Sciabaca, se la terra ritorna ad essere un globo. L’intrigante fil rouge di Farinelli

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Soveria Mannelli - Brunelleschi, Colombo, Anassimandro, Paolo del Tozzo Toscanelli, Polifemo ed Ulisse, la Genesi, l’Enuma Elis babilonese, Tolomeo, Salomè e Giovanni Battista, Marsigli, Marco Polo, von Humboldt e Saint Non, gli Alinari, Melville e Shakespeare, Erasmo, Tolomeo ed Erodoto, Coronelli...Cosa hanno in comune tutti questi fatti e personaggi ed altri ancora? Sono alcuni dei protagonisti di quel sorprendente percorso storico e filosofico che ha portato ad inventare la terra e la sua immagine, da globo a piatta e adesso di nuovo globo.

Sono l’originale fil rouge della lectio magistralis dal titolo “Per una mappa del Mediterraneo” che Franco Farinelli ha tenuto nell’ambito del Festival Sciabaca a Soveria Mannelli organizzata da Rubbettino editore e che ha incantato gli ascoltatori per quasi due ore. Considerare Farinelli uno dei maggiori geografi viventi potrebbe sembrare riduttivo perché come dice “la terra l’hanno inventata i mitografi, gli evangelisti, gli umanisti, gli artisti, i filosofi, tutti fuorché i geografi.”

E la sua abilità sta proprio nel muoversi tra discipline diverse, nel produrre letteratura della geografia capace di fare pensiero. Nell’abbattere quella separazione tra geografia e filosofia che fa improvvisamente emergere qualcosa di insospettabile, l’influsso che la descrizione cartografica del mondo ha avuto sulla letteratura e sulla storia del pensiero. La geografia, la cartografia, come forma archetipica del pensiero occidentale.

Fare la storia dell’invenzione della terra significa così evocare personaggi ormai quasi del tutto dimenticati, ricorrere alla rinomanza, ad una memoria che si è estinta da tempo. Ad una lettura di fatti e circostanze che necessita di quel grado di astrazione che possiedono soprattutto le culture mediterranee.

Questo perché l’invenzione della terra, il riconoscimento della sua forma e della sua natura è stata una operazione che ha avuto riflessi fondamentali nella pianificazione delle società, delle culture, delle economie, della visione dello spazio e del tempo. E per lungo tempo, senza saperlo, l’organizzazione del mondo è stato il frutto di quella particolare visione della terra che ha abbandonato la forma sferica in favore di quella piatta ma solo perché più utile non certo perché ignota.

Erodoto, ci ricorda Farinelli, sghignazzava sulle mappe ioniche “tutte tonde e geometriche” perché assolutamente inadatte a spiegare e rappresentare il mondo conosciuto. E la prima modernità non è Copernico ma Tolomeo che insegna a ridurre la sfera a piano. Lo dice Tolomeo: il globo è scomodo, le mappe sono più semplici. E’ questo l’atto che - per Farinelli - fonda la modernità, la coscienza occidentale: la riduzione del mondo ad una carta geografica perché dal passaggio da una figura all’altra del mondo muta completamente la natura della nostra conoscenza. Con la mappa la rappresentazione prende il posto del mondo, ricomprende ed assorbe tutto quello che esiste al punto che si crede ancora oggi che la mappa sia la copia della terra e non viceversa. Le mappe sono state in grado di produrre la realtà attraverso il loro potere logico - impositivo piuttosto che accoglierla.

Se il mondo è una mappa, destra e sinistra, occidente e oriente hanno un senso, sono direzioni stabili e univoche. Ma se il mondo è un globo le direzioni non corrispondono più a relazioni fisse ma sono invece indicazioni mobili e intercambiabili a seconda di come si sposta il soggetto che davanti alla carta resta immobile ma al cospetto del globo è costretto a muoversi o a muoverlo.

Anche per Bacone le carte geografiche erano “il talamo per le nozze della mente con l’universo e guidano la ragione così che tutto proceda quasi meccanicamente”. Insomma, non si può mettere niente su un piano senza ridurre ciò che è il piano a segno, a simbolo. E il prezzo é la tecnica dell’invenzione della terra, la sostituzione del logos con i simboli delle tavole. Non a caso, per Farinelli lo stato territoriale centralizzato, le origini del capitalismo moderno, nascono a Firenze, lì dove viene inventata la prospettiva fiorentina che germina con il ritorno dei testi tolemaici che dopo la caduta dell’impero romano erano stati dimenticati e sono ritradotti dal fiorentino Iacopo Angelo nel primo decennio del quattrocento.

La modernità dunque consiste nella compiuta riduzione del mondo alla sua forma geografica. Sul globo tutte le linee sono curve mentre lo stato moderno ha bisogno di linee rette. Lo Stato - ricorda Farinelli richiamando lo storico svizzero Burckhardt -  è una forma d’arte e l’espressione va intesa alla lettera nel senso che lo stato moderno è una tavola dipinta. E infatti lo stato moderno deve essere proprio come una tavola, continuo, omogeneo ed isotropico, tutte proprietà che appartengono alla estensione euclidea. La geografia, dunque, come strumento per studiare non solo i rapporti tra l’uomo e lo spazio ma anche i rapporti politici. Non è quindi accidentale - per Farinelli - che il più importante monumento dell’occidente si trovi sempre a Firenze, il luogo fantastico, la scatola magica, dove il mondo classico cede il posto alla modernità: il portico dello Spedale degli Innocenti di Brunelleschi.

Per l’osservatore che si pone all’estremità del portico è evidente che tutte le rette del pavimento sono parallele. Ma alla fine, sul fondo del portico, in corrispondenza del punto di fuga che si trova al centro dell’osservatore, al centro del finestrino collocato sulla parete opposta dove venivano deposti i bimbi abbandonati, le stesse linee convergono, dando la chiara impressione che se prolungate all’infinito finirebbero per toccarsi e riunirsi in un punto solo. Una cosa che la cultura occidentale impiegherà più di quattro secoli ancora per ammettere, con la scoperta nell’Ottocento delle geometrie non euclidee.

Sotto il portico l’occhio dice qualcosa che gli altri sensi non comprendono, che la ragione non può comprendere: linee parallele non possono convergere. Sotto il portico la vista smentisce per la prima volta gli altri sensi. “Tocca e guarda” dice Gesù a Tommaso a conferma che fino allora i sensi non erano disgiungibili. E’ da tale dissociazione che nasce l’uomo moderno.

Che cosa dunque si intravede dietro il punto di fuga? Cosa minacciosamente si annuncia? Dietro il punto di fuga c’è l’infinito, il vuoto, l’assenza di un centro stabile e fisso. Ma c’è un piano di trasformazione anche in senso politico dell’esistente che include la trasformazione del finito attraverso l’infinito.

Ne risulta un mondo in cui per la prima volta la mente non sa più a quale senso prestare fiducia, il dominio della visione non restituisce quasi più nulla di significativo circa i meccanismi che regolano l’universo, il Veni, Vidi, Vici di cesariana memoria, un problema enorme per la cultura occidentale cha ha fondato per secoli la conoscenza sulla visione e la conoscenza con la certezza della rappresentazione. Del resto - ci ricorda ancora Farinelli - il codice conosciuto considerato più fedele all'originale smarrito dei viaggi di Marco Polo non si intitola il Milione, titolo di cui ancora si ignora il senso, bensì Le divisament dou monde, ossia il disegno del mondo.

L’altro punto di svolta – in una estrema sintesi del lungo e suggestivo percorso che Farinelli ha svolto attraverso il tempo - è il momento in cui, nella seconda meta del XVII° secolo, l’immagine della montagna entra nella cultura europea attraverso il viaggio pittoresco, aggettivo che rimanda alla pittura ma che allora, alla vigilia della rivoluzione francese, significava un’immagine dalle caratteristiche precise e definite, e animata da un’esplicita intenzione. Come si legge nell’enciclopedia di Diderot e D’Alambert, quel che conta è l’effetto, il colpo d’occhio, ma quel che è essenziale è che l’ingombro delle figure umane non deve mai ostacolare la resa precisa e fedele degli oggetti, delle cose, dei luoghi.

L’itinerario pittoresco si compie per impulso della tensione tra il polo monumentale e quello naturalistico. La “rivoluzione dello sguardo” che finalmente libera la montagna dal dominio del disordine e dal caos crea quel formidabile modello di percezione e comprensione della faccia della terra che chiamiamo paesaggio. Per la prima volta si spalanca il boscoso ed accidentato spazio delle Calabrie, finalmente tratto fuori, grazie all’immagine sensibile, dal regno del mito e della leggenda.

Il paesaggio è stato l’invenzione di von Humboldt e senza di lui non sarebbe mai diventato un concetto scientifico. Per Humboldt si tratta di mutare la natura del sapere borghese, così che il paesaggio inizia a trasformarsi da visione estetica a modello scientifico, passa dalla produzione artistica e letteraria in geografia e nella scienza della natura, acquista una funzione medita e  rivoluzionaria. L’uscita del paesaggio dall’apparenza estetica ne comporta il veicolo più adatto per assicurare il transito della società civile verso la conoscenza e il dominio del mondo. Il paesaggio diventa così tutto ciò che resta della Terra dopo che l’immagine cartografica lo ha rappresentato e se la terra è un paesaggio tutte le cose stanno l’una accanto all’altro, non si possono separare e tale impossibilità include anche l’uomo.

Oggi la globalizzazione - qualsiasi cosa essa significhi - non ha più a che fare con lo spazio, con la velocità. Essa inizia quando spazio e tempo perdono ogni decisiva importanza per il funzionamento del mondo, quando cioè si è costretti a riconoscere che il mondo non è una carta ma un globo. Per Farinelli la globalizzazione inizia nel 1969 quando i primi computer iniziano a dialogare tra loro e producono man mano la smaterializzazione del mondo e la fine dello spazio che - ci ricorda - è termine che viene dal greco spàdion l’antica unità di misura metrica lineare standard.

Finisce un intero sistema di costruzione del mondo che ha accompagnato tutta la modernità, vale a dire che le cose prima si tracciavano sulla carta e poi si costruivano nella realtà così che il mondo ha preso la carta geografica come suo modello. E se ancora Braudel parlava di economie-mondo da cui si irraggiavano flussi commerciali su tutto il pianeta, la più vivida rappresentazione di come la si considerava nel passato la si può ritrovare per Farinelli Nel Mercante di Venezia di Shakespeare quando Shylock, il mercante cattivo, chiede "Vuoi tenere Venezia per la gola? Blocca lo stretto di Malacca.” Una risposta che dava l’idea di come allora  distanza e  tempo fossero rilevanti e da essi si estraeva valore. Oggi, con la nascita della rete, spazio e tempo sono residuali e il valore lo si estrae dai luoghi.

Se questa riduzione del mondo ad una carta geografica non funziona più, se la globalizzazione comporta l’inizio dell’esaurimento del regno del visibile l’altro modello, il globo, qualcosa che esiste da sempre e che abbiamo dimenticato, può offrirci nuovi modelli, ed è bene riscoprirlo.

Nel globo non c’è un centro, tutti possono essere al centro perché l’economia globale è un sistema asimmetrico che esula ormai dal rapporto tra un centro, una semi-periferia e una periferia perché vi sono molti centri e molte periferie. Non si potrebbe, ad avviso di Farinelli,  scrivere più chiaramente la crisi del modello cartografico del mondo ed è per questo che bisogna reinventare la terra stessa attraverso altre logiche e modelli. Per questo con la frantumazione dello Stato moderno per Farinelli sono i valori locali a emergere. E qui si apre la partita dell’oggi.

Claudio Cavaliere

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