Narcotraffico a conduzione familiare, 18 arresti nel Reggino: stupefacenti anche a minorenni

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Reggio Calabria - I carabinieri di Reggio Calabria, affiancati dalle stazioni territorialmente competenti e da altri reparti dell'Arma, hanno dato esecuzione all'ordinanza emessa dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della Procura diretta da Giuseppe Borrelli, con la quale è stata disposta l'applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di quindici indagati e degli arresti domiciliari nei confronti di altri tre, per i reati di associazione dedita al narcotraffico e numerosi reati fine sia in materia di stupefacenti, che di armi, oltre ad un'ipotesi estorsiva. L’attività investigativa, avviata nel giugno 2023 e conclusa nel maggio 2024, condotta dalla Sezione Operativa della Compagnia Carabinieri di Reggio Calabria, ha riguardato un’associazione per delinquere operante a Catona, nella periferia nord della città. Durante diversi servizi di pattugliamento del territorio, i militari avevano avuto modo, in più occasioni, di notare movimenti sospetti in prossimità dell'abitazione di colui che è stato ritenuto nell'ordinanza custodiale il capo dell'associazione in questione, nipote di un esponente apicale della ‘ndrangheta di Archi. L'installazione di un sistema di videosorveglianza e lo svolgimento di plurime attività di riscontro conduceva all'individuazione di un embrionale gruppo di soggetti dediti al traffico di sostanze stupefacenti. L'indagine è stata supportata dall’utilizzo di intercettazioni telefoniche, ambientali, telematiche e di videoripresa, nonché di numerosi sequestri di sostanze stupefacenti, strumentali allo svolgimento dell'attività di spaccio.

Il Gip ha riconosciuto la gravità indiziaria in ordine all'esistenza di un'associazione finalizzata al narcotraffico, composta da 15 soggetti, tra gregari e esponenti di vertice, avente la sua base operativa nel quartiere di Catona di Reggio Calabria, con ramificazioni anche in altre località del territorio reggino e con contatti nella piana di Gioia Tauro e nella vicina Sicilia, in grado di “istituire una solida attività imprenditoriale dedita alla vendita di varie tipologie di sostanze stupefacenti (cocaina, marijuana, hashish), anche con il coinvolgimento, in qualità di venditore, di un soggetto minorenne”, che forniva gli stupefacenti anche a consumatori minorenni. Nel provvedimento cautelare, il Gip ha evidenziato come “i membri della consorteria si fossero attrezzati per gestire, in modo professionale, il business degli stupefacenti, assicurandosi le forniture necessarie tramite i contatti vantati dal loro capo nell'ambiente criminale, non solo reggino ma anche della Piana di Gioia Tauro; forniture che venivano, poi, custodite presso appositi immobili abbandonati e appartamenti presi in locazione dagli associati, divenendo le basi logistiche del sodalizio e punto di riferimento per i numerosi assuntori di sostanze stupefacenti”. Gli inquirenti, ancora, hanno scoperto una piantagione di canapa indica nel quartiere di Catona, della quale gli indagati curavano le diverse fasi di approntamento, raccolta e lavorazione. I carabinieri, infatti, hanno individuato la piantagione di cannabis indica, composta da circa 400 piante, già defogliate, e 25 piante ancora in fase vegetativa, oltre a scoprire un deposito utilizzato come laboratorio per la lavorazione e il confezionamento dello stupefacente. Secondo i risultati dell’indagine, i proventi dell'attività di vendita dello stupefacente erano ripartiti tra gli indagati secondo le disposizioni fornite dal capo del sodalizio, il quale provvedeva, altresì, al sostentamento di uno dei suoi sottoposti, dopo che questo era stato tratto in arresto in quanto trovato in possesso di cospicue quantità di diverse tipologie di stupefacenti, a disposizione del gruppo. Il presunto capo dell’organizzazione criminale, pur ristretto in carcere, continuava a impartire direttive in merito all'organizzazione dell'attività illecita, avvalendosi, a tal fine, della mediazione dei propri familiari nel corso dei colloqui in carcere. Il Gip, inoltre, ha sottolineato “come l'associazione in questione si mostrasse ben radicata nel quartiere di Catona, sul quale esercitava un penetrante e diffuso controllo del territorio, tramite un sistema di vedette che, posizionate nei pressi dell'abitazione del capo, sorvegliavano le strade limitrofe in modo da garantire la sicurezza e l'impunità dei sodali dediti all'attività di spaccio, nonché tramite una serie di avvisaglie telefoniche ogni qualvolta qualcuno degli indagati si avvedeva della presenza di forze di polizia in zona”.

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