Agguato a fratelli nel vibonese per la “faida dei boschi”: sette fermi, anche due donne

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Vibo Valentia - La Polizia di Stato e in particolare gli uomini della Squadra Mobile di Vibo Valentia e del Commissariato di Serra San Bruno, con il supporto del Servizio Centrale Operativo di Roma e del Reparto Prevenzione Crimine di Vibo Valentia, nella decorsa nottata, hanno eseguito un decreto di fermo, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, nei confronti di 7 indagati ritenuti responsabili, a vario titolo, di tentato omicidio, detenzione e porto abusivo di armi - provento di furto o comunque alterate per aumentarne la potenzialità offensiva - oltre che di ricettazione: reati tutti aggravati dal metodo mafioso.

Le indagini, dirette dai Sostituti Procuratori della DDA Annamaria Frustaci e Filomena Aliberti coordinate dal Procuratore Aggiunto Giovanni Bombardieri e dal Procuratore Capo Nicola Gratteri, sono scaturite dal tentato omicidio dei fratelli Giovanni Alessandro e Manuel Nesci - quest'ultimo minore affetto da sindrome di Down -, ed hanno fatto luce su uno spaccato della attuali dinamiche criminali dell'entroterra vibonese, piagato oramai da decenni dalla contrapposizione (nota alla cronaca come "faida dei boschi" e già costata diverse decine di morti) che vede impegnate nella contesa per il controllo del territorio le famiglie Loielo ed Emanuele-Maiolo.

Le investigazioni hanno rivelato i complessi equilibri che portarono alla consumazione dell'agguato mafioso nel quale rimasero gravemente feriti - il 28 luglio 2017 - i due fratelli Nesci, dipingendo un quadro a tinte fosche - senza soluzione di continuità - dagli Inzillo, contigui agli Emanuele, per addivenire alla eliminazione della controparte, espressione invece della famiglia Loielo.

Tra i fermati dell'operazione, chiamata "Black Windows", ci sono Vincenzo CoccioloAntonio Farina di 42 anni, Michele Nardo (36), Giuseppe Muller (20) e Domenico Inzillo (63). Ma anche Viola Inzillo, di 52 anni, e Rosa Inzillo (49), sorelle di Salvatore Inzillo, ucciso a Sorianello nel giugno del 2017.

Secondo gli inquirenti avrebbero aizzato loro la "faida", occupandosi di nascondere le armi, in un caso anche inducendo l'anziana madre ad occultare una pistola nella biancheria intima per sfuggire ad eventuali controlli delle forze dell'ordine.

Ed è proprio il ruolo delle donne della famiglia ad emergere sullo sfondo del progetto criminale che ha portato all'agguato mafioso nel quale rimasero gravemente feriti, il 28 luglio 2017, i due fratelli Nesci. 

Donne fermate: "Dovevamo nascere uomini" 

"Dovevamo noi nascere uomini". Le donne del clan Inzillo, colpito oggi da un'operazione coordinata dalla Dda di Catanzaro che ha disposto quindici perquisizioni e sette fermi per prevenire altre vendette a colpi d'arma da fuoco nell'ambito di una gerra di 'ndrangheta nel vibonese, incitavano gli uomini della "famiglia" a fare scorrere il sangue. E' quanto emerge dall'operazione "Black Widows" che ha visto l'impiego di 100 poliziotti fra Sco, Reparto prevenzione crimine, Squadra Mobile di Vibo Valentia e Commissariato di Serra San Bruno. I fermi si sono resi necessari per impedirenuove vendette e la fuga degli indagati. Nel corso dell'operazione sono stati sequestrati due fucili, uno a Viola Inzillo, 52 anni, residente a Gerocarne, ed uno nascosto da qualcuno nell'ex acquedotto di Sorianello. 

Le due donne arrestate, Viola Inzillo e Rosa Inzillo, al fine di vendicare il fratello Salvatore Inzillo, ucciso il 21 giugno 2017, avrebbero incitato gli uomini del clan a portare a compimento la vendetta. "Dovevamo noi nascere uomini" dicevano le due donne nelle intercettazioni captate dalla Polizia per sottolineare l'inadeguatezza militare dei maschi della cosca. Nel mirino la famiglia Nesci, con Giovanni Nesci, 28 anni, di Sorianello, vittima di due tentati omicidi: uno il 2 aprile 2017, l'altro il 28 luglio 2017, occasione nella quale è rimasto ferito anche il fratello 12enne. 

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