del perito al quale avevano sottratto la droga. “Ciò che determinò la volontà omicidiaria dei Cannizzaro” spiega De Santis, che aggiunge un altro particolare che ha scatenato questo intendo, ovvero “Raffele Rao si ammalò per via, probabilmente, delle sofferenze fisiche che i familiari attribuirono alla detenzione scaturita dell’attività di Ventura”. “Cannizzaro - evidenzia De Santis - armò la mano di Pulice che con una trappola legata ad un incarico lavorativo gli sparò e nascose il cadavere in una botola per la fermentazione del mosto. Nel 2008, la scoperta dei resti accanto ai quali furono trovati anche l’anello nuziale, una catenina e le sue macchine fotografiche, elementi che confermano l’incarico professionale alla base dell’appuntamento con Pulice”.

Il dirigente del Commissariato di Lamezia Terme, Antonio Borelli, conclude ribadendo la “pericolosità delle consorterie mafiose". "A Lamezia Terme - aggiunge - si può essere uccisi anche solo perché si svolge il proprio dovere, come è accaduto anche per il sovrintendente di polizia Salvatore Aversa e per la moglie ed ora anche per Gennaro Ventura. Il nostro è un territorio che negli anni ha visto colpiti esponenti delle forze dell’ordine mentre facevano il loro dovere, è un territorio che rigenera continuamente le sue cellule tumorali. Ma stiamo avendo dei risultati importanti per il passato e per come avvenuto oggi. Lavorare assieme - conclude Borelli - più forze con lo stesso obiettivo portano ai risultati avuti oggi”. Paduano precisa, infine che “Pulice ha avuto mandato da Cannizzaro e ha agito da solo”. Sono, infatti, andati insieme con la macchina di Pulice diretti nel luogo che Gennaro Ventura pensava di fotografare. “Pulice - svela infine Bombardieri - ha riferito che in principio aveva pensato di farlo nello studio ma c’erano la mamma e il fratello”. “Sicuramente non abbiamo finito su Lamezia”, conclude.

Ramona Villella

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