Nella ricerca dello storico la complessità dell’attuale Ucraina

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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“Nella complessità della storia cosacca si riflette tutta la pluralità dell’Ucraina moderna”. Così Andrea Carteny, professore associato di Storia Moderna, dell’Europa dell’Est e delle Relazioni Internazionali presso il dipartimento Saras (Storia, Antropologia, Religioni, Arte, Spettacolo) all’Università La Sapienza di Roma, nel saggio storiografico Storia, etnia, religione. La guerra oltre le armi, pubblicato il 27 marzo scorso su Scenari. E ancora sulla identità alquanto controversa: “La guerra tra russi e ucraini si svolge sempre più attraverso la storia nazionale e la lettura ideologica che il passato propone alla coscienza nazionale e all’identità etnico-religiosa del Paese”. (…) Il materiale primigenio dello scontro tra nazionalismo russo e ucraino è quello comune della Rus’ di Kiev all’origine dell’etnogenesi [processo di formazione di un gruppo etnico] dei vari popoli dell’area slavo-orientale (russi, bielorussi, ucraini)”. Fondatrice della Rus’ di Kiev è la casa dei Rjurik, attorno al IX secolo, di stirpe scandinava che diede origine alla statualità ed entrò nella cristianità orientale, di rito bizantino. Questo periodo dibattuto viene reclamato sia da Mosca che da Kiev: “Terreno di scontro storiografico e ideologico”. Qualche secolo dopo, nel 1054, Il Grande Scisma, crea la rottura tra la Chiesa cattolica di Roma e quella ortodossa di Costantinopoli “e poi Mosca che rivendica il ruolo di <<Terza Roma>> in seguito alla caduta di Bisanzio sotto il dominio turco-ottomano”.  In tal modo il Patriarcato di Mosca è considerato “come l’istituzione più antica e ininterrotta del mondo slavo-orientale ed euroasiatico”.

Dall’indagine del docente emerge, però, che nel Trecento gran parte di questa regione entra nell’orbita del Granducato di Lituania, cattolico romano; con l’Unione di Lublino, nel 1569, nacque la Confederazione del regno di Polonia e della Lituania, integrata all’occidente cristiano e cattolico, insieme a Kiev, Leopoli, e Minsk. Fase storica rilevante del nazionalismo <<occidentalista>> ucraino: “Una parte importante del nazionalismo occidentalista determina la Confederazione polacca-lituana-ucraina, (…) evidenzia la partecipazione degli Ucraini in senso etno-religioso [gruppo etnico che appartiene ad una religione] allo Stato dualista [alla Confederazione della Polonia-Lituania]”. Nel 1595 il metropolita e 4 vescovi chiesero di unirsi alla Chiesa di Roma, pur conservando le loro tradizioni orientali [per intenderci una situazione simile in Calabria, l’Eparchia albanese di Lungro); il 1596 fu proclamata l’Unione di Brest fortemente sostenuta dal re di Polonia e dal Granduca di Lituania; così nacque e si sviluppò la Chiesa greco-cattolica, prima ortodossa, che riconosceva la primazia (il primato, la superiorità) religiosa del Papa. Il virgolettato di Carteny: “Il greco-cattolicesimo è forse il maggior vulnus causato da Roma al mondo ortodosso in età moderna”.

 In verità c’era già stato il tentativo di un’intesa, nel Concilio di Firenze (1439); il Papa era riuscito ad ottenere un accordo tra Chiesa cattolica romana e Chiesa ortodossa greca: “Il compromesso dottrinale di unione tra latini (Chiesa cattolica romana) e greci (Chiese ortodosse greche). Ma la Chiesa ortodossa rifiutò in un secondo momento l’accordo; rimase in vigore e applicato dai re d’Ungheria e di Polonia, monarchie cattoliche, che mostrarono un certo impegno a promuovere quanto stabilito dal Concilio indebolendo le comunità ortodosse dei loro territori orientali: “Per la Polonia la Galizia, oggi Ucraina Occidentale e per l’Ungheria le pianure orientali e la Transilvania, oggi la Romania”. Si formarono delle comunità di rito ortodosso fedeli a Roma e al cattolicesimo. Nacque la Chiesa degli uniati: nel Terzo Millennio sono circa 6 milioni in Ucraina, Slovacchia e Transilvania. Così Andrea Carteny: “La Chiesa greco-cattolica ucraina diventa il principale produttore identitario di differenziazione dall’ortodossia (orientale) per l’Ucraina (occidentale). Ucraini e ruteni greco-cattolici (detti anche uniati) sono a Mosca chiamati ancora oggi con un certo disprezzo zapadenzi (dal termine russo zapad, occidente, e in effetti hanno sviluppato una cultura fortemente nazionalista, base dell’indipendentismo anti-russo per uno Stato-nazione ucraino, europeo e integrato all’ occidente”. E dal nazionalismo russo viene considerato <<eterodiretto>>, similmente al giudizio sull’espansione della Nato e della Unione europea “in terre slave e ortodosse”.

Un’altra peculiarità identitaria è quella cosacca: “[I cosacchi] si dedicano a scorribande, sono cacciatori e pescatori, ma anche pastori: (…) combattono contro turchi e tatari per i polacchi, poi contro i polacchi, quindi si appoggiano ai russi. (…) La nobiltà dei capitribù sviluppa un’identità politica intorno all’etmano (suprema autorità militare e politica) Bogdan Chelmitzki con la prima realtà statuale, appunto l’etmanato, “a cavallo del Dniepr, contro i polacchi e con l’aiuto dei russi”.  Nella ricerca del docente risalta tutta la complessità etnico-religiosa: “La protezione dello zar viene suggellata nel patto di Pereyaslav del 1654, che diventa fino ad oggi per i russi e i filorussi l’origine della fratellanza tra russi, cosacchi e ucraini, mentre per i nazionalisti ucraini è simbolo della servitù imposta da Mosca. (…) Dal 1686 anche la giurisdizione delle chiese metropolitane di Kiev viene rivendicata da Mosca. Al dominio imperiale russo si oppone eroicamente -anticipando, in qualche modo, il movimento nazionalista contemporaneo-il capo cosacco Ivan Mazepa, sconfitto dalle truppe dello zar al fianco degli Svedesi a Poltava nel 1709”. Da una parte i cosacchi fedeli allo zar (patto di Pereyaslav), dall’altra i mazepisti nazionalisti ucraini.

 Tale stato di cose si riflette sulla lingua: “La lingua ucraina, caratterizzata da fasce isoglosse progressive [tratti linguistici comuni, aree linguisticamente uniformi] tra il russo, il polacco (e il bielorusso), soffre dell’egemonia e della preminenza del russo (e dei divieti delle autorità)”. La comunità cattolica, nella seconda metà del XIX secolo, tenta di istituzionalizzare il latino per la trascrizione dell’ucraino: “Il latynka ucraino si articola sull’esempio della trascrizione del polacco”; viene usato alla fine della Grande Guerra e sotto l’occupazione tedesca nella  Seconda Guerra Mondiale con alterne fortune; si rivaluta alla fine del Secondo Millennio; rappresenta la vicinanza all’Occidente, in particolare, all’inizio del Terzo Millennio, dopo La Rivoluzione Arancione (2004); le norme sulla scrittura in alfabeto latino sono state approvate in seguito all’invasione russa il primo aprile del 2022. Sempre più vicini all’Occidente gli ucraini; i filorussi rischiano di perdere la cittadinanza, come deciso dal governo recentemente; fuor di dubbio l’indebolimento della comunità filo-russa, addirittura vengono sospettati di essere agenti di Mosca anche i fedeli della Chiesa ortodossa.

Nel 2018 il Concilio di Kiev per la costituzione di una Chiesa ortodossa ucraina autocefala [autonoma pur restando fedele alla propria Confessione religiosa], amministrazione indipendente ottenuta un anno dopo. Con l’invasione russa si è formato un confine invalicabile tra due comunità ortodosse: ucraina e filorussa. La Chiesa ortodossa ucraina autocefala si è impegnata per l’apertura di corridoi umanitari durante l’assedio di Mariupol e le comunità ortodosse ucraine europee portano continuamente conforto ai profughi. Permane una situazione confusa, alquanto complessa: la Chiesa ortodossa ucraina ha dichiarato la propria indipendenza, ma Mosca considera la Chiesa ucraina parte della Chiesa di Mosca. Bisogna precisare che la Chiesa ortodossa russa è l’istituzione più antica e, successivamente all’Unione sovietica, ha mantenuto il suo “territorio canonico in Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Paesi baltici e centri asiatici”. Queste Chiese sono legalmente indipendenti, ma non da un punto di vista canonico: “A livello dottrinale e rituale lo slavo ecclesiastico è la lingua ufficiale, il russo è la lingua della documentazione ecclesiastica. I santi russi sono da venerare”. Però “l’unica Chiesa che si è posta a fianco di Mosca è quella di Minsk. (…) Ha espresso sostegno a Kirill e (…) a Putin”. Il Patriarcato russo si identifica con l’azione di governo di Putin. Così facendo, la Chiesa di Mosca si è esposta alle critiche e a fine dicembre scorso “il Sinodo ortodosso russo ha rimandato sine die il Consiglio dei Primati ortodossi”. Resta il fatto che la Chiesa di Mosca si è delegittimata rispetto a quella ucraina.

Indiscutibilmente giusta la reazione della popolazione ucraina per ricacciare al di là dei confini l’invasore russo; pienamente comprensibili soccorsi e aiuti militari dell’Occidente al Governo di Zelensky; tuttavia, malgrado lo stallo o la rinuncia al dialogo tra i due Stati in conflitto, è necessario aumentare gli sforzi per intraprendere un’azione diplomatica nel panorama bellico diventato già logorante. Se si presenterà questa nuova fase (lo si spera vivamente!), politici, diplomatici, rappresentanti di governi e di organismi internazionali interessati ad una tregua farebbero bene a prendere in considerazione le evidenze del saggio storiografico di Carteny perché rivelano l’intreccio tra vicende politiche, etniche e religiose. È necessario rendersi conto di tale complessità; non se ne esce senza un cessate il fuoco; una tregua che segnerebbe il punto di partenza verso un percorso di pace. Un nuovo inizio. Non si tratta solo di disegnare (o ridisegnare) confini; stabilire sovranità dovute o appropriarsi di territori non dovuti; bensì ristabilire nell’Est-europeo un equilibrio di convivenza pacifica e democratica tra popolazioni con identità etnico-religiosa variegata. E bisogna fare presto. Si potrebbe scivolare pericolosamente in un conflitto nucleare.

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