I Calabresi e l’impresa dei Mille: note politiche, diplomatiche e militari

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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francesco_vescio-ok_48ed3-1_c2018_736f4_c645b_efd06_cf25d_61a3f_f5055_5e33f_9bc9f_2e2b4_7933e_1335d_e767a_1cf0c_80515_12feb_1a19a_b034d.jpgLa conquista del Regno delle Due Sicilie (1860) fu un avvenimento fondamentale per l’Unità d’Italia, che va inquadrato in un contesto molto complesso di fattori agenti a livelli diversi: regionali, nazionali e delle maggiori Potenze europee del tempo; nel presente scritto si darà particolare rilievo al contributo dato dai calabresi a tale evento, ma si cercherà di analizzare pure le condizioni favorevoli all’esito della spedizione militare dovute al mancato intervento delle Potenze a favore della dinastia borbonica e, quindi, al sostegno di fatti dell’Impresa dei Mille. Quale fosse il rapporto tra le forze regionali che tendevano al cambiamento e la dinastia borbonica tendenzialmente conservatrice e, a volte reazionaria, viene chiaramente esplicitato nel passo seguente: “Nella testa dei poeti del ’48 progressivamente si fanno strada due amare convinzioni. La prima, che la Calabria deve rinunziare al suo ruolo di faro della rivoluzione italiana e che può sperare solo in qualche aiuto esterno; la seconda che, volenti o nolenti, bisogna accettare l’egemonia delle grandi famiglie di usurpatori dei demani, grandi famiglie che sono state a guardare fino a un certo punto e che si rivolgono decisamente dalla parte dei liberali filopiemontesi quando Ferdinando II sembra appoggiare il movimento di ‘rivindica’ demaniale. Questa progressiva inversione di rotta dei repubblicani unitari del ’48 è documentata dalla pubblicazione, a Genova nel 1851, dell’opera di Domenico Mauro, Vittorio Emanuele e Mazzini, dove viene teorizzato esplicitamente che ‘senza il concorso dei re’ (ma l’allusione è diretta a Vittorio Emanuele II) ‘nessuna rivoluzione capace di rialzare la patria, pei tempi che corrono, possiamo operare’. Certo. Qualche speranza si riaccende nei loro cuori quando il soldato calabrese di origine albanese ed educato nel collegio di S. Adriano, Agesilao Milano, il 9 dicembre 1856, attenta, senza fortuna alla vita di Ferdinando II, o quando Carlo Pisacane, il 28 giugno 1857, sbarca a Sapri. Gaetano Cingari ha notato che a partire dalla seconda metà del 1857 tutti gli ex repubblicani e democratici finiscono per accostarsi ai comitati liberaldemocratici ispirati dalla cavourriana Società nazionale […] Pur nella caduta delle antiche speranze, c’è qualcosa di positivo nelle esperienze vissute dai calabresi esuli nel Regno di Sardegna dopo il 1849. Organizzati nella Società calabrese, fondata a Genova il 18 aprile 1851, da Luigi Miceli e dal poeta Biagio Miraglia, si aiutano fra di loro, dimostrano capacità di iniziativa e spirito imprenditoriale, dimenticando di essere figli delle tante Calabrie, divise dalla natura e dalla cultura, e si riconoscono tutti cittadini di una sola patria: la Calabria. I sentimenti liberali e patriottici non sono il prodotto soltanto di interessi materiali e di una spinta culturale. Spesso sono un patrimonio di famiglia, che si trasmette ‘ per li rami’, come la terra e la casa” (Michele Fatica, La Calabria nell’Età del Risorgimento, in ‘ Storia della Calabria – Moderna e Contemporanea – Il Lungo Periodo’, a cura di Augusto Placanica, Gangemi Editore, Roma – Reggio Cal., 1992, pp.510-511).

La situazione generale del Regno borbonico era caratterizzata da una violenta politica repressiva e da un tacito malcontento diffuso principalmente nelle province; nel passo che segue viene analizzata la politica del Sovrano negli aspetti generali e le condizioni economiche e sociali dello Stato nel loro complesso: “Ferdinando II di Borbone era stato l’unico sovrano italiano che non aveva fatto ricorso all’aiuto straniero per soffocare la rivoluzione ed aveva anzi partecipato, seppure in modo tutt’altro che brillante, all’attacco contro la repubblica romana. L’azione repressiva che egli condusse tra il ’49 e il ’50 e che colpì con gravissime condanne centinaia di liberali fu il preludio di una ripresa integrale dell’assolutismo che bloccò ogni sforzo di progresso non solo politico ma anche economico e culturale. Gli ultimi dieci anni del regime borbonico esasperarono gli squilibri interni nella società meridionale ed isolarono il regno dal generale movimento di sviluppo che allora era in corso in Europa pur tra le difficoltà create dalla mancata soluzione dei problemi posti dalla rivoluzione. Il motivo dominante della politica borbonica in quel decennio fu la paura che qualunque iniziativa tendente a sollecitare il progresso sociale potesse avere come conseguenza una ripresa dell’agitazione politica e travolgere quindi l’equilibrio sul quale poggiava la monarchia.

Perfino l’attuazione di opere pubbliche, di cui il regno aveva bisogno, fu mantenuta in limiti strettissimi per evitare che un aumento della pressione fiscale suscitasse reazioni tra i sudditi. Ridotto ad una politica rigidamente conservatrice, immobilista e senza respiro, il governo borbonico perdette ogni prestigio presso l’opinione pubblica internazionale. Ben presto, l’intima debolezza di quel regime creò la convinzione di una sua inevitabile e non lontana caduta; <<la questione napoletana>> si pose non soltanto a cospiratori e rivoluzionari ma anche a governi in varia misura interessati a predisporre la sistemazione dell’eredità borbonica” (Rosario Villari, Storia dell’Europa Contemporanea, Editori Laterza, Bari, 1972, pp. 273-274). Al fine di esplicitare più chiaramente la notevole influenza che la politica delle Potenze europee finì per avere sugli avvenimenti che portarono all’Unità d’Italia si riporta il testo successivo: “In sostanza Napoleone, sovrano di Francia, fece nel 1859 ciò che gli fu possibile senza compromettere i supremi interessi del suo paese; ma l’opera da lui spiegata con le armi e con la diplomazia, in quello e nei due anni successivi, a favore dell’Italia gli dà il diritto di essere annoverato fra i fattori più importanti del nostro risorgimento politico nazionale […] Ma intanto l’Inghilterra, sospettosa delle ambizioni napoleoniche, diventava sempre più favorevole alla formazione di un grande Stato italiano, il quale avrebbe costituito nel Mediterraneo una forza naturalmente rivale della Francia, e perciò insisteva così a Vienna come a Parigi affinché fosse rispettata la volontà delle popolazioni” (Francesco Lemmi, Storia d’Italia fino all’Unità, Sansoni, Firenze, 1965, pp.578-579; 582). 

Di tale groviglio politico- diplomatico tra le Potenze europee, che bloccò un loro eventuale intervento armato in Italia, approfittò l’opposizione contraria alla Monarchia borbonica, che sotto la guida di Garibaldi organizzò l’Impresa dei Mille; ecco come l’Eroe dei Due Mondi delineò i preparativi della spedizione militare in Sicilia tra incertezze e speranze: “ […] Io ero in Caprera quando mi giunsero le notizie d’un movimento a Palermo: notizie incerte, or di propaganda insurrezionale, ora annientata alle prime manifestazioni. Le voci continuavano però a mormorare di un moto; e questo soffocato o no, aveva avuto luogo. Ebbi avviso dell’accaduto dagli amici del continente. Mi si chiedevano le armi ed i mezzi del Milioni di fucili: titolo che s’era dato ad una sottoscrizione per l’acquisto d’armi [...] Io consigliavo di non fare, ma per Dio! si faceva; ed un barlume di notizie annunciava che l’insurrezione della Sicilia non era spenta. Io consigliavo di non fare? Ma l’italiano non dev’essere ove l’italiano combatte per la causa nazionale contro la tirannide? Lasciai la Caprera per Genova […] A Villa Spinola, poi in casa dell’amico Augusto Vecchio, si principiò a fare dei preparativi per una spedizione. Bixio è certamente il principale attore della spedizione sorprendente. Il suo coraggio, la sua attività, la pratica sua nelle cose di mare e massime di Genova suo paese natio   valsero immensamente ad agevolare ogni cosa. Crispi, La Masa, Orsini, Calvino, Castiglia, gli Orlandi, Carini, ecc. tra i siciliani, furono fervidissimi per l’impresa; così Stocco, Plutino, ecc., calabresi. Si era tra tutti stabilito che, comunque fosse, battendosi i siciliani bisognava andare, probabile, o no la riuscita” (Giuseppe Garibaldi, Memorie, Rizzoli, Milano, 1982, pp. 245 -246).Le esitazioni di Garibaldi e la decisione di partire sono ben espresse nel breve testo riportato di seguito: “Le incerte notizie di Palermo lo tennero dubbioso per qualche tempo, ma il 1° maggio, quando il Crispi lo assicurò che la rivoluzione tornava a riaccendersi, ruppe gl’indugi, e da villa Spinola in Genova, diede l’ordine di partenza. La sera del 5 maggio, compiuti febbrilmente  gli ultimi preparativi, Nino Bixio s’impadronì, con simulata violenza, di due piroscafi della società Rubattino, il Piemonte e il Lombardo e all’alba del giorno successivo, 1072 volontari, quasi tutti medici, avvocati, ingegneri, commercianti e studenti, di ogni età e di ogni regione italiana, salparono dallo scoglio di Quarto alla conquista di un Regno” (Francesco Lemmi, op.cit. pp.585-586).

Lo sbarco avvenne a Marsala l’11 maggio e dopo dure e sanguinose battaglie (si ricordano solo quelle di Calatafimi, Palermo, Milazzo etc.) la Sicilia era quasi completamente conquistata; Ecco come Garibaldi descrisse lo sbarco in Calabria: “Circa alla fine d’agosto 1860,e verso le 3 a.m. d’una bella giornata approdammo sulla spiaggia di Melito. All’alba era tutta gente in terra con armi e bagagli […] verso le 3 della mattina del giorno seguente lo sbarco, noi marciammo su Reggio” (Giuseppe Garibaldi, op. cit., p.279). L’evento più importante dell’impresa dei Mille in Calabria fu lo scontro di Soveria Mannelli; nel brano successivo viene descritta la battaglia ed evidenziata la partecipazione di tanti calabresi al conflitto: “Passato Garibaldi in Calabria, molti andarono ad arruolarsi, così numerosi, che dovettero essere rimandati a casa. Un intenso lavoro di preparazione vi fu in tutte le tre province e l’entusiasmo prese anche il popolo. Nessun accenno ad un moto ostile. E sì che i luoghi impervi avrebbero facilitato lo sbarramento della corsa trionfale dei garibaldini. Un tale, Antonio Naso, scriveva: <<il nostro libberatore (sic) vola come un angelo sulle fortezze, che cadono al suo apparire, e i campi si sciolgono; … sono quasi miracoli, e se la potenza di Dio non l’assistesse fatti così storici verificar non si potrebbero …>>. E un altro testimone oculare: …<<il generale Ghio (borbonico) il 29 (agosto) arrivando a Soveria Mannelli, trovava tutte le alture occupate dai calabresi, le strade barricate, i ponti minati, reso impossibile il passaggio alle artiglierie, ai carri, ai cavalli del campo di Acrifoglio. E vedeva i Calabresi accorrere sempre più a popolare di armati le montagne…>>. Garibaldi, dopo la resa del Cardarelli, <<ormai certo ed esultante che dinnanzi a sé le due Calabrie sono in fiamme, fidente nel patriottismo e nello indomito coraggio di quelle fiere popolazioni, che avevano meditato dieci anni e preparata la vendetta della strage ad essa inflitta dal Borbone proprio in quei luoghi, si era staccato dalle sue truppe e correva avanti quasi solo a vedere, a dirigere quel vasto movimento di popolo…>>. Quando Garibaldi arriva, il 30, <<si rallegra all’imponente spettacolo che gli offriva la indomita anima calabrese>> e quando Ghio si arrende, telegrafava: <<Dite al mondo che con i miei prodi calabresi feci abbassare le armi a 10mila soldati comandati dal generale Ghio…>>. Dopo Soveria Mannelli vi fu la smobilitazione: non tutti poterono essere trattenuti: solo pochi combatterono ancora fino al Volturno. I volontari calabresi tornavano a casa con la speranza che una nuova era sorgesse per loro e potessero incominciare a vivere una vita più umana confacente alla libertà conquistata [..] L’entusiasmo dei Calabresi doveva spegnersi ben presto perché tutto tornava come prima, se non peggio di prima. La delusione era più cocente. Le autorità governative, subentrate presto a quelle di nomina garibaldina, che vengono gradualmente eliminate, sono di parte moderata: i centri di potere sono sempre gli stessi […]” (Domenico De Giorgio, Classi sociali e partiti politici in Calabria dopo l’Unità, in ‘ Deputazione di Storia Patria per la Calabria, Aspetti e Problemi di Storia nella Società Calabrese nell’Età Contemporanea – Atti del I convegno di studio Reggio Calabria 1-4 novembre 1975, Editori Meridionali Riuniti, Reggio Calabria, 1977, pp. 18-19). L’Impresa dei Mille, a cui tanti Calabresi presero parte nei termini sopra descritti, certamente costituì un momento fondamentale per l’Unità d’Italia, ma dal punto di vista delle classi popolari regionali non segnò un decisivo passo in avanti verso il rinnovamento civile e l’emancipazione sociale.

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