Intervista al Prefetto di Catanzaro Latella: “Su Scordovillo attendiamo ancora un progetto dal Comune” - VIDEO

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di Claudia Strangis. 

Lamezia Terme – “È arrivato il tempo del fare, in questo momento c’è davvero bisogno di un cambio culturale e di mentalità”. Non le manda a dire il Prefetto di Catanzaro, la dottoressa Luisa Latella. Calabrese, di Reggio, con alle spalle una lunga carriera, ricopre questo ruolo dal gennaio del 2015, precedentemente aveva avuto lo stesso incarico a Foggia e Vibo Valentia. Ha prestato servizio da giovanissima alla Prefettura di Reggio Calabria, lavorando anche al documento per lo scioglimento del Comune di Taurianova nel 1991 ed è stata commissario straordinario in numerosi Comuni tra cui, da ultimi, Acerra e Palermo. Tra gli argomenti toccati nel corso dell’intervista, come criminalità e commissione d’accesso, anche la questione Scordovillo (vedi minuto 15:05, ndr), quanto mai attuale, considerando l’ennesimo rogo consumatosi proprio ieri. “Sul campo rom attendiamo ancora un progetto dal Comune”, ha spiegato il Prefetto, che ha rimarcato lo stallo che insiste su questa situazione ormai trentennale, nonostante anche il decreto di sgombero “vecchio” di sei anni.

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Quanto è complicato fare il prefetto in un territorio che si può definire “difficile” come questo?

“Ho sempre lavorato in territori difficili, quindi non è che Catanzaro sia più complesso, più complicato, degli altri fatti in precedenza. È un territorio sicuramente molto difficile e, in parte, non scoperto, non approfondito. Determinate dinamiche sono rimaste silenti negli anni e ora si comincia, invece, a tirarle fuori. La zona del lametino è, al contrario, all’attenzione da decenni con operazioni di Polizia incalzanti, tantissimi arresti, decapitazione delle stesse cosche, senza che però il fenomeno si sia attenuato, nel senso che il fenomeno persiste, sono solo cambiati i protagonisti. Al posto dei capi che, in qualche modo, continuano ad esercitare la loro influenza, perché anche dal carcere i veri capi continuano a farlo, si è arrivati anche al coinvolgimento delle nuove generazioni, che molto presto sono entrate sul mercato affiliando talvolta o, comunque, riuscendo a coinvolgere, gente normalmente sottratta dalle influenze del clan, probabilmente attratta da qualche mito o anche dal fattore economico, purtroppo importantissimo, perché non essendoci il lavoro i due fattori vanno sostanzialmente a convergere e a costituire un circolo vizioso, il classico serpente che si morde la coda, purtroppo devastante nei nostri territori”.

Ha parlato più di una volta, con rammarico, proprio del coinvolgimento di questi ragazzi negli ambienti criminali…

“Bisogna dire intanto, che non tutti i giovani sono così, ci sono giovani positivi, anche propositivi, estremamente critici, e questo è già un dato assolutamente rilevante. Ciò che dobbiamo fare è non disperdere queste energie e farle prevalere su quelle negative. Che i giovani siano molto attratti dalla criminalità organizzata di stampo mafioso lo dimostrano le ultime operazioni proprio su Lamezia ma anche su altri territori della Calabria. C’è questo coinvolgimento di fasce sempre più basse di popolazione e anche di minori e lì si capisce l’attività che si fa nei Tribunali dei minori per cercare di arginare questo fenomeno che, però, non può essere risolto solo dalle Istituzioni, così dette statali. È un fenomeno culturale, più ampio, che riguarda proprio la società civile: se non c’è una inversione di tendenza della società civile in Calabria non ci può essere riscatto che nasca solo dalle istituzioni. Qui c’è una sorta di delega totale alle forze di polizia e alla Magistratura, o alle Istituzioni dello Stato variamente rappresentate e questo non è giusto, non è corretto. È assolutamente controproducente perché lo Stato può fare cento e anche più, come dimostra l’azione in questa provincia, ma questo problema non verrà mai risolto se la società civile continuerà a rimanere assolutamente indifferente, a lamentarsi senza agire. Anche fare la fiaccolata, lascia il tempo che trova, se poi non si fa, se non si cambia, se non si agisce: sono i fatti che modificano la società, le parole riescono ad incidere, certo, ma quello che incide profondamente sul tessuto è il fatto, l’agire e qui di azioni ne vedo poche. Ed uso un eufemismo”.

Proprio nell’ultima operazione di polizia che ha riguardato Lamezia (Filo Rosso, ndr), si è puntato ancora una volta il dito sugli imprenditori. Le denunce sulle estorsioni sono ancora poche e spesso si nega anche di fronte all’evidenza dei fatti. Perché secondo lei siamo ancora a questo punto?

“Quando sono arrivata qui, come anche in altre realtà, hanno cominciato a chiedermi protocolli di ogni genere. Nel tempo, ho notato che i protocolli servono a poco o quasi nulla. Servono al momento dell’avvio, fanno un attimo di schermo ma più di questo riescono a fare: le attività proseguono per i fatti propri, le forze di polizia continuano ad andare avanti e lo farebbero comunque, al di là dei protocolli, quindi diciamo che c’è una attività che non è riuscita a concretizzarsi. Se non c’è un cambio di rotta, è difficile che le operazioni continueranno a perpetuarsi. Nel dicembre del 2015, abbiamo firmato con Confindustria regionale un bellissimo protocollo, che peraltro, riprendeva quello firmato a livello nazionale, e che era stato fortemente voluto dal presidente di Confindustria regionale. Ci abbiamo lavorato, ma questo protocollo comportava l’adesione dei commercianti e io non ho visto alcuna adesione dei commercianti né a Catanzaro, né in tutta la provincia. Questo è un segnale, purtroppo. Il protocollo comportava la denuncia in caso di estorsione, non una denuncia semplice, ma che prevedeva la collaborazione. A volte le forze di polizia, preferiscono stare anche un passo indietro, vogliono essere aiutate a capire il fenomeno e invece questo è successo pochissime volte. La mancata adesione al protocollo, voluto dalla stessa Confindustria, è un fatto sicuramente non positivo. Allo stesso tempo, rilasciando i certificati antimafia, ci siamo resi conto che il rischio collusione è altissimo, anche con cosche non di questo territorio: c’è, infatti, una interconnessione sicuramente forte con cosche del crotonese, reggino e vibonese”.

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Passando alla situazione di Lamezia, proprio poco più di un mese fa, lei ha disposto la commissione d’accesso al comune. Se è stato deciso così, evidentemente ci sono stati i presupposti per disporla. È un fatto legato esclusivamente all’operazione Crisalide, che ha visto il coinvolgimento di due ex consiglieri comunali?

“L’operazione ha contribuito a dare determinati dettagli ma sin dalle elezioni e ancor prima, cominciamo il monitoraggio di tutte le amministrazioni comunali insieme alle forze di polizia. Con il monitoraggio poi, vengono fuori tutti gli elementi necessari: l’operazione porta anche il frutto delle attività investigative, però, appunto, la nostra attività cominciava prima, nella fase preelettorale. La questione di Lamezia Terme è stata affrontata con estrema cautela perché è la terza volta che si entra con la commissione di accesso in questo Comune. Sicuramente ci son stati dei presupposti che ci hanno portato, sia pure con dispiacere, perché è il terzo comune della Calabria, a prendere questa decisione e vedremo cosa ne uscirà fuori. L’accesso implica l’esame degli atti per capire se le attività sono state condizionate dal fenomeno mafioso. Questo controllo si sta facendo, non si possono anticipare giudizi, ma vedremo alla fine del lavoro della Commissione. I cittadini dovrebbero interrogare loro stessi, poiché sono loro che determinano l’elezione del consiglio comunale. Essere critico non vuol dire essere distruttivo ma portare delle ragioni all’interno delle Istituzioni e, se sono ragioni valide, devono essere ascoltate. La fase elettorale è la più importante del vivere da cittadino, è quella della concretizzazione della democrazia: se la democrazia diventa veicolata dalla criminalità organizzata vuol dire che non siamo più in un paese democratico. E questo è grave, gravissimo. Vuol dire che il nostro libero convincimento è deliberato da qualcun altro per motivi diversi da quello che è il raggiungimento del bene comune”.

Qualche tempo dopo poi lei ha anche disposto la commissione d’accesso in Sacal.

“È una cosa diversa, perché questo è un accesso societario, che nasce da una richiesta di certificazione antimafia avanzata da Enac, l’Ente Nazionale dell’Aviazione Civile. Prima di dare a Sacal la concessione degli aeroporti calabresi, ha richiesto la certificazione antimafia. Nell’ambito del rilascio della certificazione sono emersi alcuni fattori che ci hanno convinto ad intervenire con un accesso societario, ma questi sono poteri tipici del Prefetto. L’accesso societario riguarda la società, i rapporti e le sue relazioni”.

Su questo, c’è stata la massima disponibilità da parte del nuovo presidente, Arturo De Felice.

“Sono cose indipendenti, noi facciamo una attività di approfondimento, non si tratta di una questione di disponibilità, la legge obbliga chi sta in un determinato ruolo a darci gli atti che richiediamo”.

Si tratta sempre della stessa commissione che opera anche su Sacal?

Sì, questo è per una questione di economia dell’organizzazione lavorativa”.

Questo discorso si può allargare anche ad altre partecipate o ad altre società?

“Non lo sappiamo. Vedremo via via che cosa uscirà fuori dal lavoro che si sta facendo”.

Passando, invece, alla questione Scordovillo, solo qualche settimana fa, c’è stato l’ennesimo rogo sul vialone del campo rom. Ancora però, non si intravedono soluzioni concrete.

“La questione di Scordovillo da quando siamo arrivati, insieme all’Amministrazione Comunale, all’Aterp, le forze di Polizia, la stessa magistratura, anche quando il Procuratore Curcio era ancora facente funzioni, è stata affrontata con riunioni ed incontri. Ci sono stati interventi da parte di magistratura e forze dell’ordine, non solo repressivi, ma anche preventivi. Siamo intervenuti insieme ai vigili del fuoco, per esempio, tagliando gli allacci abusivi ma non può essere solo questo. Avevamo chiesto all’Amministrazione Comunale un progetto, che deve venire assolutamente dal Comune e non può fare di certo il Prefetto, poi i canali di finanziamenti si vedranno, che certamente esistono per quanto riguarda questo tipo di situazioni. Bisogna sì sgomberare Scordovillo ma bisogna trovare soluzioni, a breve, medio o lungo termine, ma è il Comune che deve lavorare su questo. Poi si può lavorare per la richiesta di finanziamento: e allora si può far entrare in campo la Regione, lo Stato, i finanziamenti comunitari, ma si deve lavorare su un progetto compiuto che fino ad ora non ho visto. E Scordovillo è stata una delle prime cose che ho discusso con il Sindaco e la sua Giunta appena si sono insediati a Lamezia: l’attenzione c’è quindi, ribadisco, non bisogna piangersi addosso ma fare proposte, così potrà esserci una seria prospettiva ed un aiuto concreto. Il territorio è nelle mani del Comune, che può e deve essere supportato. Bisogna partire da qualcosa e capire quale sia l’obiettivo e su quello lavorare. Non è di certo facile ma bisogna avere la buona volontà di farlo: il progetto deve venire da chi vive quel territorio, altrimenti diventa calato dall’alto. Non si tratta di un fenomeno semplice, però ci sono i modi per risolvere le questioni, di cui si è anche parlato, quindi ora è necessario agire di conseguenza. Sto parlando di un progetto incisivo, non teorico o clientelare perché la progettazione talvolta ha carattere puramente clientelare o raggiunge anche obiettivi diversi da quelli dello sviluppo del territorio. Per questo abbiamo una attenzione costante e totale su tutta questa filiera. Voi (lametini, ndr) avete una grande fortuna, quella di avere un Procuratore illuminato (il Procuratore della Repubblica di Lamezia, Salvatore Curcio, ndr), e non lo dico per piaggeria. Sfruttate allora questa sua capacità di conoscere il territorio, essendo anche lui calabrese di questa terra, che conosce e vive questa situazione. Non si può, però, pensare che sia tutto nelle mani delle forze dall’ordine, del Procuratore, del Prefetto e per questo cominciare a lavorare dal basso. Non sopporto più questo piagnisteo, di chi si lamenta ma non fa. La situazione è tale che siamo ad un punto di rottura. O si va da una parte o dall’altra. Altrimenti la Calabria veramente non sarà più presa in considerazione a nessun livello e questo, da calabrese, mi dispiace fortemente”.

Per concludere, a più di due anni dal suo insediamento, è un bilancio positivo il suo o c’è ancora da fare?

“C’è sempre da fare, bisogna continuare a zappare, come dico io, nel vero senso della parola. La problematica più urgente è il superamento delle logiche criminali, favorite penso da un substrato che tende a non rispettare le regole e questo è humus per la criminalità perché vuol dire che culturalmente c’è questa propensione. Bisogna non sentirsi altri rispetto al territorio, ma vivendolo, facendone parte, si risentendo di queste logiche e, quindi, si deve superarle”.

 

La versione integrale dell’intervista sull'edizione cartacea de Il Lametino 235 in edicola

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