Reggio Calabria - Una vendetta trasversale nei confronti del fratello collaboratore di giustizia: è l'ipotesi privilegiata per spiegare l'omicidio di Marcello Bruzzese, ucciso ieri a Pesaro, raccolta in ambienti investigativi reggini che evidenziano come la data del delitto, il giorno di Natale, non sia casuale, ma scelta appositamente per generare sofferenza nei superstiti in occasione di una giornata che dovrebbe essere di festa. Una "usanza" praticata da varie cosche di 'ndrangheta del reggino, comprese quelle che operano nella piana di Gioia Tauro. Dopo il delitto, carabinieri e polizia della Provincia di Reggio Calabria sono stati ovviamente allertati vista la natura della vittima, ma soprattutto del fratello, il collaboratore di giustizia Biagio Girolamo Bruzzese. Non viene invece considerata particolarmente interessante l'ipotesi di una intimidazione ai danni di Girolamo per indurlo a non parlare o a ritrattare.
Tutti i processi in cui è stato coinvolto come testimone sono ormai chiusi e vista l'epoca del suo "pentimento" il 2003, le sue conoscenze sono ormai datate nel tempo. Sul fronte investigativo Marcello Bruzzese, invece, non è mai stato un soggetto particolarmente interessante. Ha dei precedenti di non grande rilievo e tutti datati. Al programma di protezione aveva aderito già pochi giorni dopo il "pentimento" del fratello, insieme alla stragrande maggioranza dei familiari di Girolamo. Gli unici a non accettare furono il suocero - che fu ucciso pochi mesi dopo - la suocera e alcune cognate. I Bruzzese non erano considerati una cosca, ma una famiglia vicina alla cosca Crea, egemone sul territorio di Rizziconi, e Girolamo era considerato vicino al boss Teodoro Crea, contro il quale, tuttavia, sparò nel 2003 quando entrambi erano latitanti. Appreso che il boss non era morto, Bruzzese si costituì e iniziò a collaborare con la magistratura.
Per Bruzzese una vigilanza soft
Una vigilanza soft, senza la necessità di cambiare nome, che anzi campeggiava sulla cassetta delle lettere dello stabile dove abitava in una casa pagata dal Ministero. Questo il regime di protezione a cui era sottoposto Marcello Bruzzese, fratello di un pentito, ucciso ieri a Pesaro con trenta colpi di postola. Una regime di protezione economica, anche con un piccolo stipendio, e senza limitazioni particolari, alla quale era sottoposto dal 2008. Il fratello di Bruzzese, Biagio Girolamo, dal 2003 è un collaboratore di giustizia. Sono 6.525 le persone inserite nello speciale programma di protezione del ministero dell'Interno perché collaborano con la giustizia. I collaboratori di giustizia (i cosiddetti pentiti) sono 1.277, con 4.915 familiari anch'essi naturalmente da proteggere. I testimoni di giustizia sono invece 78, con 255 familiari. Baricentro del sistema è la Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione presso il ministero dell'Interno. L'organismo valuta e decide in relazione alle proposte di ammissione a speciali misure di protezione provenienti dalle Procure. Le persone inserite nel programma risiedono in località segrete, in una cornice di riservatezza e sicurezza che mira a consentire una vita sociale e relazionale normale, senza pertanto la predisposizione, in linea di massima, dei servizi di scorta. Vengono assicurati i servizi di accompagnamento in tutte quelle situazioni contingenti nelle quali si valuta che possano venir meno i requisiti di sicurezza, come nel caso delle citazioni per impegni di giustizia. La legge prevede che nei confronti delle persone che collaborano con la giustizia e dei loro familiari vengono adottate "misure di protezione idonee ad assicurarne l'incolumità": dal trasferimento in località protetta al documento di copertura. Ci sono poi le misure di assistenza economica, dalla casa alle spese per i trasferimenti, all' assistenza sanitaria e legale, all'assegno di mantenimento nel caso di impossibilità di svolgere attività lavorativa. Ci sono infine una serie di prescrizioni cui i protetti devono ottemperare per minimizzare i rischi, come evitare di mettere il proprio vero nome su siti internet o sui social.
Salvini: "Se qualche mafioso rialza la testa giù mazzate"
"Se qualcuno muore in mezzo alla strada in centro in una città tranquilla come Pesaro è mio dovere esserci, per analizzare la situazione. Se qualche mafioso rialza la testa giù mazzate, perchè mafia, camorra e 'ndrangheta sono merda". Lo ha detto in diretta Facebook il ministro dell'Interno Matteo Salvini, che domani sarà nella città marchigiana.
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