Il Romanticismo calabrese nel contesto nazionale ed europeo

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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Il Romanticismo fu un  vasto movimento storico- culturale che si diffuse in Europa tra la fine del Settecento e il primo Ottocento; esso presentò caratteristiche mutevoli a seconda delle varie aree geografiche in cui di diffuse e anche delle singole personalità dei suoi esponenti. Nel presente scritto si farà una sintesi delle varie tendenze del Movimento ed, in modo peculiare, si cercherà di delineare, in breve, il Romanticismo Calabrese cercando di coglierne gli aspetti più peculiari considerati in relazione alla tematica complessiva che animò gli esponenti più ragguardevoli del Movimento stesso a livello europeo. Tale collegamento culturale è ben esplicitato, lapidariamente, nella seguente affermazione: “ I letterati calabresi hanno antenne sensibili per tutto. Nulla di quanto produce la civiltà letteraria italiana ed europea li trova appartati in provincia” ( Pasquino Crupi, Sommario di Storia della Letteratura Calabrese per Insegnanti di Lingua Italiana all’Estero – Profili 1, International A M Edizioni, Reggio Calabria, 2002, p. 96 ).

Nel brano successivo viene delineata una breve sintesi delle caratteristiche più rilevanti del Romanticismo: “Il movimento romantico, in tutti i suoi aspetti culturali, preferì sempre l’emozione e il sentimento alla ragione e all’intelletto. Attirando l’interesse su un nebuloso passato, suscitò ammirazione per i racconti popolari e per gli eroismi del passato stesso. Appellandosi al tradizionalismo, si rivolse contemporaneamente ai sentimenti particolari di ogni nazione, e ricordò agli uomini quanto era in essi di individuale e di personale. Sottolineando l’importanza del genio creatore e originale, affermò la preminenza della personalità sulla società e condannò implicitamente le restrizioni alle libertà di espressione dell’individuo: andando in cerca del genio creativo di un’epoca o di un popolo proclamò la propria fede nei valori supremi delle tradizioni popolari e dello sviluppo nazionale. Facilitò insomma il passaggio dal razionalismo al nazionalismo. Inoltre, la giovane generazione di scrittori e artisti romantici balzati in primo piano intorno al 1820 era più vicina al liberalismo e alla democrazia radicale che non al conservatorismo [...] Questa nuova generazione considerava il romanticismo una letteratura d’emancipazione, e non era affatto contraria a un’alleanza fra rivolta artistica e rivoluzione in senso lato. Byron proclamò di aver ‘semplificato le sue opinioni politiche, giungendo a detestare tutti i governi esistenti’, ed esercitò un’immensa influenza politica su tutta l’Europa, prendendo posizione a favore dei nazionalisti e dei liberali. E Hugo dichiarò esplicitamente che ‘ il romanticismo è il liberalismo della letteratura’. Anche l’enorme influenza del movimento romantico tedesco sull’Europa orientale e settentrionale fu dovuta alla meditazione del De l’Allemagne, un importante saggio sul nazionalismo tedesco, scritto da una francese, Madame de Staël. In Russia, il poeta e drammaturgo Aleksàdr Pus^kin scrisse i suoi capolavori, Eugenio Onegin  e Boris Godunov subito dopo il 1820; e in Polonia, il giovane liberale Adam Mickiewicz redasse il suo grande poema epico e nazionale, Conrad Wallenrod, nel 1828. Ambedue, nei temi e nello spirito, risentivano dell’influsso byroniano. Fra le popolazioni austriache dei Balcani, apparvero poeti cechi, magiari e serbi a ravvivare l’interesse popolare per le leggende folkloristiche e per il meditato ricordo delle antiche glorie. In Scandinavia, infine, si raccolsero le fiabe e le canzoni popolari. Il legame più forte fra rivoluzionari e romantici fu il movimento filoellenico diffusosi in tutta Europa, e unito dalla comune simpatia per la lunga omerica lotta sostenuta dai greci contro gli oppressori turchi” ( David Thomson, Storia dell’Europa Moderna- Dalla Rivoluzione Francese al 1871, Volume 1, Feltrinelli, Milano, 1965, pp.123-124).

Gli aspetti più caratteristici del Romanticismo in Italia sono ben esplicitati nel testo seguente, dove si susseguono e s’intrecciano dati storico-culturali ed annotazioni critiche di ragguardevole rilevanza: “ Il primo periodo del movimento fu detto <<romantico>>, in opposizione al classicismo. Ebbe per contenuto il cristianesimo e il medio evo, come le veri fonti della vita moderna, il suo tempo eroico, mitico poetico. Il Rinascimento fu chiamato <<paganesimo>>, e quell’età, che il Rinascimento chiamava <<barbarie>>, risorse cinta di nuova aureola […] Ciascun popolo si riannodava alle sue tradizioni, vi cercava i titoli della sua esistenza e del suo posto nel mondo, la legittimità delle sue aspirazioni […] Risorge l’alta filosofia e l’alta poesia. Lirica e musica, poemi filosofici e storici sono le voci di questo ricorso. Ma il romanticismo come il classicismo erano forme sotto alle quali si manifestava lo spirito moderno. Foscolo e Parini nel loro classicismo erano moderni, e moderni erano nel loro romanticismo Manzoni e Pellico” (Francesco De Sanctis, Storia della Letteratura Italiana- Vol.2, Orsa Maggiore Editrice, Torriana, 1988, pp. 721-722). Gli aspetti ideali e culturali più significativi del movimento romantico calabrese, colti nella loro specificità sociale e territoriale della Regione, sono esplicitati nel passo successivo: “ Il Romanticismo italiano, col Manzoni e i suoi vicini, partirà per la sua prima battaglia proprio dalla trincea della graviniana, e in genere settecentesca, ragionevolezza. Ma non è ora il caso di approfondire ciò: piuttosto vediamo rapidamente quali riflessi il Romanticismo abbia avuto in Calabria […] proprio nel cuore della Calabria fioriva una corrente poetica, che è merito del De Sanctis aver individuata e descritta; con caratteri suoi propri che la contraddistinguono fortemente non solo dal contemporaneo romanticismo napoletano, ma da quello piemontese –lombardo, al quale letterariamente è più vicina. La corrente di Vincenzo Padula, di Giuseppe Campagna, di Domenico Mauro, per citare solo i più notevoli[…] Proprio nel 1816, agli inizi <<ufficiali>> del Romanticismo, scese in Italia non un poeta, ma il poeta: lord Byron. Grandissimo egli appariva allora: e tuttavia più la vita che l’opera di lui conquistò gl’Italiani. Si pensi: un poeta che cantava essenzialmente l’uomo di contro alla società, che affermava nel verso e nell’azione il diritto dell’uomo a costruirsi un’esistenza unicamente secondo le leggi del suo istinto […] La ribellione letteraria  era una sola cosa con la ribellione politica: e Byron infatti, come tutti sanno fu carbonaro in Italia, e andò poi a morire a Missolungi, accorso colà a combattere per la libertà della Grecia. M a la sua influenza, sul verso e sul gusto, si fa sentire in Italia solo dopo, appunto, la morte gloriosa. Byron interpretato nel paese dell’Alfieri. Ma è anche pagina: e questa pagina la scrive essenzialmente, accanto al Guerrazzi  e all’abruzzese Pasquale De Virgilii, un gruppo compatto di scrittori calabresi. Perché proprio calabresi? Se, come abbiamo ricordato, il tema essenziale del Byron è la lotta dell’uomo contro la società, esso non poteva non trovare consensi nella terra dove più tragico e profondo, per la storia di secoli, è il senso dell’esser soli. Si è giustamente osservato che mentre gli eroi byroniani combattono, sì, per l’affermazione delle loro personali esigenze, ma hanno sempre la coscienza di essere vindici dell’intera umanità, assertori, nei loro, dei diritti di questa, gli eroi dei calabresi invece non vanno, in generale, oltre i loro odi e i loro affetti privati. Ma questo appunto è tremendo: effetto del pessimismo radicale che era, ed in parte è ancora nell’anima calabrese. In nessuna terra d’Italia forse, se si eccettui qualche regione finitima, l’uomo si sente più abbandonato. Solo, di fronte alla natura ingrata, alle montagne inospitali, alle marine malariche, ai torrenti che straripano e distruggono; solo, di fronte a un’autorità costantemente nemica, che prende i pochi denari per le imposte, gli uomini per le guerre, la fatica dura e perpetua per le ricchezze di pochi; prende senza nulla o quasi nulla dare in cambio. La giustizia non può venire da questa autorità, qualunque sia; peggio, una giustizia collettiva non esiste. La delusione ha distrutto persino la speranza che un ribelle possa, oggi o domani, sostituirsi a quell’autorità e farsi assertore d’un nuovo ordine. Non resta che il cupo, il grigio rassegnarsi: o, all’altro estremo della stessa disperazione, il gesto forsennato, il banditismo, la strage. La giustizia non può essere concepita che come privata; non può chiamarsi che vendetta. Questo dicono con grande forza i romantici calabresi nei loro numerosi poemetti, anche se il valore di questi sia assai più psicologico-sociale, che propriamente letterario”( Umberto Bosco, L’apporto della Calabria alla Letteratura Nazionale, in ‘Il Ponte’ – Anno VI – N.9-10, Settembre- Ottobre 1950, La Nuova Italia, Firenze, pp. 1088 – 1090).

Si tratta di scritti che rimandano ad un ambiente socio-economico molto arretrato, indagato e rappresentato in un periodo storico sconvolto dalla Rivoluzione Francese, dall’Impero Napoleonico e dalla Restaurazione, preceduto da forme di feudalesimo particolarmente arcaiche e dalla recente affermazione di una borghesia per lo più agraria e, in generale, gretta.

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