Legambiente Calabria: dati Arpacal su depuratori confermano quanto detto da Goletta verde

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Catanzaro - “I dati forniti dall’Arpacal sulla non conformità di 40 depuratori calabresi su 122, analizzati nei primi sei mesi del 2016, confermano quanto detto da tempo da Legambiente Calabria e da Goletta verde”. Ad affermarlo in una nota è Legambiente Calabria, in seguito al comunicato diramato dall’Arpacal sui depuratori calabresi. “Portare a termine la vera grande opera pubblica di cui necessita la Calabria: l’attento monitoraggio degli impianti di depurazione esistenti, il loro corretto funzionamento e la corretta gestione oltre alla realizzazione degli interventi di efficientamento e adeguamento, che permetterebbe una volta per tutte di uscire dall’emergenza depurativa che rischia di compromette irrimediabilmente una delle maggiori risorse di questo territorio”. Questo l’appello di Legambiente alla “Regione Calabria che - afferma l’Associazione ambientalista - cambia ‘colore’, ma non lo stato di cose”.

Secondo i numeri raccolti nel dossier di Legambiente “’I fanghi di depurazione: la storia continua - A che punto è la depurazione in Calabria?’, presentato lo scorso 6 luglio, la regione ha una potenzialità nominale complessiva di depurazione pari a 2.786.725 abitanti equivalenti su un totale (dati Istat) di 3,7 milioni, cioè il 75 % del totale. Un dato che però si abbassa notevolmente se si analizza la reale capacità di trattare adeguatamente gli scarichi, secondo gli standard previsti dalle normative europee. Stando ai numeri dell’Istat (Censimento delle acque di giugno 2014 con dati al 2012) ad essere trattati in maniera adeguata è il 51,5% del totale del carico generato. Il controllo delle quantità di fanghi prodotti e il loro smaltimento legale è la condizione indispensabile per l’eliminazione di uno dei problemi più rilevanti che ritroviamo nei nostri mari. Ma la mancanza di informazioni sulla quantità di fanghi prodotta crea di conseguenza anche una mancata trasparenza sulla loro gestione, sugli impianti di destinazione finale, dando adito a fenomeni di trattamento e smaltimento illegali che inquina il nostro ambiente sia esso il terreno o il mare circostante. Da un anno vi è un nuovo strumento normativo che potrebbe velocizzare l’iter di realizzazione o di efficientamento degli impianti di depurazione. La nuova legge sugli ecoreati, prevede per i reati più gravi di inquinamento e disastro ambientale fino a 15 anni di reclusione”.

“Per i soli reati ambientali contravvenzionali - specificano ancora nella nota - che non hanno comportato danno o pericolo di danno, inquinamenti e disastri alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette, il nuovo art. 318 bis del codice ambientale inserito dalla legge 68 sugli ecoreati prevede, invece, un procedimento amministrativo di estinzione della pena attraverso l’emanazione, da parte delle autorità di controllo e repressione, di prescrizioni da impartire ai responsabili. Lo scopo è sanare entro termini fissati gli illeciti (mettendosi in regola con la legislazione ambientale) e con il pagamento di una sanzione pecuniaria (stabilita in una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la stessa contravvenzione commessa) per evitare il procedimento penale ed estinguere così il reato”.

“Nella maggior parte dei casi - concludono da Legambiente Calabria - le aziende alle quali sono state comminate le prescrizioni, adempiono, entro i termini, a quanto loro prescritto: ne beneficia l’ambiente, con la messa in regola della condotta incriminata (evitando per il futuro l’eventuale pregiudizio) e ne beneficia anche il sistema di amministrazione della giustizia, avendo evitato i tempi lunghi di procedimenti penali che, spesso, nonostante il dispendio di risorse sono costretti a cedere il passo alle ravvicinate prescrizioni.  Non mancano però i casi in cui le prescrizioni non vengono rispettate (oppure vengono rispettate oltre fuori tempo massimo), sintomo evidente di azioni criminali deliberate e ponderate, che quindi giustificano l’intervento tempestivo e deciso dell’Autorità giudiziaria per dare seguito al procedimento penale. Dopo aver dato all’azienda una chance di mettersi in regola, la scelta della perseveranza ecocriminale apre le porte al giudizio penale”.  

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