Chef Rubio a Trame9: "Vorrei conoscere la storia dei due netturbini uccisi 28 anni fa a Lamezia" - VIDEO

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Lamezia Terme - Gabriele Rubini, in arte Chef Rubio, è stato il protagonista della terza serata di Trame9. Una chiacchierata, quella con Chef Rubio, che non si nasconde dietro alcun tipo di ipocrisia, ma che viaggia senza peli sulla lingua e senza falsi moralismi, al punto da chiedere lui stesso di voler parlare con la gente del pubblico e rispondere alle loro domande perché “siamo tutti uguali” ripete più volte. “Cosa ne pensi della giustizia in Italia? 28 anni fa, hanno ucciso mio fratello e il suo collega - arriva proprio dalla platea una riflessione sulla morte dei due netturbini Tramonte e Cristiano - ancora oggi non abbiamo avuto giustizia". "Vorrei conoscere la tua storia - risponde chef Rubio - la giustizia è che ha assunto molteplici significati e direzioni e spesse volte, a me la molla è scattata nel 2005 con il caso di Federico Aldrovandi, e quando mi batto perché sento una profonda ingiustizia lo faccio, e la cosa che più mi dispiace e più mi fa rabbia - aggiunge - è quella di vedere che qualcuno comprende che c'è della verità che potrebbe essere riportata in qualche modo a galla e dare la giusta dignità a delle persone che non hanno fatto nulla perché gli venisse negata". Lui sul palco e la gente in platea, sullo stesso piano senza la barriera del successo, della fama e della popolarità.

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Intervistato dal direttore artistico Gaetano Savatteri ha parlato di Elias, il documentario di Brando Bartoleschi, e prodotto proprio dallo chef che racconta la storia toccante di un’amicizia nei campi rom di Roma. E mentre in piazzetta san Domenico scorrevano le immagini di Elias, chef Rubio - senza nessuna mania di protagonismo o senza ostentare il suo essere famoso - osservava il suo lavoro seduto sul gradino di entrata del teatro Umberto, come uno dei tanti volontari di Trame. Chef Rubio con la sua ironia pungente e sfacciata, riesce a passare dalla politica alla cucina dai temi impegnati che ha più a cuore sull’ambiente e sul sociale ad argomenti più frivoli, senza mai perdere quel senso critico che lo caratterizza. E alla richiesta di fare dei selfie con lui tutta la serata ripete “cosa ve ne fate di una foto con me, è importante la chiacchierata che ci siamo fatti stasera insieme”.

Elias è un corto di dieci minuti sull’amicizia tra un bambino Rom e un cane, interpretato da un cast di Rom alle loro prime esperienze davanti alla macchina da presa. Elias è un breve racconto su un’amicizia profonda, un legame indissolubile che attecchisce in un contesto controverso e che – con il flusso narrativo ellittico – resiste al tempo e alle circostanze. Un corto, che come precisa chef Rubio, ha dato la possibilità: “A delle persone di essere messe nelle condizione di eccellere, di esprimersi per quello che sono, sicuramente possono fare tanto - e continua - è la dimostrazione che persone che non hanno mai recitato possono recitare anche meglio di tanti attori che vengono strapagati, è un modo per far vedere che non c’è il cattivo a prescindere ma c’è chi lo fa diventare tale se si ghettizzano le persone e si stigmatizzano hanno una tendenza a delinquere semplicemente perché le istituzioni e lo Stato non gli danno la possibilità di essere accettati”.

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“Tu hai una passione per i mondi marginalizzati, lavori con i detenuti che aiuti a teatralizzare leggere e discutere i grandi classici greci, studi la lingua dei segni, da dove nasce questa tua attenzione verso il mondo degli ultimi e degli emarginati?” questa la domanda di Savatteri a cui chef Rubio risponde con tutta la naturalità del mondo: “Non so risponderti perchè lo faccio, mi viene naturale - e ammette - trovo molto più interessante e molto più umano stare in alcune situazioni che spesso invece vengono etichettate come poco affini ai canoni che ci dicono di rispettare”.

Savatteri non ci gira troppo intorno e fa una domanda secca a Chef Rubio: “Cosa c'entra il cibo con la visione impegnata del mondo?”. “Il fatto che all'inizio non ci fossero dei contenuti che andassero oltre il mangiare con le mani o il raccontare i carrettini o le bettole italiane, non vuol dire che l’unica tematica che avevo a disposizione per poter raccontare quello che era il mio pensiero fosse solo la cucina - e prosegue - è stato un caso che la mia passione e il mio lavoro in quel momento fossero in stand by perchè se mi occupo di altre cose non significa che non posso anche dedicarmi a tutto tondo alla cucina, o fare il divulgatore”.

Savatteri, ritorna sulla questione dei selfie e dei social, essendo chef Rubio un personaggio estremamente mediatico e infatti, il direttore artistico di Trame riflette proprio su questo: “Quando cammini per strada, lo so e lo vedo, vieni fermato per un selfie, per una fotografia, stasera alla fine della nostra chiacchierata ne farai a centinaia, che cos’è la popolarità e il successo, è un valore da inseguire a tutti i costi?”: La risposta è secca: “Penso che le persone in questa piazza sono superiori ad un selfie, non siamo qui a fare inquadrature per far sembrare che la piazza sia piena, io non sono qui a vendere nulla e la piazza è comunque piena e vuol dire che ci sono tante brave persone che hanno voglia di ascoltare  - e sul successo precisa - penso che le persone siano abbastanza intelligenti da capire  che inseguire qualcosa che spesse volte viene comunicato come stupendo non faccia per loro”.

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Savatteri tocca con Rubio anche il tema politico, e il suo orientamento politico che da molti viene definito come di sinistra e risponde: “Molti mi descrivono come una persona di sinistra, ma io non so che rispondere, in realtà sono più anarchico come pensiero, ma all’interno di una società devi saperti comportare e metterti a disposizione, non mi nascondo dietro un partito o dietro un ideale, ma sono sempre davanti con la mia faccia e ci metto la faccia sempre sulle cose che penso di poter raccontare”.

Savatteri chiede poi a Rubio: “Siamo condannati in Italia ad avere a che fare con le mafie?” anche in questo caso la risposta non si fa attendere: “La mafia siamo noi, quando ogni giorno diciamo la mafia è lo Stato, come noi siamo lo Stato e ce ne dimentichiamo ogni santo giorno perchè non facciamo nulla per combattere per i nostri diritti, è così è un gioco-forza di una condizione mentale, non ci si assume la responsabilità di costruire qualcosa per la società e cerco un escamotage e faccio figli e figliastri in alcune situazioni, li si sta innescando già un processo - che sembra forte dire - mafioso, ma è quello l’inizio della fine”.

Antonia Butera

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