Don Chisciotte e i cavalieri erranti in Sila

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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 Santo Stefano, giorno di liberazione dalla bulimia di acquisti e gozzovigli e ansie che impera ormai sul Natale. L’occasione per rimettermi in armonia col cosmo. Attraverso il cammino. Nel gelo del mattino una coltre diamantina ricopre il poggio dal quale ci affacciamo sul Lago Cecita. L’acqua ancora sfiorata da una sottile coltre di nebbia. Scendiamo verso Logonbucco. Fumo azzurrino esita sui tetti, come per serbare il tepore delle case. Sullo sfondo, la valle del Trionto. Dietro, la pendice di Monte Paleparto, splendente di luce, con Pietra Gnizzito al centro. Sasà Pellegrino ci attende all'imbocco del vecchio sentiero per Pino Torto. Cominciamo il cammino. Un contadino è già al lavoro. Accudisce i maiali e un mulo. Tra noi, nessuno dice "che puzza!", vicino alle porcilaie o agli stazzi. Sa che quello è uno degli odori primitivi, un olio essenziale della montagna, un preciso segnale olfattivo. Un cocuzzolo con una piccola casa ci mostra parte del lungo anello che compiremo. Il vischio propiziatorio addobba gli alberi. Su per la mulattiera di Pino Torto. Nell’ombra sinistra di un bosco di streghe. Tale pare l’antico castagneto falcidiato dalle malattie, bruciacchiato, ceduato, abbandonato. Ma il bosco si rivelerà, sino alla fine, una miniera di castagni monumentali. Molti ormai morti, calcinati dal sole. Tanti dalle forme bizzarre. Dalla nostra ombra osserviamo ammirati l’altra pendice della valle del Trionto, le punte siderali di Tavazzo e della Pigolara, i boschi di pini, castagni, aceri, cerri, le garighe di eriche e ginestre. Il sentiero pare ora intagliato nella roccia, come in qualche remoto angolo delle montagne del Nord America. E noi non siamo poi così dissimili dagli Indiani. Anche siamo noi indigeni delle riserve – le città tentacolari delle coste – che tornano nelle loro terre sacre. E Sasà è lo sciamano, il medium che riconnette gli uomini ai luoghi. Per i locali quasi un folle: “ma perché questo va sempre in montagna, col caldo asfissiante dell’estate, col gelo dell’inverno quanto spira il Grecale e i lupi ululano sulle rupi. Troviamo un fascio di schegge resinose dell’anima dei pini: altro odore, olio essenziale del bosco. Un pastore deve aver raccolto la “deda”, che serviva da esca nei camini ma come torce e lampade. Lungo traverso per spostarci nella valle del Torrente Manna. Altri castagni giganteschi. Vecchie case dirute. Quando avevano il tetto erano piene di ghiri, racconta Sasà. Giù verso il torrente, avvolto dall’ombra. Acque fluenti, cascate, pozze. L’acqua che scorre è una grazia nel paesaggio. Attraversiamo lo stazzo vicino al paese. Abbiamo concluso la nostra ricerca di armonia. Ci siamo definiti, più volte, camminatori erranti. Come i cavalieri erranti del medioevo, come il Don Chisciotte di Cervantes, siamo umili, pazzi e vinti. Ma anche puri, nell’ardente sincerità dei nostri ideali, della nostra fede.

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