Delitto Caccia, ergastolo per Rocco Schirripa

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Milano - Rocco Schirripa è stato condannato all'ergastolo come esecutore materiale dell'omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia, assassinato dalla 'ndrangheta nel 1983 a Torino. Lo ha deciso la Corte d'Assise di Milano al termine del processo (ripartito 'da zero' dopo un vizio formale) a carico del 64enne ex panettiere, arrestato nel dicembre 2015 a oltre 30 anni di distanza dai fatti. Per l'omicidio è stato già condannato in via definitiva come mandante Domenico Belfiore, dell'omonimo clan. 

La Corte, presieduta da Ilio Mannucci Pacini, ha disposto a carico di Schirripa risarcimenti in favore delle parti civili Regione Piemonte, Comune di Torino, Presidenza del Consiglio e Ministero della Giustizia, con provvisionali dai 300mila euro ai 50mila euro per i familiari del magistrato, tra cui i figli, anche loro parti civili. Schirripa dovrà pagare anche l'affissione del verdetto nei Comuni di Torino e Milano e sul sito del Ministero della Giustizia. Decisa dalla Corte anche la trasmissione dell'intero fascicolo processuale al pm per le sue "eventuali determinazioni". In Procura a Milano (competente per i reati contro magistrati torinesi) c'è anche un inchiesta, tuttora aperta, a carico di Francesco D'Onofrio, ex militante di Prima Liena e ritenuto vicino alla 'ndrangheta, indagato a piede libero come altro esecutore materiale dell'omicidio, sulla base delle dichiarazioni di un pentito. Schirripa era stato arrestato il 22 dicembre 2015 nell'inchiesta del procuratore aggiunto Ilda Boccassini e del pm Marcello Tatangelo per l'omicidio avvenuto il 26 giugno 1983. Nella ricostruzione del pm Tatangelo, che ha chiesto e ottenuto l'ergastolo, l'ex panettiere avrebbe fatto parte del gruppo di fuoco che quella sera a Torino freddò a colpi di pistola l'uomo, uscito senza scorta per una passeggiata con il suo cane. Secondo l'accusa, Caccia fu ucciso dalla 'ndrangheta a causa del suo "estremo rigore": il suo interesse verso le "attività finanziarie" dell'organizzazione mafiosa lo avrebbe reso particolarmente scomodo al clan. Tra le prove a carico di Schirripa una serie di dialoghi, registrati con un virus inoculato negli smartphone di Domenico Belfiore e di altri 'ndranghetisti, tra cui suo cognato Placido Barresi. Il processo era dovuto ripartire da capo alla fine dello scorso anno a causa di un errore procedurale della Procura: nei confronti del presunto killer era stata infatti già avviata e poi archiviata una precedente indagine di cui i pm non avevano chiesto la riapertura, come invece vuole il codice.

Le figlie di Caccia: "Giustizia non ancora fatta"

"Questa sentenza è giusta, ma speriamo che non finisca qui. Ci sono ancora tanti aspetti da indagare e pezzi di verità da aggiungere". E' il commento di Paola e Cristina Caccia, figlie del procuratore Bruno Caccia, ucciso nel 1983 a Torino, dopo il verdetto di oggi della Corte d'Assise di Milano che ha condannato Rocco Schirripa all'ergastolo per l'omicidio del magistrato. Le figlie di Caccia, il cui legale di parte civile Fabio Repici si è spesso scontrato anche con la stessa Procura, hanno sottolineato che "non è ancora stata fatta completamente giustizia". Secondo le due donne, il movente dell'omicidio "è ancora generico" e "non è ancora chiaro che ruolo abbia avuto Schirripa" nel gruppo di fuoco. "Avevamo indicato degli indizi per una pista alternativa - hanno aggiunto - ma ci è stato detto che il perimetro dell'indagine era più ristretto". "Sono passati 34 anni dalla morte di nostro padre, ma questo è comunque un passo avanti".

Bindi: passo importante verso la verità

"La sentenza di condanna per l'omicidio del procuratore Caccia è un altro passo importante, dopo molti anni, verso la verità e la giustizia". Lo afferma l'on. Rosy Bindi, presidente Commissione Antimafia. "Bruno Caccia è stato la prima vittima di mafia nel Nord d'Italia e il suo assassinio avrebbe dovuto aprire gli occhi sulle infiltrazioni della 'ndrangheta in Piemonte. A distanza di tanto tempo questa sentenza è anche un risarcimento alla famiglia che con tenacia non ha mai smesso di cercare e chiedere verità", conclude la nota.

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