La mia Calabria dolente

Scritto da  Pubblicato in Filippo Veltri

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 di Filippo Veltri

A giorni uscira’ il mio nuovo libro edito da Citta’ del Sole, in cui l’editore Franco Arcidiaco ha voluto raccogliere alcuni degli articoli scritti nel 2012 per "Il Lametino" e per "Il Quotidiano della Calabria". Ne parlo qui perche’ l’editore ha fatto scrivere una memorabile prefazione ad Aldo Varano, che ben sintetizza tutto il senso della collaborazione mia al Lametino in questi lunghi anni.

 Veltri – scrive infatti Varano - torna sempre al punto centrale della questione calabrese che tutti gli altri riassume e spiega: la debolezza della politica e il suo intreccio/conseguenza con di classi dirigenti inadeguate ai compiti che si pongono in Calabria. Eppure Veltri è un riformista: non insegue una mitica resurrezione, si accontenterebbe di una crescita che dia risposte a una regione che non è mai riuscita a incontrare la sua grande occasione storica, che non ha avuto mai la cosa giusta al momento giusto.

Ma un punto va subito precisato: Veltri è consapevole che le classi dirigenti non coincidono con il ceto politico calabrese ma sono una realtà più ampia e complessa che comprende l’insieme di stratificazioni sociali che dovrebbero garantire la crescita della Calabria. Questo punto d’analisi è molto importante perché spezza il ritornello, ormai diventato insopportabile, dell’ abbiamo bisogno di nuove classi dirigenti quasi che questa possibilità sia legata a una decisione che qualcuno deve prendere.

Classi dirigenti sono quelle che, invece, dovrebbero emergere dalla fatica che costruisce un progetto e la concretezza di una Calabria capace di soddisfare i bisogni della nostra comunità. Quindi i produttori, quindi la politica, quindi le capacità tecnico-scientifiche necessarie alla trasformazione, quindi gli intellettuali cioè il ceto specializzato nel controllo dei saperi necessari all’elaborazione di un progetto che si proponga il tema della valorizzazione e dello sviluppo del nostro territorio e delle nostre risorse.

L’assenza di classi dirigenti coincide allora con l’assenza di progettualità. E’ la mancanza di un progetto che consegna la Calabria alle regole della violenza che, a ben guardare, nelle storie che Veltri racconta, è conseguenza del modo in cui si riempiono i vuoti e le lacune progettuali. L’assenza del progetto, insomma, è l’assenza di regole che diventa violenza quotidiana ininterrotta capace di permeare tutti gli angoli e le pieghe della società civile fino a bloccare o interrompere lo sviluppo sociale. In quest’intreccio Veltri si sofferma spesso ricordandoci “come questa regione debba fare i conti con un tasso altissimo di violenza e di illegalità che ne frena la crescita e lo sviluppo e che si accoppia a quell’altro tasso di illegalità diffusa che e’ dentro la politica e le istituzioni”. E’ questo il micidiale miscuglio che inchioda la Calabria all’arretratezza.

  L’ altro tema che ho affrontato sempre su queste pagine e’ se sia possibile o no una narrazione normale della Calabria, un’immagine reale del modo in cui scorre la vita di noi calabresi depurata dall’enfasi della retorica che ha come controfaccia rancore, provincialismo e vittimismo.

Ma l’immagine, quando non è la retorica dell’identità, è questione delicata e complessa a partire dal punto decisivo: chi deve promuoverla? “Qui – ho scritto - si arriva al cuore del problema dei problemi:  un tempo si diceva la società civile, la buona cultura,  la buona università, il sindacato, e via di questo passo, e si aggiungeva che se non ci pensava la società civile…. Ma quella società civile – si aggiungeva – era del tutto eguale alla società politica e quindi….  Vero, tutto vero perché – argomenta impietoso - se non incardiniamo la discussione su un binario di verità non andiamo da nessuna parte: il problema drammatico della Calabria di oggi è, dunque, la politica. Non lo è tanto e non solo negli evidenti tratti di contiguità, di legami, di rapporti. Qui c’e’ materia per tribunali e questo e’  il tracciato addirittura più semplice da combattere. Il vero problema e’ che siamo in presenza, nel suo complesso e fatte salve poche eccezioni, ad una classe politica che non e’ in grado oggi di cogliere quella domanda di un racconto normale, di farvi fronte con gli strumenti di governo delle istituzioni e , dunque, alla fine di rappresentare quella parte migliore della società. Una parte china, muta, che vorrebbe gridare ‘ma io che c’entro con la mafia?’ Ma che alla fine si ritrova sempre più sola, sempre più muta, sempre più inascoltata e alla fine il rischio e’ che diventi anche sorda”.

Viviamo una fase in cui la politica è assolutamente priva di prestigio. Priva fino al punto che è stato necessario inventare il termine “antipolitica” per avvicinarci al senso della sua crisi. Dalla politica non si esce e che la soluzione per una ripresa della Calabria, messa in crisi dalla politica (cattiva) è ancor una volta lo sforzo e la fatica per costruire una politica buona. Non sarà facile, ma anche io credo non esistano altre strade. La politica avrà tutti i difetti del mondo ma nelle migliaia di anni che abbiamo alle spalle gli uomini non sono riusciti a inventare niente di meglio per vivere in comunità e per farle crescere e progredire.

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