Ievoli, Polidonte, case Serre: nell’eremo di Esiodo

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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 Ievoli di Feroleto Antico, 600 metri di quota, ore 17 di un caldo pomeriggio di inizio estate. Mi sono ritagliato qualche ora di evasione dalla prigionia del lavoro, dello stress, della fretta. Attraverso il silenzio delle case abbandonate. Ortensie, rose, gigli sono dipinti smaglianti sullo sfondo di un giardino molto amato. Chi abita ancora qui è evaso anche lui, ma definitivamente! Ha deciso di restare (o tornare) in un quieto, operoso raccoglimento. Dietro il borgo, le montagne e i boschi di Serrastretta. Eccolo il sentiero, all’ombra dei castagni. Profumo d’erba grassa. Ronzio di vespe. Luigi, ex postino, ricama un orto. A sera muoverà lentamente verso casa. Voci: l’acquaro, il ruscello, la cascate. Il sentiero non è più percorso. Fatichiamo ad orientarci nel groviglio di felci e rovi. Ma riecco il sentiero, la recinzione con appesi brandelli di stoffa a mo’ di spaventapasseri, le rovine di Case Carbonara, col forno e le stalle. Saliamo ora in un castagneto da frutto, ordinato, pulito. I pianori sommitali, le radure coltivate a grano. Al bivio di Polidonte ci viene incontro un gregge di capre scampananti. In coda c’è Natale, pastore ultraottantenne dal volto ieratico. Fu immortalato nelle ricerche etno-musicologiche dell’americano Alan Lomax, a metà degli anni cinquanta. Natale farebbe la gioia di qualunque etnologo. Oltre a sapere tutto di capre, oltre a sapere dell’antica vita nei monti, conosce l’arte antica di costruire strumenti della tradizione popolare, zampogne e pipite. Anche lui ha scelto la solitudine e il silenzio. Saliamo a case Serre, 1000 metri di quota, per fare una sorpresa a Paolo, un milanese che s’è innamorato del luogo, ha lasciato la città ed ora vive, solo, in una piccola casa. Ci accoglie gioioso. Visitiamo il suo podere. Margherita, l’asinella, raglia sonoramente. La casa di pietre fu abitazione, scuola rurale e serale, alloggio dell’insegnate, cantina, stalla. Paolo vive semplicemente, nell’unica condizione possibile per essere felici: il disordine creativo della campagna, una vita scandita dal ritmo e dalla semplicità, come nelle “Opere e i giorni” di Esiodo.

Poche cose essenziali, come per Orazio. Un po’ di libri e un orto, come desiderava Cicerone. Ha tanti oggetti della tradizione da riordinare ed esporre, Paolo, ma sembra più un’intenzione senz’obblighi, una proiezione ideale, un orizzonte di vita indefinito. “Se tutto questo fosse in Toscana, attorno alla Villa di Sting, la gente pagherebbe oro per venirci. Ma qui neanche i locali hanno idea del valore di questi muri antichi.” Ora so che per entrare in sintonia con i luoghi e la gente, anche noi dobbiamo farci eremiti, ricacciare indietro le ossessioni cittadine, non pretendere che un eremo si popoli di estranei in cerca d’avventure e trofei. Bisogna camminare con la lentezza dei pastori, dei contadini, con il sorriso di Paolo, attendere che le capre, e Margherita, finiscano il loro banchetto nell’erba, sfiorare gli alberi, sostare all’ombra, alzare gli occhi verso l’orizzonte. Ogni cammino va compiuto in preghiera, rendendo grazie. Imbocchiamo la via del ritorno, per un altro percorso. I cani di Paolo ci seguono. Case Tinghi sono rovine fra i cerri, fulgidi nella luce meridiana. Ci accolgono i pianori cinti da cerrete e ontaneti. L’acqua del Fagheto scorre copiosa. Parliamo ai cinghiali che scorrazzano fra le felci, come Dersù con la tigre, nel film di Kurosawa. Aculei di istrice sparsi lungo il cammino. Scendiamo ora ripidamente, con dinanzi lo spettacolo senza tempo dell’Istmo di Marcellinara e, dietro, i monti delle Serre. A destra la curva del Golfo di Sant’Eufemia brilla come un diamante azzurrino. Ancora orti. Due contadini compiono gesti quieti. Sorridono, scuotono la testa per la nostra apparente follia. Verso le 8 siamo alle Tre Fontane, l’antico lavatoio del villaggio. Il cielo trascolora verso la sera. Nel silenzio, la voce di un’anziana che gioca con i nipoti sull’uscio. I pochi residenti si preparano a cenare. Di nuovo le ortensie, le rose, i gigli. Ho già nostalgia di questo mondo appartato e vivo. Dopo anni di lotte contro l’abbandono dei paesi, ho capito che qui vive la parte più vera e consapevole dell’umanità. È che l’altra parte è meglio che resti dov’è. Se si riversasse qui, gli ultimi eremiti, custodi del tempo, dello spazio, del silenzio, della solitudine, della bellezza, della sobrietà, dovrebbero trovare un altro rifugio dove nascondersi per vivere in pace. Il sole s’inabissa nel mare. Spuntano le isole, come petali blu sospinti sull’acqua da una folata di vento. Un’altra notte scende a cullare le vite segrete di Ievoli.

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