Quelle parole del Papa e la disattenzione della Calabria: Bilancio dopo la visita di Ratzinger

Pubblicato in Filippo Veltri

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 DI FILIPPO VELTRIfilippo_veltri

Non si può certo dire che la Calabria abbia accolto con un entusiasmo da ricordare nella storia la visita del Papa, un mese fa a Lamezia Terme e a Serra San Bruno. Sarà stato per il cattivo tempo, sarà stato per un problema tutto interno alle gerarchie cattoliche calabresi, sarà stato perché – soprattutto – lo stato complessivo della Calabria di questi tempi non e’ al massimo, ma non si può certo dire che la visita di Ratzinger abbia provocato nell’opinione pubblica regionale dei sussulti. Qualcuno ha giustamente detto ‘’Nemmeno il Papa scuote la Calabria’’.

Perché la verità – al di là delle contingenze di cui sopra si e’ detto – e’ amara da constatare ma e’ propria quella: nemmeno il Papa riesce a svegliare dal torpore ormai atavico questa terra. Una vergogna in piena regola, perché il Papa tedesco ha scelto due momenti assai significativi, nel cuore della Calabria che deve darsi una svegliata da tutti i punti di vista e nel cuore della spiritualità della certosa di Serra. Ma invece, prima e durante e dopo e’ sembrato che si sonnecchiasse. Eppure Ratzinger ha detto parole importanti, nello stile che e’ suo e non nella prorompente vitalità cui magari si era abituati con Woytila. Ratzinger e’ un Papa che trasmette valori profondi e non passeggeri, e’ un uomo dalla immensa cultura, che prima di ogni altro ha visto e detto di un occidente malato e in cui si sperdevano valori e sensazioni. E anche in Calabria ha detto questo.

Ha detto, ad esempio, Benedetto XVI:  «Sono venuto per condividere con voi gioie e speranze, fatiche e impegni, ideali e aspirazioni di questa comunità diocesana. So che vi siete preparati a questa Visita con un intenso cammino spirituale, adottando come motto un versetto degli Atti degli Apostoli: “Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!” (3,6). So che anche a Lamezia Terme, come in tutta la Calabria, non mancano difficoltà, problemi e preoccupazioni’’. Poi ha proseguito: ‘’Se osserviamo questa bella regione, riconosciamo in essa una terra sismica non solo dal punto di vista geologico, ma anche da un punto di vista strutturale, comportamentale e sociale; una terra, cioè, dove i problemi si presentano in forme acute e destabilizzanti; una terra dove la disoccupazione è preoccupante, dove una criminalità spesso efferata, ferisce il tessuto sociale, una terra in cui si ha la continua sensazione di essere in emergenza. All’emergenza, voi calabresi avete saputo rispondere con una prontezza e una disponibilità sorprendenti, con una straordinaria capacità di adattamento al disagio. Sono certo che saprete superare le difficoltà di oggi per preparare un futuro migliore. Non cedete mai alla tentazione del pessimismo e del ripiegamento su voi stessi. Fate appello alle risorse della vostra fede e delle vostre capacità umane; sforzatevi di crescere nella capacità di collaborare, di prendersi cura dell’altro e di ogni bene pubblico, custodite l’abito nuziale dell’amore; perseverate nella testimonianza dei valori umani e cristiani così profondamente radicati nella fede e nella storia di questo territorio e della sua popolazione». E a Serra San Bruno tra i certosini ha ricordato quei valori che si vanno perdendo anche a causa della virtualità dei rapporti, soprattutto tra i giovani.

A un mese da quei due incontri di Lamezia e Serra San Bruno, che cosa resta della visita del Papa in Calabria? A giudicare da quanto scrivono i giornali, un po’ di spazzatura ancora non raccolta sulla spianata dove è stata celebrata la Messa e i conti della Diocesi che sembrano mancare delle cifre promesse dalla Regione. E un dibattito che – pur con alcuni apprezzabili sforzi e nonostante in molti avessero, prima della scorsa domenica, parlato della visita come “evento epocale” destinato a mutare la storia calabrese – non è riuscito a decollare.

Perché? Perché Benedetto XVI – hanno scritto alcuni commentatori su giornali e siti internet - ha un linguaggio pacato, intessuto di riferimenti biblici, che non punta ad ottenere titoloni ad effetto, ma a fornire solide basi ai credenti; un linguaggio la cui profondità si coglie meglio nella, evidentemente non (ancora) fatta, rilettura o che non è stato sufficientemente dirompente rispetto alla gravità dei problemi calabresi? ‘’Perché i “laici” sono ormai incapaci di comprendere i cattolici, se non in maniera strumentale come possibile, ma sempre più incerto, bacino elettorale? Perché i cattolici non sanno trovare  parole per raccontarsi – sfibrati, come sono, dalla galoppante secolarizzazione e dagli scandali interni alla chiesa, indeboliti da quell’impasto di indifferentismo etico e di sfiducia nelle possibilità del cambiamento che pervade la società non solo calabra, e consapevoli delle ampie zone d’ombra di una religiosità che, da una parte, è (stata) capace di alleviare sofferenze d’ogni tipo ma, dall’altra, ha accettato compromissioni col male che «ferisce il tessuto sociale» e, più spesso, non è stata in grado di uscire dalle sacrestie vivificando il territorio? Perché chi ha “sentito” le parole del Papa senza “ascoltarle” ha avuto il buon gusto di evitarne il commento e chi, invece, le ha ascoltate, prova a trasformarle in quelle iniziative di tempo lungo, più nascoste e mediaticamente silenti, da cui, secondo il fiducioso auspicio del Papa, «scaturisca una nuova generazione di uomini e donne capaci di promuovere non tanto interessi di parte, ma il bene comune»? Oppure, perché?’’. Facciamo interamente nostre queste riflessioni di Franca Dattola e le rilanciamo. La Calabria si svegli dal suo torpore, almeno per il Papa.

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