Quando si muore nella terra dei senza lavoro

Scritto da  Pubblicato in Filippo Veltri

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filippo_veltri.jpgTre morti in un'azienda. Non era mai accaduto, almeno negli ultimi anni. Le tre persone uccise dalla fiammata improvvisa a Lamezia che ha preceduto l'esplosione erano originarie del Lazio e della Toscana, ma si erano spostate in Calabria davanti all'offerta di un lavoro. A Lamezia lo sgomento è stato fortissimo. L'area ex Sir è un'immensa spianata dove insistono diverse aziende medio piccole. E' l'area del sogno industriale lametino mai veramente decollato. La beffa del secolo passato. La distesa che il 9 ottobre 2011 ospitò la visita in Calabria di Papa Benedetto XVI e da allora è dedicata proprio al Pontefice sarà ora anche quella dell'ennesima tragedia calabrese, così come ha denunciato la Cgil durante un presidio davanti all'impresa per la lavorazione di oli combustibili e biomasse, comunicando l'intenzione di costituirsi parte civile in un eventuale processo. È per molti aspetti paradossale che nella terra record della disoccupazione, non solo giovanile, si possa morire e in quel modo. Al danno si aggiunge la tragedia immensa, alla beffa l’atrocità di una fine così incredibile e, per giunta, nemmeno nella propria terra.

La Calabria paga insomma un tributo altissimo anche se le tre vittime non erano calabresi. Del resto, nella speciale graduatoria tra morti sul lavoro e tasso di occupazione, la nostra regione è ai primissimi posti: non fanno nemmeno più notizia i morti a ritmo quasi quotidiano nel campo agricolo, con trattori che si rovesciano, finiscono in dirupi o nell’edilizia dove le condizioni della sicurezza sul lavoro sono praticamente accantonate, con una derugalation di cui pagano le conseguenze gli operai, italiani e non. I sindacati sono scesi in piazza, hanno denunciato tutto questo ma il problema vero resta che il lavoro è ormai una chimera e quando c’è viene attuato e regolato in maniera che e’ tutt’altro che lecita. Se in Italia ciò è grave, in Calabria diventa drammatico e porterà sempre più a forme barbare di occupazione o di ricerca di un lavoro qualsiasi e a qualsiasi condizione. Cioè la fine di ogni speranza di cambiamento e di svolta nei rapporti economici e civili.

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