Lamezia, ecco perchè i giudici del Tar hanno annullato lo scioglimento

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Lamezia Terme - La sentenza odierna del Tar, che ha annullato lo scioglimento del Comune, condensa in 26 pagine le ragioni che hanno convinto i giudici amministrativi a riaprire le porte del palazzo di città a Paolo Mascaro, alla Giunta e al Consiglio comunale. Punto per punto, i magistrati (presidente facente funzioni Ivo Correale, consiglieri Roberta Cicchese e Roberta Ravasio) ripercorrono la relazione su cui si è fondato il commissariamento dell'ente per presunte infiltrazion i mafiose e spiega perché il decreto di scioglimento debba essere smentito. I giudici partono da una valutazione di carattere generale, ovvero che "manca nel caso di specie - scrivono nel provvedimento - il profilo fondamentale teso a individuare il legame tra l’operato degli amministratori locali e il vantaggio, sia pure indiretto, delle “cosche” locali". Non solo, i giudici si addentrano in tutti i particolari analizzati nella relazione di scioglimento e a ogni episodio ricollegano uno scarso quadro probatorio di riferimento.

"La relazione attribuisce - si legge nella sentenza di oggi - particolare rilievo al fatto che la giunta disciolta operava in un territorio caratterizzato dalla presenza di quattro organizzazioni criminali, tra le più potenti del sistema ndrangheta”. Per poi, però, aggiungere: "Il contesto territoriale, tuttavia, nulla dice ex se in ordine all’eventuale collegamento esistente tra gli amministratori di un determinato comune e la criminalità organizzata". "Nessuna particolare prova di collegamenti o condizionamenti dell’operato dell’amministrazione da parte delle organizzazioni mafiose - affermano i giudici del Tar del Lazio - può poi trarsi dall’esame delle vicende poste alla base del disposto scioglimento, sia pure valutate nel loro insieme, tra cui quelle contrattuali menzionate dalla proposta ministeriale". "Con riferimento ai pretesi condizionamenti della campagna elettorale e alla contiguità degli amministratori con ambienti collegati alla criminalità organizzata – scrivono ancora i giudici –, deve dunque conclusivamente osservarsi come difettino, nella fattispecie, elementi dotati di sufficiente concretezza, univocità e rilevanza, atti a dimostrare, anche nel loro insieme e non singolarmente, già con riferimento al mero profilo soggettivo, e dunque all'esistenza di rapporti e frequentazioni rilevanti, la presenza di "collegamenti' degli amministratori con la criminalità ovvero di 'condizionamento' degli stessi da parte della criminalità organizzata". Ed ancora "è priva di una apprezzabile valenza probatoria – secondo i giudici – anche l'affermata continuità della giunta oggetto del provvedimento oggi impugnato con le giunte già oggetto di scioglimento nel 1991 e nel 2002". Una affermazione che "non appare puntualmente argomentata pur all'esame delle più dettagliate indicazioni contenute nella relazione della Commissione d'indagine, che si limita a riportare la proposta di scioglimento del 2002 e a riferire il contenuto di alcuni accertamenti a suo tempo disposti, rimettendo poi all'interprete la ricerca dei singoli soggetti menzionati, neppure tutti riconducibili alla maggioranza, che risultano candidati o eletti anche nella competizione elettorale del 2015".

Da qui le conclusioni: "ad avviso del Collegio gli atti gravati, non sono riusciti ad evidenziare, per assenza di univocità e concretezza delle evidenze utilizzate, la ricorrenza di un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi, tale da compromettere il buon andamento o l'imparzialità delle amministrazioni comunali".

 

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