E l’impresa di Annibale in Italia terminò…a Crotone

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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francesco_vescio.jpgLa Prima guerra punica (264 – 241 a.C.) si concluse con la netta vittoria di Roma e Cartagine fu costretta ad una pace onerosa, ma non insostenibile per una grande potenza politica, militare e commerciale quale essa era: “Cartagine rinunziava in favore di Roma al possesso della Sicilia e delle isole limitrofe, restituiva i prigionieri e si obbligava a pagare in dieci anni un’indennità di 3.200 talenti” (Giulio Giannelli – Santo Mazzarino, Trattato di Storia Romana, Volume Primo, L’Italia Antica e la Repubblica Romana, a cura di G.Giannelli, Seconda Edizione, Tumminelli  Editore, Roma, 1962, p. 252). I governanti della città africana puntarono ad ampliare le loro colonie nella Penisola Iberica per compensare le perdite territoriali a favore della rivale vittoriosa, la quale pochi anni dopo riuscì a strapparle anche la Sardegna e la Corsica, senza che scoppiasse un nuovo conflitto armato.

Ma non tutti i Cartaginesi accettavano questo stato di cose e molti autorevoli esponenti pensavano ad una prossima rivincita contro la rivale italica. Chi cercò di realizzare tale progetto fu un generale ancora giovanissimo, che si trovava in Spagna per ampliar le colonie puniche in quel territorio: nel 218 a.C. Annibale, allora venticinquenne, figlio di Amilcare che era stato un grande generale ed un influente uomo politico, attaccò la città iberica di Sagunto, alleata di Roma; questa chiese a Cartagine la consegna dell’assalitore della sua alleata, ma ebbe un netto rifiuto e si arrivò alla dichiarazione di guerra da parte di Roma. Al fine di avere un quadro sintetico, ma significativo del piano di Annibale sulla guerra che si accingeva a condurre si riporta il seguente brano: “Bastava riportare Roma ai suoi giusti confini, per ricondurre la pace nel Mediterraneo  occidentale. Prostrate, con alcune folgoranti vittorie, le forze militari romane, restituita l’indipendenza alle popolazioni  celtiche dell’Italia padana e alle genti osche e greche del mezzogiorno, annientati i suoi eserciti, Roma circondata da nord e da sud da popoli decisi a rifiutare il suo dominio e sorretti dalle vittoriose armi di Cartagine, che altro avrebbe potuto fare se non accettare la pace che Annibale le avrebbe offerto allora a nome del suo Governo? Pace che, lasciando Roma intatta a capo della sua Federazione di Latini, Umbri ed Etruschi, avrebbe diviso l’Italia in tre sistemi statali, con una Lega delle tribù galliche a nord e con un’altra delle genti osche  (Sanniti, Lucani, Bruzi) a sud, con i porti greci, lungo le coste, garantiti nella loro esistenza dal protettorato cartaginese” (Giulio Giannelli – Santo Mazzarino, op.cit., p.263).

Inizialmente tale piano sembrò avere il favore delle armi fino alla catastrofica sconfitta di Roma a Canne, nell’attuale Puglia, del 216 a. C.; ma non ci fu né la resa né la richiesta di negoziare la pace; Annibale vittorioso non osò attaccare la rivale puntando, invece, ad indebolirla col cercare di toglierle i suoi tradizionali alleati; questo si verificò solo in parte, fra i popoli che passarono con il condottiero cartaginese ci furono i Bruzi, ma altri come i Latini, gli Etruschi restarono fedeli a Roma. Questa invece di attaccarlo in campo aperto in Italia fece una lotta di logoramento, ma portò la guerra in Spagna ed infine nella stessa Africa, a questo punto il generale cartaginese, che si era ristretto nel territorio del Bruzio negli ultimi anni della sua permanenza in Italia, nel 203 a.C. fu richiamato in patria per una sua estrema difesa. Ecco come fu descritta la sua reazione a tale richiamo:
“Si racconta che Annibale abbia ascoltato le parole dei legati, digrignando i denti e gemendo, a stento trattenendo le lacrime. Quando le disposizioni gli furono comunicate, esclamò: "Ormai non si cercano più giri di parole, ormai mi richiamano indietro apertamente, coloro che si davano da fare già da tempo perché io mi ritirassi, rifiutandosi di inviarmi rinforzi e denaro. E dunque a sconfiggere Annibale non è stato il popolo romano, che tanti massacri e rotte ha subito da me, ma il senato cartaginese, con le sue denigrazioni e la sua invidia. E della vergogna di questa mia ritirata non sarà tanto Scipione a gioire e a trarre vanto, quanto Annone [Si tratta dell’avversario politico cartaginese di Annibale e del suo partito, N.d.R.] che ha distrutto il mio casato rovinando Cartagine, giacché in altro modo non gli era stato possibile".

E tuttavia egli aveva presagito ciò nel suo animo e aveva provveduto a preparare prima le navi. E così, dopo essersi disfatto di una inutile massa di soldati col pretesto di lasciarli di guarnigione  a quelle poche città del territorio bruzio che gli erano rimaste fedeli più per paura che per lealtà, si trasferì in Africa col nerbo dell’esercito, nel frattempo aveva anche massacrato in modo infame, proprio all’interno del santuario, molti soldati italici che, rifiutandosi di seguirlo in Africa, si erano ritirati nel tempio di Giunone Lacinia [Odierna: Capo Colonna, N.d.R], fino a quel giorno inviolato. E a quanto si tramanda, ben raramente qualcuno, nel lasciare da esule la propria patria, fu più angosciato di Annibale che si ritirava dal territorio dei nemici. Girò più volte lo sguardo indietro per guardare i litorali d’Italia, accusando gli dei e gli uomini e maledicendo se stesso e la propria persona, per non aver condotto a Roma, dopo la vittoria di Canne, i suoi soldati ancora grondanti del sangue nemico. Scipione, che da console non aveva visto una volta il nemico cartaginese in Italia, aveva osato marciare su Cartagine; lui, dopo aver massacrato centomila nemici sul Trasimeno e a Canne, si era logorato a Casilino, a Cuma, a Nola. Con queste accuse, con questi rimpianti fu strappato dal territorio italico, dopo esserne stato tanto a lungo padrone” (Tito Livio, Storia di Roma dalla Fondazione, Libro XXX, 20, a cura di Gian Domenico Mazzocato, Newton, Roma, 1977, pp. 153 – 155).  E’ una pagina terribile, ma da conoscere per comprendere meglio la storia nei suoi molteplici risvolti umani e territoriali.     

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