Al Sud scompaiono le città e la crisi si aggrava

Scritto da  Pubblicato in Filippo Veltri

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filippo_veltri.jpgLa situazione consegnataci alcune settimane fa dallo Svimez sul Sud è gravissima. Riccardo Padovani, direttore Svimez, ha sottolineato, infatti, che nei primi dieci anni del nuovo millennio la popolazione delle città italiane meridionali che contano oltre 150mila abitanti (in Calabria solo Reggio supera questa quota) è diminuita di quasi 13 punti (per l’esattezza 12,9). Nello stesso decennio la popolazione delle città del Centro Nord di pari dimensione è cresciuta di quasi 7 punti (6,8).

Come dire che i luoghi meridionali che spingono verso lo sviluppo si deprimono e perdono forza lasciando intravedere una crescita del divario che porta a destini territoriali radicalmente diversi. Questo è un fatto fondamentale perché sono le città ormai - il fenomeno è mondiale - il cuore dinamico e espansivo del motore della crescita e dello sviluppo economici. Sono le città le più potenti calamite di capitali e risorse, capacità tecnico-professionali, intellettuali e soprattutto di concentrazioni tecnologiche. Per questo il degrado delle città meridionali e il loro infragilirsi, viene considerato particolarmente grave e drammatico e potrebbe annunciare un declino complessivo e irreversibile di una grande area del paese e dell’Europa. Attorno a questo nodo, nel Sud e anche in Calabria, si giocherà una sfida della ripresa o della marginalizzazione di rilievo storico e non contingente.

Ma c’è anche di peggio. "La divaricazione – scrive Aldo Varano -  dipende in gran parte dalla ripresa del flusso migratorio che investe prima di tutto energie di giovani di alta qualificazione (più concentrate nei centri urbani. I ragazzi che hanno studiato, che conoscono le lingue, usano i computer, hanno formazioni di livello medio-alto trovano sempre più penalizzanti le condizioni di vita al Sud e vedono immiserirsi le aspettative e la possibilità di utilizzare i saperi accumulati. Per questo quando e se possono vanno via. Gli esperti calcolano che entro il 2050, se non si interverrà in modo intensivo e continuato una terapia d’urto, l’Italia Meridionale perderà complessivamente una popolazione di due milioni e 700mila persone, in prevalenza tra le forze più dinamiche sul piano culturale e delle capacità. Del resto la valutazione che viene fatta in Calabria e sulla Calabria è che, se non verranno modificate le attuali tendenze, si registrerà una perdita netta di quasi mezzo milione di abitanti. Sarebbe un disastro.Non sarebbe male se i gruppi dirigenti della regione, politici, imprenditoriali, intellettuali, sindacali, professionali, si facessero un’idea su quel che sta accadendo".

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