La rabbia giovane dei McKenzie: “Il palco è la nostra vita”

 

McKenzie-24122018.jpg

di Francesco Sacco.

Lamezia Terme – Dopo un ottimo EP che li ha portati a suonare in vari festival italiani, tra cui Arezzo Wave e Italian Party, i lametini McKenzie, trio post-hardcore formato da Renato Failla, Luca Vittorino e Ciccio D’Amico, approdano al primo full lenght con “Falena”, distribuito il 16 novembre da Black Candy Records e anticipato da due singoli “fedeli alla linea” (“Sergio” e “Lupus In Fabula”) che lasciavano però intravedere una tensione emotiva differente. Sensazioni confermate dalle otto tracce di un debut album rabbioso e malinconico, fortemente debitore nei confronti del background anni ’90 del gruppo, ma figlio bastardo della tradizione punk in tutte le sue declinazioni.  Mutuando, con le dovute proporzioni, la lezione di band seminali quali Hüsker Dü o Fugazi, i McKenzie trovano così nuove forme espressive in un hardcore maturo, meno istintivo, più calibrato e ambizioso, immergendo liriche da angry young men in un tessuto connetivo distorto e aggressivo, pronto a dissolversi in climax drammatici minacciosi, dilatati, dominati da caos e inquietudine. Sono questi i momenti più significativi di un esordio promettente che potrebbe preannunciare evoluzioni ancor più sorprendenti, sia in termini compositivi che di songwriting, qualcosa cui affidare le sorti di una scena incredibilmente vacua e banale, con rare eccezioni, come quella indie italiana.  

L’album è stato presentato ieri sera al Chiostro Caffè Letterario di Lamezia, data zero di un tour arrivato dopo opening d’eccezione su palchi prestigiosissimi (Bad Religion, MC50 e A Perfect Circle al Rock The Castle di Villafranca), occasione per fare due chiacchiere su “Falena” e sulla loro giovane carriera. Tra supercazzole e prese in giro random, il confronto ha rivelato un’attitudine punk scanzonata e irriverente, in netta antitesi con l’urlo e il furore pessimista della loro musica. D’altronde, come diceva qualcuno, “il primo errore dell’arte è quello di presumere di essere seria”. 

Questa a Lamezia è la data zero del tour di supporto a “Falena”, uscito il 16 novembre per Black Candy Records. Come è stato accolto il disco in questo primo mese? 

Renato: Ci sembra abbastanza bene. I primi dischi sono stati acquistati e abbiamo scoperto che molti amici stanno facendo il passaparola. C’è chi addirittura ha anche comprato l’album ordinandolo dal proprio negoziante di fiducia, credo dalle parti di Verona: una cosa molto XX secolo che a noi piace tanto. Però Luca ti può confermare di più, lui è l’archivista del gruppo. 
Luca: Metto a verbale. 
Ciccio: Sono uscite diverse recensioni, anche su RUMORE e Blow Up!, e tutte positive, quindi pare bene; per questo ringraziamo anche A Buzz Supreme che ha fatto suo il progetto McKenzie sin da subito. Ora vedremo come la gente lo prenderà dal vivo, che credo sia la cosa più importante. 

Primo atto ufficiale post release è stato l’opening a “Brother” Wayne Kramer & Friends per i cinquant’anni di “Kick Out The Jams”, manifesto degli MC5, evento in cui avete condiviso il palco dell’Alcatraz di Milano con gente che suppongo abbia contribuito notevolmente alla vostra formazione musicale (Kim Thayil dei Soundgarden, Brendan Canty dei Fugazi, Bill Gould dei Faith No More e Marcus Durant degli Zen Guerrilla). Che esperienza è stata? 

Luca: Dopo aver fatto il nostro show, abbiamo incontrato tutti loro nel backstage. Ci hanno fermato, si sono presentati nome per nome e ci hanno fatto i complimenti, soprattutto Brendan Canty dei Fugazi. Io dopo non ho cenato! Poi abbiamo fatto la foto tutti insieme, abbiamo anche chiacchierato un po’. È stato tutto maledettamente assurdo.  
Ciccio: Avevo gli occhi lucidi e gonfi. Non avevo ancora realizzato bene quello che avevamo appena fatto finché non è successo quello che ha detto Luca. Forse realizzeremo veramente tra qualche mese. 
Renato: Kim Thayil quando ha visto la grafica del nostro disco è letteralmente impazzito! «THAT’S FUCKIN’ COOL! GREAT! THIS IS 1977» e altre cose del genere. Ovviamente gli ho subito detto che il merito era di un artista italiano, Pasquale De Sensi, anche lui di Lamezia Terme e con cui condividiamo un’amicizia e conoscenza dai tempi del liceo. Facevamo (e ne facciamo) parte di quella ristretta ma forte cerchia di persone che suonavano o erano molto vicine alla musica, nonostante le mille avversità. 

Altre aperture di rilievo sono quelle per Bad Religion, Corrosion of Conformity e, in particolare, A Perfect Circle in un festival come il Rock The Castle di Villafranca di Verona, che quest’anno ha ospitato anche Megadeth, Testament e Carcass. Che sensazione avete provato nel vedere il vostro nome in un cartellone simile?  

Luca: Ci siamo fatti un sacco di risate, ma tante! Erano isteriche. 
Ciccio: Siamo dovuti stare zitti per un sacco di tempo prima di poterlo dire anche al cane della vicina. Dopo una vita che suoni e hai sempre voglia di suonare, di arrivare il più lontano possibile, eventi come questi ti destabilizzano completamente e fai molta fatica a restare razionale. Ci siamo dovuti trattenere così tanto dal dirlo prima che alla fine, quando è uscita la notizia, sembrava stesse accadendo ad un altro gruppo con il nostro stesso nome. 
Renato: #imodium. 

Passiamo all’album, partendo innanzitutto dal titolo. Tra leggende metropolitane e retaggi cinematografici vari, la falena, animale prettamente notturno, ha notoriamente una connotazione lugubre. Potrebbe far pensare a un senso di tragedia imminente o a una sorta di trasformazione, nel senso più blakeiano del termine. Credete sia un titolo che rispecchi il mood e la lavorazione del disco? 

Renato: Tu studi troppo la notte. Dovresti dormire di più. 
Ciccio: Sicuramente la connotazione cinematografica pone delle esperienze vicine alle similitudini da te identificate attraverso la classificazione scientifica. Quello che, senza ombra di dubbio, possiamo annoverare tra le spiegazioni che compensino un equilibrio tra il pensiero comune e la leggenda occorsa intorno a questo nome è che tutto può sembrare ciò che non è. 
Luca: Era una supercazzola, Ci’? 
Ciccio: Sì. 

Le falene non sono quello che sembrano, certo. Parliamo di un album di chiara derivazione nineties, con qualche reminiscenza anni ’80, non solo hardcore ma anche post-punk, metal e persino punte di psichedelia. A proposito di trasformazione, come sono cambiati i McKenzie dall’EP d’esordio a “Falena”? 

Renato: Beh, direi parecchio! Quando abbiamo registrato l’EP, uscito poi per La Lumaca Dischi, con Vladimir Costabile, eravamo in formazione da sei mesi, è stato tutto molto veloce e c’era una forte urgenza di suonare e registrare. Era da un po’ di tempo che tutti e tre non avevamo un progetto musicale stabile e duraturo. Il palco è la nostra vita, senza di esso siamo spenti. 
Luca: Dopo aver pubblicato l’EP nel gennaio 2016, siamo usciti con una recensione su Internazionale nell’aprile dello stesso anno, abbiamo fatto un bel po’ di date, siamo finiti anche a suonare ad Arezzo Wave, nelle finali nazionali di quell’anno, e ad altri festival belli e importanti. Insomma, ci siamo resi conto che forse il progetto potesse funzionare e abbiamo preso più consapevolezza di noi stessi, di quello che volevamo e avremmo potuto fare. 
Ciccio: Ci conosciamo da vent’anni, non abbiamo mai suonato tutti e tre in uno stesso progetto ma abbiamo condiviso centinaia di esperienze a stretto contatto, sia musicali che di vita. Prima o poi sarebbe dovuto succedere. È stata un’evoluzione naturale delle cose. 

“Falena”, come da tradizione, è un disco piuttosto arrabbiato, sia in termini di sound che di songwriting. A differenza di quell’hardcore embrionale più vicino a tematiche politiche e sociali, però, mi è sembrato semmai il riflesso della vostra sfera intima, il frutto di un approccio più cantautorale. Cosa cercate di veicolare attraverso la vostra musica? 

Ciccio: Cerchiamo di scrollarci di dosso le rotture della vita, io però i testi che scrive Renato non me li ricordo mai tutti (risate). 
Luca: Io me li ricordo per forza perché devo cantare anch’io! (altre risate) 
Renato: Il prossimo disco sarà più politico (continuano le risate). 

Molto profondo, sì. Non manca, comunque, un certo piglio polemico nei confronti del mondo esterno: penso, ad esempio, a una canzone come “Coppa e Spada”. Chi sono i “non eroi con la medaglia in testa”? 

Renato: Prima abbiamo riso quando ho detto che il prossimo disco sarà più politico (ma in realtà stiamo veramente lavorando in quel senso), perché comunque anche raccontare la propria sfera intima può essere politica. “Coppa e Spada” descrive un cliché attraverso l’esperienza diretta con una persona che lo incarna: gli eroi non sono solo coloro che vengono insigniti con una medaglia (in qualunque ambito, anche sportivo) ma quelli che lavorano ogni giorno, nell’ombra, che si spaccano la schiena e che nessun giornale considera perché sono persone normali, come il 95% della popolazione mondiale. 
Ciccio: Ah sì?! Non sapevo parlasse di questo! (risate) 
Luca: Bravo, però scendi da lì! 

Quanto è difficile proporre questo tipo di musica in un panorama discografico discutibile come quello italiano, con tutte le sue derive itpop, trap e via dicendo? 

Ciccio: Guarda, non ci facciamo neanche più caso. Noi continuiamo per la nostra strada e continueremo finché ne avremo le forze. 
Renato: Poi ci metteremo a suonare il blues. Dei panzoni che suonano un blues grezzo e sporco. 
Luca: Ma io veramente vorrei andare a Sanremo. 

Come si svilupperà ora il tour?  

Luca: Nel migliore dei modi possibili: suonando ovunque! 
Ciccio: Se non ci fermiamo a Galdo per il gelato, non vengo. 
Renato: Sicuramente ci stupiremo anche nel 2019. In caso, citofonare Black Candy Records e Vertigo. 

 That’s all Folks! 

McKenzie-2-24122018.jpg

© RIPRODUZIONE RISERVATA