Bruzio: e gli abitanti volsero le spalle al mare

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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francesco_vescio_copia.jpgNell’età imperiale e particolarmente nel IV – V secolo la regione subì un processo di vasta portata nel suo assetto economico, che durerà per secoli e secoli, la ruralizzazione ed il conseguente spostamento degli insediamenti abitativi dalle zone marine verso quelle collinari e montane; tale fenomeno significò  l’incremento delle attività agrosilvopastorali e la diminuzione delle attività economiche proprie della città: commercio, artigianato, circolazione monetaria e ciò implicò pure la rarefazione dei contatti e dei rapporti con gli abitanti non solo delle altre regioni, ma all’interno della stessa a causa dell’orografia del territorio prevalentemente collinare e montuoso dell’Appennino Calabrese. Il testo seguente offre un quadro significativo della stretta commessione tra scelte di natura politico- istituzionale, attività economiche ed insediamenti antropici nella regione: “L’espandersi del latifondo dalla montagna alla fascia pedemontana ed al colle-piano costiero lasciava dietro ville deserte ed arboreti inselvatichiti, mentre la terra restituita alle forze selvagge della natura negava ospitalità all’uomo. Allo spopolamento contribuì l’aggravarsi dell’endemia malarica che prosperava sulle terre abbandonate, ove il dissesto idraulico favoriva la vita dell’anofele [Anòfele, genere di zanzara che trasmette la malaria, N.d.R.].

La crisi politica dell’Impero, nel corso del III secolo, consolidò codesti aspetti del latifondo, li rese fissi, immobili ed immanenti nella natura stessa del latifondo; la decadenza dell’impero nel IV e V secolo cristallizzò questi connotati del latifondo che si estese fino al mare. Il latifondismo doveva giungere fino ai nostri giorni non già per legge di inerzia, ma perché nel lungo corso di sedici secoli non vennero mai meno le cause che lo avevano generato. Con l’avvento della monarchia militare, come s’è detto dianzi, i nuovi funzionari, in massima parte provenienti dall’esercito, esercitarono uno spietato controllo sull’economia delle città e dei villaggi. Molti funzionari della casta militare si sostituirono all’aristocrazia del vecchio ceppo dell’Alto Impero, peggiorando le condizioni economiche”(Giuseppe Brasacchio, Storia Economica della Calabria- Dal III secolo dopo Cristo alla Dominazione Angioina- Vol. II, Edizioni Emme Effe, Chiaravalle Centrale,1977, p. 9). Alcuni studiosi hanno individuato nella dominazione romana del Bruzio, che succedette a quella dei coloni ellenici, la causa di tale lungo processo involutivo riguardante la forte interconnessione tra territorio, economia, insediamenti e vita politico- amministrativa; il brano successivo è esplicativo di tale tesi: “Però l’ellenismo svanì anche qui a poco a poco dopo l’instaurazione della monarchia: sia perché le oligarchie italiote [Italioti si definivano nel mondo greco- romano i discendenti dei coloni greci, N.d.R.] miravano a fondersi o assimilarsi più integralmente alla potenza che le tutelava e sia perché la popolazione rurale era ora formata da schiere di schiavi venuti da ogni mercato. E in questo modo per la regione dei Bruttii – a cui però ufficialmente il nome di Brutium  fu dato solo fra il 364 e il 382 d.C.: prima gli autori scrivono in Bruttiis, come dire <<nel paese dei bruzi>> - la dominazione di Roma fu l’inizio di un’epoca di grave oscurità. […]

E la prostrazione in età imperiale fu sicuramente più dura per le comunità italiote, a motivo dello spandersi inesorabile della infezione anofelica: nel quarto secolo della nuova era già un buon numero di centri ellenici sui litorali non dava più segno di vitalità e solo qualcuno sopravviveva (come Crotone) ma privo di ogni rilievo economico e ristretto a umile mercato locale. In realtà il morbo plasmodico aveva reso a mano a mano più rade di popolazioni le aree litorali e verso il quarto di secolo – quando il cristianesimo vi penetra – quel pochissimo di energia che la regione svela, ad eccezione di rari punti sul mare, si manifesta nelle aree interne. La cosa è naturale: la Calabria era già da tempo, sostanzialmente, paese bruzio: di una popolazione i cui centri di forza non si potevano scaglionare lungo il mare, ma fra i monti o nei fondi valle interni, ove si svolgevano il pascolo pendolare e una rudimentale e stagionale agricoltura. Questo rifluire del centro di vitalità regionale dal mare verso il cuore rilevato della penisola è quindi evidente fra il secondo e il quarto secolo: ma era stato già aiutato e per così dire sospinto dal corso della via consolare romana, abitualmente chiamata Popilia, aperta qui ai fini di controllo militare intorno al 128 a.C. dal console Annius Rufus, e che congiungeva Napoli con Reggio (più precisamente con Catona, ove aveva base il trajectus [Luogo d’imbarco, traversata, N.d.R.] con la Sicilia) penetrando nel paese dei Bruttii per il bacino di raccolta del fiume Lao…” (Lucio Gambi, Calabria, Utet, Torino, 1978, pp.132 – 133).

Al fine di chiarire meglio la problematica riguardante il mutamento degli insediamenti umani in stretta relazione con le attività economiche e la tendenza al processo di ruralizzazione del Bruzio nel periodo storico precedentemente indicato si riporta il brano successivo: “Le colture intensive specializzate lasciano il posto a quelle estensive e monoculturali, che sono meno redditizie, ma anche meno bisognose di manodopera. I domini [In latino: i <<padroni, i signori>>, N.d.R.] sono sempre meno presenti e gli schiavi diventano poco controllabili, tanto da spingere i proprietari ad affittare la terra a coloni. Gli edifici ancora in funzione si fanno sempre più lussuosi e grandi, fino ad inglobare terme smisurate e teatri costruiti probabilmente con i materiali di altre ville in disfacimento. La villa si trasforma in dimora ‘medioevale’ , con botteghe artigiane e case per i coloni, diventando un mondo popolato di liberti, coloni, schiavi, manodopera stagionale e assomigliando sempre più ad una corte medioevale. Le invasioni barbariche – quella di Alarico è del 410 dopo Cristo- non avranno fatto altro che spingere gli abitanti delle villae dominicae [in latino: <<le ville signorili>>, che avevano due funzioni: abitativa e  produttiva, N.d.R.] a ritirarsi sempre più nel loro mondo separato dalle immense distanze del latifondo e a ricacciare i piccoli proprietari contadini, non ancora al servizio dei domini, i pastori ed i boscaioli sulle più sicure, ma poco produttive alture” (A. Battista Sangineto, Per la Ricostruzione del Paesaggio Agrario delle Calabrie Romane, in “ Storia della Calabria Antica- Età Italica e Romana, Gangemi Editore, Roma – Reggio Calabria, 2000, pp.585).  Sulle tematiche di cui sopra esistono studi e ricerche, che consentono di approfondirle sotto tanti altri  punti di vista, ma buoni contributi potranno ancora darle le ricerche archeologiche future.

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