Lamezia: Ricrii XII, “L’ultimo Inganno”in scena venerdì 24 aprile a teatro Umberto

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Lamezia Terme- Lo spettacolo dal titolo “L’ultimo Inganno” scritto e diretto di Salvatore Arena e Massimo Barilla, con: Salvatore Arena, scene di Aldo Zucco drammaturgia dei suoni di Dario Andreoli, disegno luci di Beatrice Ficalbi, costumi di Patrizia Caggiati, equipe tecnica di scenografia di Antonino Alessi, Grazia Bono, Caterina Morano, assistente alla regia: diAgnese Scotti.I due autori con “L’ultimo inganno – Un’altra Iliade” spingono oltre la loro ricerca e provano a esplorare una nuova forma ibrida, che fonde elementi della moderna narrazione, con il teatro di prosa e lo studio interpretativo del personaggio. Le battaglie, gli scontri, gli epici duelli, la caduta, l’oblio, le macerie, le mura distrutte, la fuga, la dispersione, la necessità di raccontare … un’Iliade vista di spalle, dai margini… dagli ultimi. 

L’ultimo inganno non è infatti, una semplice rilettura del poema omerico, ma una ri-costruzione di una storia che cambiando il punto di vista diventa immediatamente ed inevitabilmente altra. Un affondo nell’intimo smarrirsi dell’uomo davanti alla guerra, la guerra di ogni epoca, e nella sua, nonostante tutto, persistente e resistente vitalità. Salvatore Arena si cimenta in una prova d’attore in cui si affacciano due personaggi, due dimensioni, due altezze: Tersite, anti-eroe fuori dal coro, e una vedetta troiana condannata a ricordare.  Da questo contrappunto la storia si dipana, con voci alterne, e non tralascia niente. Il riso e il pianto. La farsa e la tragedia. La luce e il buio. L’orrore e la pietà. E tutto scorre, il ritmo è incalzante, nessun respiro in più del necessario. Nessuna concessione alla retorica. La storia vive e si alimenta dentro al cerchio del racconto. Affronta anche la fascinazione della narrazione epica, la straripante bellezza delle schiere armate, delle navi che oscurano il mare, delle insegne colorate, non ne nega l’essenza, la potenza dell’immagine, ma l’attraversa per andare oltre, e il senso che ne scaturisce è nuovo. Un amara vertigine, “un dolore bianco”. La lingua è ricca, multiforme, dirompente, procede per accumulo, raccoglie immagini classiche, costruzioni dialettali, citazioni shakespeariane, omaggi a Mimmo Cuticchio ed Eduardo, rimandi a Malick o ai canti popolari, ma con una precisa unità di fondo. Tutto in funzione del senso profondo del racconto e mai in maniera pretestuosa.

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