Processo Perseo, difesa al contrattacco scavando nelle contraddizioni del pentito Cappello

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Lamezia Terme – Prosegue il processo Perseo al tribunale lametino:  Questa volta a fare le domande sono stati gli avvocati degli imputati al processo. Strategia difensiva chiara: cercare di fare emergere le contraddizioni del pentito Saverio Cappello, collegato dal sito protetto dove si trova attualmente. Il primo a porre le domande è stato l’avvocato Leopoldo Marchese che rappresenta  la difesa, tra l’altro, di Antonio Voci e sul quale si sono concentrate la maggior parte delle domande al pentito di ‘ndrangheta. In particolare, il legale ha iniziato ponendo la questione sul possibile omicidio ordinato da Giuseppe Giampà nei confronti di Antonio Voci. Cappello ha risposto che tale decisione omicidiaria scaturiva dal fatto che “Giuseppe Giampà non se lo fidava”, riferito a Voci, a seguito dell’omicidio di Giovanni Gualtieri.

In particolare, la difesa ha cercato di fare emergere una contraddizione di Cappello sulla vicenda riferita dal collaboratore in sede di processo e quanto dichiarato in sede d’interrogatorio sul fatto che Voci avesse toccato cose in un’auto che poi non era stata fatta sparire. Da qui la necessità di Giampà di allontanarlo quantomeno da Lamezia per il tempo necessario alle indagini della polizia e porlo “sotto tutela” del cugino Stagno in Lombardia, una tutela che, a quanto riferisce e ribadito dallo stesso collaboratore oggi in aula si sarebbe tramutata in pena di morte se le indagini avessero condotto ad un arresto di Voci.  Per la difesa il racconto fatto da Cappello in sede d’interrogatorio, e quanto poi affermato in aula è difforme su alcuni aspetti, che ricostruiscono come è maturata la decisione di far uccidere Antonio Voci e che poi non si verificò. Altro fatto in cui si cerca contraddizione del collaboratore è stato quello in cui lo stesso Cappello riferisce di colloqui in carcere fatti con dei gesti da cui lo stesso avrebbe appreso  da Voci di altri due omicidi come quelli dei Carrà, ovvero i Torcasio padre e figlio. Dei gesti che il legale fa osservare Cappello non ha mai fatto menzione prima, neppure nel successivo interrogatorio nel maggio 2012 quando gli viene chiesto se ha altre precisazioni da fare. L’avvocato Marchese fa notare poi di un colloquio, riferito da Cappello durante il processo, in cui si sarebbe incontrato con Giuseppe Giampà mentre aspettavano gli avvocati. Cappello ribadisce quanto affermato e che non ci sarebbe da meravigliarsi visto che “sono cose che accadono nel carcere di Siano”. Cappello poi riferisce di altri incontri “a distanza” nel carcere di Siano tra lui e Giuseppe Giampà quando Cappello giocava nel cortile del carcere e sul quale affacciava la finestra della cella di Giampà. Marchese fa notare al collaboratore, ed al collegio giudicante, che “lei non ha mai dichiarato nessuno di questi incontri nei verbali d’interrogatorio”. Cappello ha insistito, invece, su sua versione replicando “forse non ha letto lei avvocato”. Sulle doti di ‘ndrangheta di Antonio Voci, incalzato dalle domande di Marchese, Cappello ha poi dichiarato che “ero presente quando me l’ha mostrata. Mi mostrò foglio con questa dote”.

L’avvocato Scaramuzzino, invece, per il suo assistito, Andrea Crapella, ha ricordato l’intimidazione al gioielliere Caputo chiedendo se conoscesse Crapella e sapesse chi materialmente fosse l’autore del danneggiamento. Cappello ha ricordato come “Giampà diceva che i nostri ragazzi erano Andrea Crapella, in quella occasione mi disse di Crapella” mentre incalzato da avvocato lo stesso ha poi dichiarato: “non ricordo chi sia stato l’autore del danneggiamento nel fatto specifico”. Le domande dell’avvocato Salvatore Staiano, invece, si sono basate su contraddizioni nel tirare in ballo Michele Muraca, suocero di Domenico Giampà, durante processo. “È possibile che abbia letto interrogatori di altri e venga a vomitare veleno in udienza?”. Questa domanda, in realtà, sintetizza il leit motiv di gran parte della difesa nei confronti di Cappello e lo stesso, nel rispondere a Staiano, ha poi confermato anche le sue posizioni nel dire: “io non sono in possesso di niente e so solo quello che mi costa personalmente”. Staiano ha ricordato come, nonostante il collaboratore avesse dichiarato amicizia con i Trovato, gli stessi non lo avrebbero fatto entrare nella società di una discoteca a Nocera Terinese, ci fu una rissa all’interno di questo locale ed una successiva sparatoria raccontata dal Cappello. Tutto questo per far emergere come Capello nutrisse sentimenti di rancore nei confronti dei Trovato. Si è poi proseguito con successive domande di altri avvocati tutti sullo stesso tenore e sul far emergere le contraddizioni, i “non so di preciso” o “non ricordo questo particolare qua” da parte del collaboratore.

Sul finire dell’udienza, inoltre, l’avvocato Pagliuso è ritornato sulle contradizioni di Cappello chiedendo, ad un certo punto, se avesse avuto modo di apprendere quanto dichiarato da Angelo Torcasio, il primo del clan a collaborare. Cappello è, tra l’altro, tornato sugli incontri già menzionati con Giampà nel mese, tra l’ottobre ed il novembre 2011, in cui si trovavano entrambi a Siano e colloquiavano, prevalentemente a distanza, tra il campo di calcio e la finestra sul cortile della cella di Giampà. Cappello ha spiegato “che non sapevamo cosa stesse dicendo Angelo Torcasio ma Giuseppe Giampà era preoccupato e diceva che avrebbe mandato un’imbasciata a Torcasio per farlo tornare sui suoi passi, ma non so tramite chi”. Pagliuso ha chiesto se Angelo Torcasio avesse motivo di avercela con Cappello e lo stesso ha detto “non so, non credo”. Pagliuso ha poi cercato di far emergere se il collaboratore fosse o meno entrato in contatto con qualcuno tramite social network, ma prima Cappello ha affermato “Facebook non sono iscritto, non mi interessa” mentre il pm Romano ha precisato “che non può rispondere per motivi di sicurezza”. Alla fine del controesame, e considerato che le dichiarazioni rese da Angelo Torcasio sono state messe agli atti nelle udienze dei due processi che si stanno svolgendo sia a Lamezia che a Catanzaro, l’avvocato Pagliuso ha chiesto che Saverio Cappello sia iscritto nel registro degli indagati per l’omicidio di Giuseppe Chirumbolo considerato che Torcasio avrebbe accusato Cappello di aver ordito un “tragiro” , ossia di avere prima chiesto a Chirumbolo di uccidere Giuseppe Giampà e poi, al suo rifiuto, di essere andato da quest’ultimo accusando Chirumbolo di volerlo uccidere e, di fatto, segnandone la fine. Prossima udienza il 3 febbraio. Dovrebbe iniziare a deporre il boss Giuseppe Giampà.

Vi.Ci.

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