Lamezia, a 40 anni dal rapimento Bertolami restano i misteri: "Non vogliamo vendetta ma un corpo su cui piangere"

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Lamezia Terme - Un tassello di mosaico, la storia dell’imprenditore Giuseppe Bertolami, incastrata nel punto focale di un quadro a tinte fosche, quello del periodo dell’Anonima Sequestri, ovvero dei rapimenti di ‘ndrangheta. Un tassello che è stato strappato, perché della fine reale di Bertolami, o delle sue circostanze, non si sa al momento assolutamente nulla. E sono passati quarant’anni. Quarant’anni esatti, dal12 ottobre 1983, quando intorno alle 18 il florovivaista di origini siciliane, a capo di una florida azienda del lametino, viene fermato e portato via a forza dalla sua auto, una fiat 132, mentre uscito dal lavoro si trovava nei pressi del bivio Palazzo, in direzione Nicastro. Ad oggi nessuna giustizia e nessuna verità sulla sua scomparsa, nemmeno un corpo da restituire alla memoria dei familiari.

Fondazione Trame, in collaborazione con ALA (Associazione Lametina Antiracket), ha voluto, con la loro partecipazione, dare una voce a quella memoria, offrendo alla città un momento di riflessione, presso il Chiostro San Domenico, alla presenza di numerosi ospiti istituzionali, rappresentanti delle Forze dell’Ordine e delle associazioni presenti sul territorio, ma anche testimoni di quello che fu il periodo dei sequestri di persona a scopo estorsivo.

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Un periodo che coinvolse l’intera penisola, lungo circa 15 anni, dagli anni ’70 alla metà degli ’80, e che ebbe il suo periodo più duro e cruento proprio in Calabria. A testimoniarlo sono appunto i giornalisti che lo raccontarono in quegli anni: Pantaleone Sergi, inviato de “La Repubblica”, Gianfranco Manfredi de “Il Messaggero”, Carlo Macrì de “Il Corriere della Sera”, capaci di raccontare stralci di storia ignota ai più. Sergi si sofferma ad esempio sull’incidenza dell’eco mediatica di ogni sequestro, e del suo peso – spesso purtroppo decisivo – nel determinare la sua risoluzione effettiva. Manfredi ripercorre le finalità e gli esiti della strategia dei sequestri, usata dalla ‘ndrangheta “per accumulare capitali da reinvestire nei traffici, per indebolire e tenere sotto scacco la classe imprenditoriale, ma anche per ottenere maggiore credibilità sul piano internazionale, dando mostra del proprio potere assoluto”.

Parla con coraggio di una Calabria, ma anche di uno Stato, che dimostra in quel periodo di saper “scendere a compromessi” Carlo Macrì, citando il caso nazionale di Roberta Ghidini. E in realtà i casi da citare sono tanti, perché, come spiegato in introduzione da Nuccio Iovene di Fondazione Trame, “i sequestrati furono circa 700 in 20 anni, di cui 81 non fecero mai ritorno a casa, e di quasi 30 di questi non furono mai ritrovati i corpi”. Fa parte di questa schiera Giuseppe Bertolami, la cui vicenda è stata ripercorsa dal figlio Carmelo, dai primi 20 giorni di silenzio assoluto, all’annuncio criptato con la richiesta di 4 miliardi di riscatto. Poi una trattativa non andata a buon fine, forse a causa di conflitti interni alla stessa associazione criminale, in quel periodo in piena faida.

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“Noi non vogliamo vendetta, forse a questo punto neanche la giustizia ci serve. Vogliamo solo il corpo di mio padre. Basta”, dichiara in un ultimo appello commosso Carmelo Bertolami. Un appello amplificato dalle molte associazioni presenti in sala con i loro rappresentanti, che si sono uniti simbolicamente a questa richiesta: Maria Teresa Morano, rappresentante di ALA e coordinatore regionale di Mani Libere, Giuseppe Politanò, vicesindaco di Polistena e coordinatore regionale di Avviso Pubblico (Associazione degli Enti locali contro le mafie), don Giacomo Panizza, fondatore di Comunità Progetto Sud, Giuseppe Borrello, coordinatore regionale di Libera, Filippo Sestito, rappresentante di Arci Nazionale, Enzo Scalese, Segretario Cgil Area Vasta, e infine i ragazzi dell’associazione Icica, che hanno donato un’originale opera d’arte dedicata a Bertolami.

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Messaggi di solidarietà, riportati da Cristina Porcelli di Trame, anche da parte della vicepresidente della Commissione regionale anti -’ndrangheta Amalia Bruni, e dal presidente della Camera di Commercio di Catanzaro Pietro Falvo. Presente in rappresentanza delle Istituzioni anche il presidente del Tribunale di Lamezia Terme Gianni Garofalo, che ha ribadito l’estrema gravità del reato di sequestro di persona a scopo estorsivo, manifestando vicinanza personale alla famiglia. A tirare le fila, il direttore artistico del Festival Trame Giovanni Tizian, che conclude con una dichiarazione d’intenti: “Vogliamo puntare sulla memoria, sul ricordo delle vittime innocenti di ‘ndrangheta, vogliamo che Trame sia un luogo dove chiedere giustizia, per tutti gli esponenti della Calabria sana, repressa dall’azione della ‘ndrangheta”.

Giulia De Sensi

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