Legambiente: la Calabria va a fuoco, su prevenzione ritardi colpevoli

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Catanzaro - A seguito dei gravi incendi che hanno colpito la Regione intera, Legambiente Calabria chiede più interventi da terra per domare le fiamme, la sospensione dell'attività venatoria e il divieto di accendere fuochi soprattutto a Ferragosto.
 
"Gli incendi che stanno devastando il patrimonio naturalistico e forestale della Calabria - affermano - sono la prova del fallimento di quanti dovevano prevenire e ridurre i rischi di innesco di incendi boschivi in un territorio già messo a dura prova dalla siccità e dalle alte temperature di questa estate torrida. È mancata l'organizzazione e la consapevolezza di dover tutelare il territorio forestale e boscato della regione, in gran parte di grande interesse naturale e culturale inserito nelle aree protette e nei siti della rete natura 2000, attraverso strumenti e risorse straordinarie per affrontare un’ estate che sarebbe stata difficile. È questo quello che accusa Legambiente.
Nonostante erano a tutti note, già prima del 15 Giugno, data d'inizio delle attività per l'Antincendio boschivo, le difficoltà che avrebbe comportato il passaggio delle competenze dall'ex Corpo Forestale dello Stato ai Vigili del Fuoco, la stagione AIB è stata affrontata con la solita approssimazione, sciatteria e ritardi tipici di una Regione che applica in ritardo il Piano AIB, subisce le emergenze su tutte le materie ambientali e crede di risolverle con i commissariamenti che rispondono al solo uomo al comando. Ci costituiamo in giudizio contro i responsabili dei roghi, ma chiediamo alla Magistratura di verificare se tutte le istituzioni hanno agito in maniera adeguata e nel rispetto delle leggi in materia di prevenzione e gestione degli incendi boschivi.
In Calabria le più banali attività di prevenzione e di difesa attiva dagli incendi boschivi sono state ignorate, a partire dalla comunicazione pubblica sul nuovo numero unico da chiamare in caso di incendio, per non parlare del catasto delle aree percorse dal fuoco non realizzato dalla gran parte dei comuni e senza il quale i divieti previsti dalla legge 353/2000 non vengono applicati. Insomma degli incendi nella nostra Regione si continuerà a parlare solo per la disorganizzazione, per le indagini della magistratura su Calabria Verde e per il cattivo utilizzo che si fa degli operai forestali regionali, in ala la vera risorsa per prevenire, spegnere e bonificare il territorio dal rischio di incendio. In tutto questo disastro sembra opportuno per Legambiente che chi ha la responsabilità ammetta di aver sbagliato e si scusi con i calabresi e con i turisti che sono stati evacuati com’è successo a Fago del Soldato in Sila.
E proprio su quanto sta avvenendo in Sila si chiede chiarezza su alcuni episodi che ancora oggi sono stati segnalati, in particolare sulla gestione degli incendi in corso a Longobucco e si chiede al Prefetto di Cosenza di sapere quante sono le squadre a terra di operai forestali, sotto la guida del Direttore delle operazioni di spegnimento (DOS), impegnate a bonificare il territorio dal rischio che gli incendi appena spenti dall'acqua versata dagli aerei riprendano fiato.
Perché l'altro paradosso a cui si assiste è di incendi che vengono spenti di giorno dai canadair, che come tutti oramai sanno costano tantissimo alle casse pubbliche, e riprendono vigore nei giorni successivi perché manca una adeguata bonifica delle aree percorse dal fuoco. La disorganizzazione ed i ritardi sono la principale causa di quanto sta avvenendo, per questo si crede poco ad altre tesi sulle origine dei roghi perché sembrano diffuse ad arte da chi dovrebbe dare risposte concrete del suo operato che sembra poco concreto e molto mediatico. Legambiente non si meraviglia certo visto che ha denunciato gli interessi dei clan e le tante illegalità presenti nell’Altopiano silano dell’affermazione che dietro i roghi ci sia la criminalità organizzata, ma questo non assolve nessuno rispetto alle proprie responsabilità. Anche perché per capire gli interessi che ha la ‘ndrangheta in Sila basta leggere le ultime inchieste della Magistratura per scoprire che imprenditori legati alle cosche del crotonese si sono lanciati da tempo nel business delle energie rinnovabili acquistando grandi appezzamenti di terreno boscato per alimentare la loro centrale a biomasse in maniera legale e con tutte le autorizzazioni del caso. La ‘ndrangheta è già padrona della Sila dove già controlla i boschi ed i pascoli abusivi senza che nessuno controlli, sanzioni o restringa la possibilità di tagliare dentro e fuori dal parco senza nessuna limitazione. Non ci pare che negli ultimi tempi ci sia stata una stretta rispetto alle autorizzazioni al taglio, non si è a conoscenza di norme restrittive per tutelare il paesaggio rispetto alle attività forestali o il pascolo. Tutte le denunce dell’associazione alle forze dell’ordine sul pascolo abusivo in alcune aree critiche come il Lago di Ariamacina, ad esempio, non hanno sortito nessun effetto nonostante operino in Sila “vaccari abusivi” che sono i veri padroni del territorio che occupano terreni pubblici non autorizzati, pascolano indisturbati nelle aree di maggiore pregio, minacciano gli escursionisti che percorrono i sentieri e disseminano il territorio di siepi abusive e rischiose per chi fa trekking.
 
Come nessun effetto ha provocato sull’azione del Parco nazionale della Sila le richieste di maggiore tutela dei boschi attraverso un regime autorizzativo diverso. Insomma se possono continuare a pascolare abusivamente le loro mandrie e tagliare indisturbati i loro boschi perché questi imprenditori in odore di ‘ndrangheta dovrebbero bruciare i boschi, con il rischio che ci vadano di mezzo le loro proprietà e soprattutto per recuperare solo il 20-30% di biomassa legnosa da un bosco bruciato rispetto al 100% da un bosco non bruciato? Forse sono in corso ricatti e pressioni su privati per vendere le loro proprietà o verso i comuni per mettere le mani sui boschi e utilizzare i terreni pubblici per il pascolo? A questi rischi si risponde con le indagini delle forze dell’ordine, ovviamente, e con azioni preventive previste dalla legge 353/2000 sugli incendi boschivi che deve essere applicata dai comuni pena il loro commissariamento per aver agevolato gli interessi della ‘ndrangheta. Molto semplicemente se è valida la tesi degli interessi criminali attorno ai roghi, chiunque li agevoli è un loro complice perciò i sindaci che non rispettano la legge 353/2000 vanno cacciati.
Vista la straordinarietà della situazione in cui versa il nostro territorio a causa degli incendi boschivi, Legambiente chiedie di mettere in campo alcune misure adeguate a fronteggiare gli effetti straordinari causati dagli incendi, perciò si chiede:
 
1) Alla Regione Calabria di sospendere il calendario venatorio. Mettere in atto misure per la gestione forestale sostenibile e la buona gestione del patrimonio forestale pubblico, controllare che i fondi pubblici non alimentino aziende e operatori contigui alla criminalità o coinvolti nella gestione abusiva e illegale nel settore agro-silvo-pastorale;
2) Ai comuni di emanare ordinanze per vietare di accendere fuochi all’aperto nelle aree boscate, comprese le aree attrezzate e le aree pic-nic soprattutto per le prossime festività di Ferragosto. Applicare la legge 353/2000, procedere alla realizzazione del Catasto delle aree percorse dal fuoco e aggiornare gli strumenti urbanistici comunali;
3) Alle Prefetture di verificare l’applicazione della legge 353/2000 da parte dei comuni, sanzionare con il commissariamento le amministrazioni inadempienti, e procedere d’ufficio all’aggiornamento degli strumenti urbanistici comunali;
4) Agli enti gestori delle aree protette e dei siti della rete natura 2000 di applicare quanto previsto dalla legge 353/2000 e fornire informazioni sulla gestione boschiva e di fida pascolo dei terreni pubblici;
5) Alle magistratura e alle Forze dell’ordine di indagare sugli incedi boschivi e perseguire i responsabili anche alla luce delle norme sugli ecoreati". 

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