Calabria bizantina: la Chiesa tra Roma e Costantinopoli

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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francesco_vescio.jpgLa dominazione bizantina in Italia perdurò per poco più di cinque secoli dal 554, anno dell’emanazione della Prammatica Sanzione di Giustiniano, atto con cui l’imperatore intese regolare gli aspetti giuridici dei territori italiani strappati agli Ostrogoti, alla conquista normanna dell’Italia peninsulare nella seconda metà dell’XI secolo.

In questo lungo periodo la Chiesa svolse un ruolo di notevole rilievo nella vita culturale, politica, economica e, soprattutto, spirituale in Calabria con alcuni aspetti peculiari proprio di questa regione, che si cercherà di delineare in modo sintetico nel presente testo.

Innanzi tutto va evidenziato che la regione svolse un ruolo importantissimo per l’Impero Bizantino come  territorio di confine occidentale, da come si può dedurre dall’affermazione seguente dell’imperatore Costantino VII:

“Solo la Calabria, di fronte, rimane sotto la signoria dei Cristiani: in essa è Reggio e la fortezza di Santa Ciriaca [L’attuale Gerace in provincia di Reggio Calabria, N.d.R.] e quella di Santa Severina, con Crotone ed alcune altre città, sulle quali ha il comando lo stratega di Calabria: ben ventidue città sono dunque ancor  soggette alla Sicilia e al suo stratega” – ( Costantino Porfirogenito, Le Province, 10, 36-40). [Il precedente brano è riportato in ‘Giovanni Saladino, Storia della Calabria Bizantina - L’alto Medioevo Imperiale ed Ecclesiastico’, Saladino Edizioni, Roma, 2011, p.164, N.d.R.].

Nel contesto storico di cui sopra la Chiesa assunse una rilevanza di particolare importanza sia in relazione alla politica religiosa della corte costantinopolitana sia in rapporto alla sua funzione non solo religiosa ma di difesa e di tutela della popolazione locale in tante circostanze in cui il potere politico e militare si dimostrava carente o, momentaneamente, assente. Tale caratteristica precipua della Chiesa è ben delineata nel brano successivo:

“Merita piuttosto di essere subito evidenziata una peculiarità, che si registra anche in altre regioni del Mezzogiorno, ma che certo in Calabria esercitò nel corso del Medioevo un ruolo di eccezionale importanza e che tuttora raggiunge un livello non trascurabile. Mi riferisco alla presenza della Chiesa di rito greco, che si andò man mano sviluppando ed articolando nel corso dei secoli dell’alto Medioevo, in concomitanza con le vicende politiche coeve… Vescovadi, monasteri, culti e mentalità subiscono l’influenza, tutt’altro che superficiale, del mondo bizantino, in perfetta integrazione con il mondo della cristianità orientale. L’influenza della Chiesa latina in Calabria subì pertanto notevoli oscillazioni, in rapporto all’andamento demografico e alle influenze politiche di volta in volta predominanti. In complesso, volendo esprimere un giudizio di massima del tutto approssimativo e schematico, l’influenza ecclesiastica latina subì un forte ridimensionamento dopo il ritorno di Bisanzio, vale a dire sino al secolo XI. Successivamente la Chiesa romana andò man mano recuperando posizioni di rilievo, sino a giungere ad un controllo quasi completo del territorio, a partire dall’epoca della conquista normanna…” (Pasquale Corsi, La Chiesa Latina: Organizzazione Religiosa, Culturale, Economica e Rapporti con Roma e Bisanzio, in ‘ Storia della Calabria Medievale – i Quadri Generali ’, Gangemi Editore, Roma- Reggio Cal., 2001, pp.291-292).

I rapporti tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli non riguardavano solo aspetti religiosi concernenti la dottrina, il rito e la lingua, ma avevano anche natura di carattere politico ed economico, il che implicava la politica imperiale tout court, con tutte le conseguenze del caso; il brano successivo illustra, a mo’ d’esempio ed in modo sintetico, ma esplicitamente le profonde ragioni del contrasto:

“Verso il 724-725 i rapporti tra Roma e Costantinopoli toccarono il punto più basso. Leone III, per fare fronte alla disastrosa situazione delle finanze imperiali, aveva notevolmente inasprito la tassazione e la chiesa era stata particolarmente colpita dal nuovo ordinamento tributario in quanto detentrice di grandi proprietà nel territorio italiano. Gregorio II rifiutò di versare quanto doveva e il conflitto divenne inevitabile. Convinto che il papa fosse il suo peggior nemico nella turbolenta provincia italiana, l’imperatore decise di passare alle vie brevi ordinando di toglierlo di mezzo…Il complotto tuttavia non andò in porto, per ragioni a noi ignote…Nel 726 il conflitto si spostò sul piano dottrinale e, di conseguenza, si fece ancora più acuto…In quell’anno l’imperatore di Costantinopoli decise infatti di imprimere una svolta radicale alla politica religiosa vietando il culto delle immagine sacre, che da molti a Costantinopoli veniva ritenuto idolatrico. Leone III, in questo modo, si arrogava il diritto di decidere in materia di fede, scavalcando le prerogative tradizionalmente riconosciute al clero, e in nome della sua pretesa teocratica diede avvio a un conflitto lacerante che, con fasi alterne, si sarebbe trascinato per più di un secolo, con grandi ripercussioni sia in Oriente che in Occidente. Roma reagì con un netto rifiuto…” (Giorgio Ravegnani, I Bizantini in Italia, Il Mulino, Bologna, 2004, pp.125-126).

Come conseguenza di tale situazione conflittuale la chiesa calabrese finì con fare riferimento al patriarca di Costantinopoli dal punto di vista gerarchico e a seguire il rito greco nelle celebrazioni liturgiche. La chiesa bizantina in Calabria oltre che per la sua struttura secolare di vescovi e  parroci fu fortemente caratterizza dalla presenza dei monaci, sia eremiti sia cenobiti. Questi svolsero una funzione molto importante non solo dal punto di vista religioso e d’animazione spirituale ma anche da quello pratico e lavorativo a quello più specificamente culturale, da come si può evincere dal testo seguente:

“Prima di proseguire vogliamo qui ricordare il compito encomiabile – svolto in proprio dai monaci e ben visibile alla metà del secolo X- di civilizzare le zone più interne della Calabria, istruendo le comunità contadine nella coltura dei campi dopo secoli di guerre, di calamità e di abbandono… Un’attività che non mancheremo mai di ricordare abbastanza, svolta in modo metodico dai monaci di Calabria almeno a partire dal   secolo IX – e peraltro comune a tutto il monachesimo orientale – accanto, se non di più, alla perizia dimostrata nella coltura dei campi, onde furono  maestri a schiere innumerevoli di contadini del Mezzogiorno, fu l’attività scrittoria, in virtù della quale trasmisero all’Europa, prima e più degli stessi Benedettini, i tesori delle scienze antiche, sacre e profane. La Calabria, crocevia tra Oriente e Occidente, tra mondo greco e mondo latino, fu l’epicentro di tale benemerita attività…”(Giovanni Saladino, op.cit., pp. 193- 226).

La chiesa bizantina calabrese nel periodo preso in esame fu una realtà molto complessa, che segnò in modo indelebile la vita della regione anche riguardo agli insediamenti antropici; studi recenti di carattere storico-letterario ed archeologico stanno sempre meglio delineando il quadro generale della sua importanza e della sua ampia diffusione non solo lungo le zone litoranee, come era avvenuto per lo più durante la colonizzazione magnogreca, ma nelle aree collinari e montane, come testimoniano i resti di tanti monasteri. Tale fenomeno si verificò per motivi diversi: impaludamento delle zone costiere, presenza della malaria, frequenti incursioni saracene.

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