Crotone - C’è un pezzo di Calabria al centro della sperduta foresta amazzonica. Una giovane donna di Crotone ormai da tre anni ha scelto di fare la volontaria in quell’area, che dal Brasile si estende alla Colombia ed al Perù, che viene definita il polmone del pianeta. Con sé ha portato, insieme al desiderio di dare un contributo alle comunità indigene che persino le autorità statali spesso faticano a raggiungere, anche il suo bagaglio di competenze. Giulia Perri, 28 anni, è un architetto, con laurea alla Sapienza di Roma, che ha già avuto esperienze in altre aree difficili, come quella in Costarica, dove ha studiato spagnolo, a Istanbul e infine a Lima. Ad attrarla in Perù è stato un progetto da realizzare nella foresta amazzonica della Ong ‘Semillas’, specializzata in interventi in zone marginali del pianeta come l’edificazione di strutture nelle quali fornire servizi pubblici agli abitanti del posto. "E tra gli indigeni dell’Amazzonia - dice all'AGI - la scuola spesso è l’unico servizio pubblico esistente, essenziale anche per costruirvi intorno spazi per la comunità".
Come quella ideata da ‘Semillas’ il cui progetto è finanziato al settanta per cento dalla cooperazione internazionale e nel resto da donazioni di associazioni e fondazioni benefiche. Il municipio delle zone interessate stipula poi convenzioni con la Ong, mettendo a disposizione strumenti e materiali. Quando Giulia, dopo la laurea, accetta la proposta di servizio civile universale di ‘Semillas’, parte per il Perù senza alcuna certezza che avrebbe lavorato come architetto. Non sa ancora cosa avrebbe dovuto fare, ma arriva proprio nel momento in cui sta prendendo forma il progetto della costruzione di una scuola elementare e di un asilo per la comunità Nativa Unión Alto Sanibeni. Nel dicembre del 2017 approda a Lima dove trascorre i primi sei mesi, poi inizia l’avventura nella foresta. Il progetto non viene imposto alla comunità. Si analizza il territorio e la sua gente e si avviano laboratori nel corso dei quali emergono le problematiche degli abitanti, le loro abitudini. Gli spazi si disegnano insieme e solo dopo si procede con la burocrazia che coinvolge il ministero, che poi dovrà occuparsi della manutenzione. Invece di scuole costose, non rispondenti alle reali necessità dell’utenza, si realizzano così scuole funzionali e sostenibili, rispettose dell’ambiente. I materiali usati per realizzare strutture necessariamente antisismiche, infatti, sono tutti locali e sostenibili per ridurre il più possibile l’impatto ambientale. Il rispetto del contesto ambientale è tale che anche le pitture utilizzate per dipingere le pareti sono realizzate con la terra e questo contribuisce a coltivare l’orgoglio degli indigeni per la loro identità. La partecipazione della comunità prosegue anche nel cantiere, allo scopo di riscattare la cultura peruviana.
Gli abitanti partecipano ai lavori attraverso la “faena”, ovvero offrendo a turno un giorno di lavoro al mese. Giulia scopre che c’è un modo diverso di concepire l’architettura e di realizzarla. Nella foresta non ci sono gru, le colonne si sollevano con le funi, quindi fondamentale è la condivisione delle conoscenze con gli abitanti del posto, i quali molto spesso sono i genitori dei bambini che in quelle scuole dovranno andarci. Non si può edificare senza conoscere chi utilizzerà l’edificio, costruire una scuola senza capire come giocano i bambini indigeni. Ecco perché dalle finestre di queste scuole si vede sempre il bosco. Ma questa è anche un’occasione per far crescere la comunità sul piano professionale, perché è il momento in cui si propongono laboratori agli abitanti, come falegnameria, muratura, spendibili poi a livello professionale. Nei tre anni vissuti in Perù, Giulia, oltre che al primo progetto destinato alla realizzazione di una scuola, ha partecipato alla costruzione di una residenza di studenti per liceo e di una sala riunioni per la comunità. E tuttavia la vita di Giulia nella foresta non è solo una bella avventura, comporta anche rinunce e sacrifici. "Non c’è acqua calda, se piove - dice - va via la luce, mancano tante comodità. Le problematiche sono tante, soprattutto legate al narcotraffico". Ciò di cui Giulia risente di più sono le differenze climatiche, ci sono sei mesi di pioggia e sei mesi di secca, durante le piogge si può restare isolati.
"Col tempo però - spiega - s’impara a conoscere il territorio e a saper gestire gli imprevisti, a spostarsi da una zona all’altra sotto la pioggia a bordo di un camioncino. Il clima rappresenta, certo, l’ostacolo principale, a volte blocca i cantieri, ma è anche vero che impone di vivere ai ritmi della natura". Nonostante le difficoltà Giulia si sente gratificata da questa vita, "innanzitutto - racconta - per i rapporti umani", ma anche perché le regala l’emozione di costruire, afferma, "qualcosa che alla ragione sembrava impossibile costruire".
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