Quando il nonno racconta

Scritto da  Pubblicato in Luigi Michele Perri

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luigi_michele_perri_6a0fb.jpg(Dedica: a Eugenio Guarascio sr.)

Quando il nonno racconta, l’animo dei nipoti vibra di curiosità e d’impazienza. Freme d’ansia per il tempo adulto che sembra non arrivare mai. E vivifica la loro età, germoglio di anni, voglia di vita. È il momento in cui il vivere raccoglie il vissuto, facendone tesoro. Un po’ come il futuro che dal passato assorbe le ragioni del suo avanzare. Verso i tempi che, istante dopo istante, lo richiamano. Con l’intento di perfezionare il suo viaggio, possibilmente, in un processo continuo di miglioramento. Se vogliamo, qui comincia a dispiegarsi il senso della storia, che manda avanti le sue vicende per scongiurare errori, tracolli, orrori. E fare progresso. Progresso, somma di conquiste. Così, il nuovo è portato a selezionare le reminiscenze del tempo. A riconoscere e a tranciare cattiverie e brutture. Ad innalzarsi vieppiù dalle miserie. E a darsi, nel discernimento tra il Bene e il Male, una elevazione verticale, semplicemente guardando in su. Guai a non cogliere la pedagogia dei tempi. Il passato c’è, per educare. Scriveva (mi pare) Alfredo Oriani:” I giovani sorridono dei vecchi che hanno la follia di essere saggi. I vecchi sorridono dei giovani che hanno la saggezza di essere folli”. È la dialettica permanente tra generazioni. Il nonno c’è per stimolarla con schiettezza di sentimenti e onestà di intendimenti, quelli che animano il suo “mestiere”, l’innato mestiere del “grande padre”, come, forse più propriamente, lo definisce la tradizione anglosassone. “Grande” per età, ossia per quantità di anni, e non solo. “Grande”, soprattutto, per qualità di esperienze, per dignità gelosamente custodita e coerentemente applicata, come un fregio aureo che, invisibile, benché percepito, suscita cenni di riguardo, slanci di fiducia e di amicizia. “Grande” per le sane spinte di vita che sa dare, per i rassicuranti ammaestramenti che sa dispensare, per le convincenti sollecitazioni che sa indirizzare verso le giuste direzioni di un sicuro andare avanti, a sua volta, tanto motivato a lasciare tracce indelebili, quanto impegnato a portare un rigenerante patrimonio ereditario e a produrne altri ed altri ancora. Ecco che nonno diventa la tua forza. La sua giovane antichità si identifica e si galvanizza nella tua responsabile follia.

Intendiamoci, non tutti i nonni sono “grandi padri”, nel senso che non tutti hanno la possibilità di esporre “qualità di vita”, vale a dire carico di uno scibile pedagogicamente proponibile. Non tutti hanno vissuto una vita retta, virtuosa, solare, degna d’essere tramandata ai propri discendenti come affidabile modello d’orientamento. In genere, sono quei nonni che sfuggono al dialogo, che evitano figli e nipoti perché, in fondo, sanno di non avere quel bagaglio etico meritevole d’essere motivo di trasmissione storica all’interno della propria famiglia. In questi casi, la cosa più difficile per lui è quella di guardare in faccia i propri figli, i propri nipoti, i propri cari. Allora, il confronto-non confronto si fa misura dei propri limiti, dei propri vizi e dei propri peccati, della propria lesa integrità. Lui, ne prende definitiva coscienza e, meno male, si defila, da sé.

Al contrario, il “grande padre” cerca lo sguardo dei propri cari. Non pretende d’essere ricambiato, semmai lo desidera, ma sarebbe felice, pago nell’intimo, di ricevere attenzioni e premure, purché, il più delle volte preferibilmente, siano discrete, purché si esprimano con amorevole tenerezza, senza quelle manifestazioni cerimoniose d’una ipocrisia domestica, spesso interessata. Nonno legge l’animo di chi lo circonda, lo fa naturalmente per comparazione generazionale, lo fa silenziosamente nei propri pensieri. Nonno legge per essere letto e favorire un inespresso, ma istintivamente inteso, reciproco riconoscimento identitario. Ed è questo che muove il consueto gioco delle somiglianze. Ed è questo che fomenta corrispondenze d’affetti, fonti d’armonia familiare, quell’armonia che nonno ha ardentemente desiderato e rincorso per tutta una vita, battendosi per promuoverla, alimentarla, rafforzarla. E coronare, così, con edificata serenità, la sua iarda età, alla fine, per goderne come esito della sua esistenza, del suo essere stato padre, costruttore infaticabile del proprio nucleo vitale. In questa sua soddisfazione non si riflette altro se non l’amore, anima della coesione, anzi, della comunione familiare. Sono, queste, pietanze d’animo destinate a saziare di concorde, e non monocorde, sintonia il buon appetito di chi, ogni santo giorno, vorrebbe vederle imbandite, come poste, con invitante gusto partecipativo, su una festosa tavola di Natale. Di qui nascono le motivazioni delle sue narrazioni. Che sottendono l’insegnamento leonardesco, secondo cui “la vita bene spesa, lunga è”. Il migliore premio per il “grande padre” sta nel fargli capire che tu hai capito, con i tuoi baci serali che gli rasserenano la notte.

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