Il genere letterario anti-utopico per ragazzi

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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Nel file del precedente articolo avevo cancellato il saggio Sopravvivere alla catastrofe adulta di Anna Antoniazzi, professore associato presso l’Università di Genova. Il motivo di tale scelta era dovuto alla lunghezza del pezzo scritto, non alla minore importanza del contenuto eliminato; anzi è talmente pertinente alle problematiche attuali che ho deciso di pubblicarne a parte alcuni passaggi, specialmente quelle che si collegano alle fragilità adolescenziali causate oggi dal Covid e dalle guerre in atto. Ho letto lo studio in questione nel numero 21/2018 di Transalpina, rivista annuale bilingue (in francese e in italiano), pubblicata dalla casa editrice francese Presses universitaires de Caen. Tratta delle distopie o anti-utopie nella letteratura per ragazzi: “Uno  dei fili conduttori (…) che caratterizzano il genere distopico per ragazzi è il bisogno  di stabilire i confini di una nuova umanità, di disegnare modelli alternativi di mondi possibili, di formulare nuove utopie, o, quanto meno, di ricavare una piccola compagine di senso all’interno di un mondo devastato a causa della dabbenaggine e della scarsissima lungimiranza degli adulti, ripiegati esclusivamente sul soddisfacimento dei propri immediati bisogni  personali. (…) Il genere distopico [italiano] per ragazzi presenta evidenti specificità legate alla tradizione storico-letteraria nazionale, in primis il primato del libro come elemento salvifico, il rimando alle fiabe e il riferimento alla possibilità di un mondo senza adulti dal quale ripartire”.

Prima di andare avanti sull’argomento, giova ripetere quanto scritto nel pezzo del marzo scorso a proposito del significato di distopia. Che vuol dire distopia o anti-utopia? E’ la rappresentazione immaginaria di un futuro pessimista o addirittura terribile di cui si percepiscono alcune tendenze nel presente reale. La parola deriva da due termini del greco antico: dys- (prefisso molto negativo, cattivo) e topos (luogo). L’altro sinonimo, anti-utopia, ha origine da anti (contro) e utopia (composta da ou [si pronuncia u, dittongo del greco antico] e topos, ovvero non luogo) anch’esse parole, in origine, della Grecia classica. Come già scritto, si distinguono principalmente due filoni: quello fantapolitico o dittatoriale e l’altro catastrofico.

Anna Antoniazzi descrive in maniera nitida le difficoltà esistenziali dell’adolescente del Terzo Millennio: “L’adolescente reale, qualunque sia la sua appartenenza di genere, percepisce se stesso ai bordi dell’esistenza, nel tentativo di sopravvivere alla catastrofe adulta. Unicamente a lui o (…) attraverso lui, pare giocarsi, almeno all’interno delle narrazioni contemporanee il futuro dell’umanità”. Greta Thunberg e il movimento Fridays for Future sono testimonianza concreta di quanto analizzato; soprattutto quando protestano per la distopia presente (per esempio l’emergenza climatica) e per quella possibile nel futuro con l’urgenza del cambiamento dei modelli sociali, economici e politici a livello planetario.

Tra le opere letterarie citate dalla docente ho preso in considerazione Lunamoonda di Bruno Tognolini, romanziere, drammaturgo, saggista, autore di programmi per la tv, vincitore del Premio Andersen nel 2007 e del Premio Elsa Morante Ragazzi 2008. Il romanzo è proiettato in una Sardegna del futuro. La banda degli ski-lellè, ragazzi di strada, trascorrono le giornate sulla riva di Sella Dimoniu, nella realtà Sella del Diavolo, promontorio che si affaccia sul mare; in lontananza Neonora, Cagliari, dominata dalla Nassa, la Nuova architettura sociale, una rete sotterranea a cui nulla sfugge; controlla i cittadini, tranne i randagi ski-lellè. Vivono nella Tana a Sella Dimoniu; riescono a farla franca con la danza, la poesia, la bellezza; realizzano una ricca umanità; a Neonora, al contrario, vive una povera umanità, regredita nella tecno-metropoli. Qui si trova la distopia, nell’uomo della tecno-città immiserito dal sopravanzare delle macchine. Come sottolinea Anna Antoniazzi: “[Lunamoonda] narra la vita umana ai tempi del connubio totale fra uomini e macchine. (…) Nel romanzo Tognolini pone l’accento anche su un altro elemento che ritorna spesso nei romanzi distopici per ragazzi scritti da autori italiani: l’importanza di un’educazione e di una formazione libera, di modelli autentici, vecchi e nuovi, di riferimento. (…) Quando gli adulti smettono di essere modelli- o perché non sono in grado di esserlo o perché, più prosaicamente, non ci sono- ecco che torna utilissima la memoria intesa non tanto, o non solo, come legame con la propria storia personale passata, quanto con la dimensione del racconto che conduce a radici ataviche e spinge i giovani protagonisti da un lato a riconquistare la propria umanità e dall’altro a muoversi oltre i confini del noto ad esplorare nuove possibilità esistenziali”.

Altro romanzo per ragazzi, Bambini nel bosco, di Beatrice Masini, scrittrice, editor e traduttrice di alcuni libri della saga di Harry Potter (dal terzo al settimo). Anche lei vincitrice, nel 2004, del Premio Andersen e del Premio Elsa Morante, finalista al Premio Strega (2010) e al Premio Campiello (2013). Bambini nel bosco appartiene al genere post-apocalittico; edito da Fanucci nel 2010; uscita l’anno scorso in una seconda edizione con l’introduzione di Loredana Lipperini, giornalista, scrittrice e conduttrice Rai: “Tecnicamente il romanzo è una distopia perché in questa storia c’è stata una grande, luminosa esplosione che ha contaminato il mondo e mutato il corso dele stagioni e avvelenato il sangue di molti. Ma ci sono dei sopravvissuti, e ci sono bambini fra quei sopravvissuti, sia che fossero Avanzi, vivi al momento della catastrofe, sia che fossero Dischiusi, embrioni salvati dal freddo”. E’ il tema distopico catastrofico del “dopo bomba”; mi è venuto in mente il film “The Day after” di Nicholas Meyer, il giorno dopo una guerra nucleare immaginaria. Bambini e bambine “sono confinati in un luogo che si chiama Base; sono senza memoria. Jonas e Ruben, gli adulti buoni, chiamati alla Base li osservano e “sperano silenziosamente per loro”. Tom, il protagonista, ricorda frammenti, cocci, di vita passata che riaffiorano; ha trovato un libro di fiabe e, di nascosto agli adulti, racconta le storie che risvegliano la memoria dei bambini; convince i suoi compagni, Zerosette, Ninne, Orla, Dudu, Hana (il capo), Glor, Cranach, del Grumo 13, il settore dove vive insieme al suo gruppo, ad andare oltre la Base, nel bosco, portando con sé il libro: “Durante le esplorazioni (…) legge ad alta voce”.  Così ritorna tutto nella mente, soprattutto il desiderio di libertà: “Saremo i bambini nel bosco. (…) Come nelle storie. I bambini nel bosco. Stiamo per diventare una storia. La nostra. (…) <<Noi le storie ce le abbiamo tutte qui>>, Cranach indicò la testa, <<e qui>> e puntò il pollice verso il cuore.  <<E non abbiamo più bambini a cui raccontarle. A parte noi, voglio dire. Forse troveremo altri bambini>> disse Jonas. <<Nel bosco?>> chiese Lu. (…) <<Nel bosco, o chissà dove. I libri servono comunque. Per custodire le storie. Perché altri le possano conoscere>> disse Jonas. <<Allora ci mettiamo anche la nostra, dentro?>> Cranach s’illuminò tutto. <<Forse sì>> fece Tom Due Volte [perché ripete] <<Dopo, forse sì>>. E questa è la fine della storia? Ma no, questo è solo l’inizio”.

Per Anna Antoniazzi il finale non c’è. Decide il lettore se continuare o meno la storia verso un futuro migliore: “Quel finale aperto lascia al lettore la possibilità di proseguire la storia autonomamente”. Ciò che invece risulta chiaro è l’importanza del racconto, del libro, come la letteratura o le letterature del mondo ci confermano: “Un mondo senza narrazione e senza libri è arido. (…) I libri, dunque, come elemento imprescindibile”. Non a caso sono censurati o addirittura bruciati da dittature e fondamentalismi, per impedire che il popolo si riappropri della libertà e sogni un mondo migliore. Il saggio di Anna Antoniazzi ci fa capire che l’infanzia e l’adolescenza attraverso la letteratura potranno immaginare e pensare a nuovi modelli esistenziali per riconquistare “l’umanità perduta”.

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