Antonio Guarasci, l’ultimo meridionalista calabrese

Scritto da  Pubblicato in Luigi Michele Perri

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Antonio Guarasci (Rogliano, 7 maggio 1918 – Polla, 2 ottobre 1974), l’ultimo meridionalista calabrese. Un uomo colto che seppe dare un senso storico al suo impegno politico. Docente di Storia e di Filosofia, applicò le sue conoscenze e le sue idee alla pratica di governo. Un intellettuale di salda concretezza e di produttiva operatività. Portano il suo nome il regionalismo, l’università, l’industrializzazione. Con lui la Calabria uscì dal suo passato, rompendo i vecchi blocchi sociali che ne frenavano lo sviluppo e irrompendo nella vita pubblica con la forza delle sue convinzioni innovative. Della sua azione politica non tutto è condivisibile, tuttavia il rapporto con il suo tempo e con la sua generazione ne fa un’avanguardia esemplare. Un caposcuola con un seguito, per la verità, limitato; un seguito ristretto perché le chiavi d’accesso al suo filone dovevano essere quelle dello studio, dell’approfondimento e del senso critico, un filone di per sé esigente e selettivo. Una lezione: la politica non funziona senza olio di gomito.

Il meridionalista Guarasci si agganciò alle grandi correnti culturali e politiche strettamente connesse alla “questione meridionale”, da Villari a Salvemini sino a Dorso e a Rossi Doria, attraverso un’attenta comparazione dei diversi filoni di Sturzo e Gramsci, sulla scia delle indicazioni di Nitti, per sostenere la via della industrializzazione allo sviluppo del Mezzogiorno. Riuscì a leggere la “questione calabrese” dentro quella meridionale. Si persuase che un Sud ancorato all’agricoltura inevitabilmente avrebbe continuato a perdersi negli antichi conflitti sociali. E si convinse che la economia meridionale andava liberata da quegli schemi che ancora, nonostante la distribuzione delle terre, i “patti agrari” e l’intervento straordinario, rimanevano sotto il controllo del blocco agrario, identificato da Pasquale Saraceno come un resistente freno ad ogni possibilità di decollo della regione. Il Sud non poteva né doveva continuare ad essere bacino di consumo, bensì doveva diventare motore di produzione e soggetto di mercato.

Guarasci affermò un regionalismo illuminato, non subalterno, ma protagonista di una spinta diretta all’autogoverno. Oggi, di certo, avrebbe accettato la sfida leghista, convinto com’era delle capacità autopropulsive del Sud. D’altro canto, non risparmiava critiche al centralismo dello Stato e al burocratismo prefettizio, a tutte quelle espressioni istituzionali che risentivano ancora dei modelli postunitari e di quelli imposti dal fascismo, tuttavia lanciava un preciso messaggio riformistico sulla base della migliore cultura meridionalistico-democratica del ‘900. Un anticipatore. Un anticipatore impaziente.  

La visione guarasciana richiamava l’esigenza di dover qualificare la classe dirigente del Sud. Ecco perché l’uomo politico si batté, prioritariamente, per la istituzione d’un’università nella sua regione, che non ne aveva mai avuta una. A lui, tra l’altro, erano ben chiari i termini dell’”appello ai meridionali”, lanciato da Guido Dorso e da altri, convinti della necessità di agevolare, “nelle soluzioni imminenti”, la formazione “di una classe dirigente, padrona dei termini del problema e mossa dalla passione di risolverlo”. Sul fronte più strettamente politico, l’obiettivo dell’incontro tra cattolici e socialisti non poteva che significare l’abbattimento del muro quarantottista per ampliare l’area del dialogo e del confronto democratico, secondo un modello funzionale alla mobilizzazione d’un sistema altrimenti condannato a subire gli effetti nefasti della “guerra fredda”. Lo sbocco consociativistico, probabilmente, rappresentò un limite di tutto il corso politico aperto dalla sinistra dc. Ma, a quel punto, Guarasci era già, prematuramente, scomparso.

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