Lamezia, "Il profumo dell’integrazione”: convegno di Change Destiny contro le discriminazioni

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Lamezia Terme - “La diversità non esiste, e ai bambini bisogna insegnarlo fin da piccoli”. Per Angela Morabito, antropologa e presidente dell’Associazione “Change Destiny” no profit, è questo il cuore del problema. E, per ribadire ancora una volta il concetto, ieri, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, “Change Destiny” ha organizzato il convegno “Il profumo dell’integrazione”, nella suggestiva cornice della Biblioteca del Convento di Sant’Antonio. Nella serata, è stato anche presentato ufficialmente il simbolo dell’integrazione, ideato dalla presidente Morabito: un fiore con cinque petali bianchi, tempestati di puntini neri, con al centro un pistillo nero. Fiore che somiglia alle dita di una mano. Come dire: le dita sono diverse, ma appartengono tutte alla stessa mano. Un messaggio molto eloquente. Ma non è tutto. C’è stata anche la proiezione della video campagna permanente “I colori del mondo”, supportata dell’omonimo progetto attivo già dallo scorso anno.

Dopo i saluti di padre Bruno Macrì, del Convento di Sant’Antonio, che ricorda come “il tema evangelico dell’integrazione è molto caro al nostro Papa e risponde anche alla nostra tradizione francescana”, il sindaco Paolo Mascaro (accompagnato dall’assessore comunale alla Cultura Simone Cicco), sottolinea come “Lamezia è una città ospitale. E noi portiamo avanti con convinzione i progetti di integrazione vera, che producono risultati eccellenti, come hanno riconosciuto i responsabili ministeriali il giorno del mio ritorno al Comune”. Ancora il sindaco: “Dobbiamo rendere naturale già ai bambini la cultura del tendere la mano alle diversità, che uniscono e migliorano, ma spesso la cultura dell’egoismo ci fa chiudere gli occhi”.

Quindi, il convegno entra nel vivo con le crude testimonianze del padre brasiliano Mosè Francesco, vicario della Parrocchia Immacolata di Gizzeria Lido; del professore egiziano Maikel Youssef e del padre messicano Nahum A. Emilio, parroco San Tommaso d’Aquino di Falerna. Padre Mosè Francesco, proviene da una famiglia numerosa. Per il religioso, “integrare significa spogliarsi di sé stesso per accogliere l’altro senza pregiudizio. Quando pensiamo di essere superiori, non è possibile fare integrazione”. Youssef, invece, quando era in Egitto s’è laureato in matematica. Aveva il sogno di venire in Italia. Lascia così casa, terra e gli affetti più cari. Ora lavora in una piccola impresa di costruzioni, “per guadagnare onestamente il pane”. Il giovane è molto religioso. E sente sempre Gesù vicino, che lo aiuta ad andare avanti. Padre Emilio è l’ultimo di otto figli. I genitori sono morti quando era piccolo. Le sue parole d’ordine sono: “Valorizzare l’altro e avere la mente aperta”.

Infine, Giancarlo Nicotera, presidente nazionale Associazione forense italiana (Afi), parte da un assunto di base: “Oramai si parla solo di accoglienza, che è cosa ben diversa dall’integrazione. Oggi si ragiona solo per slogan, senza considerare che ognuno si integra quotidianamente a ogni livello”. Aggiunge Nicotera:” Dicono chiudiamo i porti. Ma cosa facciamo con i 5 milioni di stranieri già in Italia? È questo il punto. A chi conviene non integrare? Semplice: a chi ha interesse a sfruttare queste persone. Invece, bisogna vedere nell’altro un volto, la tessera di un puzzle che così si completa”.

Giuseppe Maviglia

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