Lamezia, Savatteri intervistato dagli studenti per #Trameoff: "L'attentatuni, non un libro di mafia ma il racconto di un’indagine"

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Lamezia Terme - “Non un libro di mafia ma un'indagine”. Così il giornalista, scrittore e direttore artistico di Trame Festival, Gaetano Savatteri definisce il suo libro “L'attentatuni. Storie di sbirri e di mafiosi” scritto insieme al collega Giovanni Bianconi. A parlarne questa mattina, in un incontro con l'autore, gli studenti del liceo scientifico Galileo Galilei a conclusione del percorso #Trameoff, attività nell'ambito del progetto #Trameascuola. A condurre la giornalista de Il Lametino Claudia Strangis, anche tutor del progetto, la quale si dice entusiasta dell'esito. “Sono rimasta particolarmente colpita dai ragazzi - afferma - siete consapevoli del territorio e delle difficoltà da affrontare”.

Nel '97 la prima edizione del libro. A pochi anni dalla Strage di Capaci. Questo “L'attentatuni” di Savatteri, ancora attuale se si pensa alla presunta trattativa Stato Mafia. “Un fatto drammatico, - spiega l'autore - l'idea era quella di raccontare un'indagine dall'interno”. Un libro, dunque, che non parla dell'attentato in sé, ma della serie di giochi a ricorrersi intercorso da lì in poi fra mafiosi e sbirri. E sono volutamente definiti 'sbirri' con quell’accezione dispregiativa, gli uomini delle forze dell’ordine, per rompere uno stereotipo, “Siamo più bravi di voi mafiosi”, quasi a voler dire questo.

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Tanti piccoli giornalisti, a fare le domande più disparate nella fase conclusiva del progetto, in presenza della dirigente scolastica Teresa Goffredo e delle docenti Mara Perri e Antonella Maione che li hanno seguiti nel corso dell’anno. “Ci siamo divisi i compiti - risponde Savatteri - Bianconi è partito dalla parte più descrittiva di Palermo, dalle intercettazioni ecc., poi ci siamo scambiati i capitoli, e infine abbiamo fatto una lettura condivisa per dare eterogeneità”. Ha mai avuto paura svolgendo questo lavoro? Una riflessione ampia sul ruolo etico del giornalismo, della cultura, della professionalità. “No, paura no, certo stando allora a Palermo si percepiva una certa tensione ma ho sempre avuto la fortuna di lavorare per grandi giornali e quindi di avere le spalle coperte. State vicini piuttosto - prosegue - ai giornalisti che vivono in terre di frontiera”. E non solo, per Savatteri fare giornalismo con passione e serietà, nell'epoca della notizia 'veicolata' dai social network, diventa assai utile: “Se tu vuoi un bel paio di scarpe lo devi pagare - spiega ancora rafforzando l'idea di giornale cartaceo - allo stesso modo la buona notizia la devi pagare. Se siamo cittadini è necessaria un minimo di spesa per l'informazione. Chi sa una cosa più di noi può renderci schiavi”.

Per Savatteri, quindi, il giornalismo ha ancora un valore: accrescere il senso critico. Altre sostanziali differenze, emerse dalle domande dei ragazzi, riguardano le forme e le strutture di Cosa Nostra e ‘ndrangheta. “Il Sud è sempre stato un problema di ordine pubblico - dice Savatteri - Cosa Nostra è unitaria e verticistica, la ‘ndrangheta è unitaria ma non verticistica, più simile a una federazione di cosche”. Quello che occorre mettere in rilievo, però, è la contiguità mafiosa, sempre più diffusa negli apparati politici e istituzionali. Infatti, Savatteri invita a leggere l'analogia fra Cosa Nostra e ‘ndrangheta a partire dal 416 bis, articolo del codice penale da cui si evincono i caratteri dell'associazione mafiosa. Se si scorre al 416 ter si può invece toccare con mano la contiguità, nell'esempio tipico del voto di scambio. Discorso che ha a che fare con la mentalità, la cultura mafiosa, e che però come ricordava Paolo Borsellino non può essere sottovalutato, come spesso accade, solo perché più difficile a livello probatorio.

Valeria D’Agostino

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