Lamezia, celebrata Santa Messa per chiusura delle Scuole Biblica e dei Ministeri

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Lamezia Terme - Oggi abbiamo più bisogno di maestri, di cristiani, cioè, capaci di interpretare la Parola, comprenderla e diffonderla, diventandone testimoni. Questo, in sintesi, potrebbe essere il messaggio che il vescovo, monsignor Serafino Parisi, ha lanciato nella sua omelia durante la santa Messa, celebrata nella chiesa di san Benedetto alla presenza del clero diocesano, con cui sono state concluse le Scuole Biblica e per i Ministeri di questo anno pastorale.

“Come si può essere testimoni se non c'è la consapevolezza di ciò che c'è stato consegnato, del deposito che è stato messo nelle nostre mani, nella nostra vita, nel nostro cuore?”, ha chiesto il Vescovo, sollecitando a diventare maestri, “non come diciamo ironicamente e sarcasticamente in riferimento alle maestrine o ai maestrini degli altri”. Là dove maestro deve essere inteso come “colui che si è incontrato con la Parola, che si è lasciato attraversare dal Verbo della vita, che è arrivato, cioè, a comprendere proprio da quella parola, che è una parola vitale e salvifica, che io non sono maestro e tantomeno posso essere testimone, se non per grazia. La nostra chiamata, il nostro ministero apostolico, il servizio che noi siamo chiamati a rendere al mondo, non è stato “scoperto” dal Signore perché noi avevamo grandi qualità o, ancora peggio, per i nostri meriti. Il Signore è venuto ad incontrare i nostri limiti e le nostre fragilità. E sono proprio i limiti e le debolezze che, non facendoci montare in superbia - direbbe Paolo - ci danno la possibilità di scoprire che se riusciamo a fare qualche passo in avanti è solo perché il Signore agisce con il suo amore e con la sua misericordia nella nostra vita. Ecco perché quell'essere maestri non ci può far montare la testa, ma indica invece la fatica dello studio, la fatica della ricerca, il sacrificio del lavoro. Affinché la parola sia chiara per noi e, una volta che è chiara per noi e rende chiara e luminosa la nostra vita, possa essere principio di luce anche per la vita degli altri, cioè possa diventare testimonianza. Per questo servono le scuole: la scuola biblica, la scuola per i ministeri, la scuola per la dottrina sociale. Non perché dobbiamo arrivare al diploma, alla laurea, al master, al dottorato di ricerca. No, perché incontrando l'uomo di oggi, con le sue domande che sono quelle di sempre, noi possiamo dargli la risposta che è quella di sempre ma con le parole che può capire”.

Quindi, nel fare riferimento ad una riflessione sui giovani di padre Roberto Pasolini, il predicatore della casa pontificia, monsignor Parisi ha sottolineato che lo stesso “diceva che oggi in un ragazzo che vive tutto dentro una dimensione ridotta che è quella dell'immediato, le domande di senso - come le facevamo noi nella lunga prospettiva - non hanno più senso, non attecchiscono. Perché tu dovresti indovinare o scoprire quel frammento di vita che è oggi per il quale nutrire interesse e che domani potrebbe essere già cambiato, trasformato? E, allora, noi dobbiamo inseguire e raggiungere - si spera - questo modo ormai trasformato, mutato, di essere giovane, cioè di interpretare a quell'età l'esistenza con tutto ciò che essendo limitato aumenta l'angoscia, aumenta la paura, l'ansia di vivere. Questa è l'esigenza verso cui noi, oggi, siamo chiamati ad andare. E per questo dobbiamo prepararci, essere attrezzati”.

Ad inizio della sua omelia, il Vescovo ha fatto cenno al primo concilio quando “Pietro da una parte e Paolo, poi Barnaba pure, dall'altra parte a Gerusalemme hanno riunito la chiesa, ascoltato gli apostoli e gli anziani della comunità per risolvere, in quel momento, il più grande problema che si presentava ai cristiani delle prime comunità ‘a chi dobbiamo rivolgere la parola di salvezza?’. La parola del Vangelo deve essere ristretta dentro il particolarismo di alcuni riti, per quanto importanti e tradizionalmente attestati, certamente significativi ma ristretti, oppure questa parola del Vangelo deve essere aperta a tutto il mondo, cioè ai pagani, ai gentili? Se noi oggi siamo qui è perché quel famoso primo Concilio di Gerusalemme si è risolto con quel biglietto riassunto da Luca nel brano di oggi (At 15,23-29) e inviato alle comunità, per dire guardate: ‘voi astenetevi dalle carni offerte agli idoli, però ciò che vi è richiesto è che la vostra fede sia fondata su Cristo Gesù. È questa la forza della parola che rimane ancora oggi e per la quale Pietro e Paolo, ognuno con le proprie sensibilità, con le proprie prospettive, con la visione, certamente differente per formazione per provenienza che avevano della Chiesa, spenderanno la loro vita donando a tutto il mondo l'annuncio della salvezza: anche ai pagani può essere annunciato che Gesù è risorto”.

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