Rinnovamento politico e trasformismo

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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pino_gulla.jpgNei giorni appena trascorsi, durante le concitate fasi di discussione sulla riforma del Senato, dopo la scelta di Mattarella presidente della Repubblica che  ha provocato la rottura del cosiddetto “Patto del Nazzareno”, sono continuate le trasmigrazioni politiche di alcuni parlamentari, tali cambi di casacca ormai da anni sono considerati  normalità e scandalo a seconda di chi di volta in volta  ne ottiene vantaggi o svantaggi. Passare da una formazione politica all’altra è detto “trasformismo”, pare che non esista una parola corrispondente in altra lingua. Viene considerato dai politologi un fenomeno tipicamente italiano. Per quanto riguarda il significato, Duverger, giurista e politologo francese, ha usato parole con accezione non tanto diversa: eternel marais. Lo studioso criticava il pessimo funzionamento della IV Repubblica francese in quanto vittima dell’ eterna convergenza ad un Centro indistinto, da sempre considerato un ambito politico vago caratterizzato dalla volatilità. Ma alla valutazione negativa del Transalpino l’italiano Alfio Mastropaolo contrappone il più costruttivo juste milieu, giusto mezzo, ovvero l’accordo si realizza tra quelli che sono vicini nei loro disegni politici. Il termine, pure con altri sinonimi, è ritornato sulle pagine dei quotidiani e nei notiziari televisivi per un gruppo politico che si è distinto in tal senso, Gal, Grandi autonomie e libertà, formato da transfughi provenienti da varie formazioni politiche.

Come dicevamo, hanno preferito altra terminologia: nel passato prossimo si sono definiti “responsabili”, recentemente “stabilizzatori”, muovendosi  da diverse direzioni in soccorso di maggioranze deboli. Sono stati, di conseguenza, additati come traditori dal partito da cui sono usciti e positivamente da chi li accoglieva e viceversa. Si può allora sostenere che il trasformismo è visto (allo stesso modo del passato) in due modi differenti. Il gruppo parlamentare di cui sopra è in mezzo a tanti che hanno avuto comportamenti simili. Ciò che sta succedendo con l’avvento di Renzi è nel solco della tradizione politica italiana: non si contano i parlamentari che gli si sono accostati. Secondo i malpensanti, l’annuncio di un eventuale dicastero per il Mezzogiorno ha dato il là all’avvicinamento di parlamentari meridionali alla politica governativa. Vent’anni fa il fenomeno era presente: Il professore Tremonti, eletto deputato per il Patto Segni, che aveva scelto di non appoggiare Berlusconi, diventò ministro delle Finanze nel governo del cavaliere; Il senatore Luigi Grillo dai Popolari passò a Forza Italia e  fu sottosegretario al Bilancio; nel 1998, ben 95 deputati facevano parte del gruppo misto. Gianfranco Pasquino, docente di Scienza della politica nell’Università di Bologna, ha scritto, tra le altre opere, “Le parole della politica”, pubblicato nel 2000 da il Mulino.

Alla voce Trasformismo ha immortalato il senatore a vita Francesco Cossiga, il quale formò L’Unione democratica per la Repubblica, un gruppo parlamentare senza base politica che nemmeno si era presentato alle elezioni. “Servirono a disfarsi del governo dell’Ulivo e a fare il governo D’Alema (…), provocarono cambi di maggioranze detti ribaltoni”. Terminiamo con Rutelli che, insieme ad altri parlamentari del Pd, diede vita ad un’altra formazione politica. Come dagli esempi concreti, Il trasformismo non è ricomparso all’improvviso. Ci azzardiamo col dire che molto probabilmente negli ultimi tempi è frutto di una politica debole, non ben strutturata, da comitato elettorale o forse siamo in presenza di una trasformazione che dà spazio a nuovi posizionamenti. D’altronde, in origine Agostino Depretis, leader ottocentesco della Sinistra storica (liberali democratici), salì al potere auspicando “una feconda trasformazione”, una “unificazione  delle parti liberali della Camera”. Poi si scivolò  nel trasformismo.  Speriamo che adesso avvenga l’incontrario. Rinnovamento sì, trasformismo no.

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