Reggio Calabria - La 'ndrangheta, grazie agli "invisibili" che tiravano le fila dal loro organismo segreto, non solo riusciva ad ingrassare i patrimoni dei boss e dei "clientes" dei politici, ma era riuscita a darsi l'immagine di "agenzia sociale, economica", in definitiva "il vero dominatore dell'area" di Reggio Calabria. E lo strumento per questa operazione erano le società miste di cui si era dotato il Comune di Reggio Calabria, grazie alle quali, in una realtà economicamente depressa, le cosche potevano "porsi esattamente nei termini di agenzia di collocamento di forza lavoro". E' quanto evidenzia il gip Domenico Santoro nell'ordinanza di custodia cautelare "Mammasantissima".
Le società miste, evidenzia il gip, "erano uno degli obiettivi della 'ndrangheta" e le vicende della Multiservizi, al pari di quelle di Fata Morgana e di Leonia, finite al centro di altre inchieste, "dimostrato che essa se ne è impossessata". "Il meccanismo perverso che si è determinato - scrive il gip - ha visto i politici interagire con la 'ndrangheta, creare un sistema clientelare di assunzioni che ha servito entrambi i poli del patto sinallagmatico. Da un lato la 'ndrangheta si è ingrassata, dall'altro, ha giovato finanche di assunzioni, in ogni caso i clientes della politica si sono inseriti nelle società miste, le hanno sfiancate con le continue forme di drenaggio di risorse economiche e con le assunzioni richieste ed ottenute, con il risultato che si è creato un sistema di malaffare, in cui l'interesse pubblico sotteso alla ragione per cui il legislatore aveva previsto le società miste è passato veramente sullo sfondo. E, peraltro, esse sono divenute uno dei momenti dimostrativi della capacità della 'ndrangheta di essere agenzia sociale, economica, il vero dominatore di questa area".
E questo meccanismo di "apprensione" delle società miste - utile anche a creare un bacino elettorale da riversare sui candidati scelti dal direttorio segreto della 'ndrangheta, è stato "diretto dalla componente riservata, che ha, con saggezza, prudenza, costanza, preparato il terreno che ha consentito, per primi ai De Stefano, di lucrarne enormi vantaggi in termini non solo economici ma anche di riconoscenza sociale. E ciò si è verificato per i De Stefano come per i Tegano, per i Fontana e per tutte le altre cosche poi intervenute nel settore dei rifiuti con riguardo alla Leonia".
"Ovvio era - scrive il gip - che l'interlocuzione preliminare a tale progetto non potesse avvenire con la parte visibile della 'ndrangheta da parte di chi era disposto a questa cessione di sovranità democratica. Ecco perché è intervenuta, in quei frangenti, quella componente riservata che esisteva già da tempo e che faceva capo a Giorgio De Stefano ed al suo storico sodale Paolo Romeo". "Insomma - sottolinea il giudice - il grande tema, per la 'ndrangheta, era (ovviamente non solo quello ma, sul versante pubblico, precipuamente) quello del controllo delle società miste: tutte. E un uomo che, come Romeo, conosceva le dinamiche proprie di una competizione amministrativa in cui aveva finanche deciso quali liste dovessero essere presentate, e quali candidati, e che aveva eletto Antonio Stefano Caridi a prossimo uomo di governo, non poteva che conoscere tutte le dinamiche sottese alla distribuzione delle esternalizzazioni”.
Il pentito: “Chirico era sponda politica di Caridi in seno alla famiglia De Stefano”
E’ il collaboratore di giustizia Antonio Fiume, ex fidanzato di Giorgia De Stefano, sorella di Giuseppe, Carmine e Dimitri, figli del boss Paolo assassinato nell'ottobre del 1985, ad offrire ai magistrati della Dda di Reggio Calabria uno spaccato sul presunto coinvolgimento del sen. Stefano Antonio Caridi, ex Ccd poi passato al Polo delle Libertà e adesso coordinatore in carica per la provincia di Reggio Calabria di Forza Italia, con la 'ndrangheta.
Gli investigatori definiscono Fiume "soggetto che ha sicura conoscenza delle vicende della cosca De Stefano, conoscenza che gli fa dire, con chiarezza e con precisione, come Francesco Chirico (cognato di Giorgio, Giovanni, Paolo e Orazio De Stefano per averne sposato la sorella)", posto ieri ai domiciliari nell'operazione Mammasantissima, "fosse la vera e propria sponda politica (almeno nella fase storica di cui egli può riferire) di Caridi in seno alla famiglia De Stefano". Gli inquirenti, inoltre, sottolineano che "Caridi, peraltro, conscio dei suoi legami aveva, in qualche modo, rimproverato Fiume dell'appoggio offerto a Giuseppe Scopelliti (in occasione delle elezioni regionali calabresi del 2002) che, a suo dire, lo aveva danneggiato".
"Il sen. Caridi - proseguono gli investigatori - era perfettamente consapevole del fatto che rivolgersi a Francesco Chirico per conseguire aiuto elettorale voleva dire rivolgersi alla 'ndrangheta di Archi. D'altronde, a fronte dell'impegno di Fiume per Scopelliti in occasione delle elezioni regionali del 2000, Caridi aveva conseguito uno straordinario risultato assieme al Domenico Crea (ex consigliere regionale del Ccd) nel territorio di Melito Porto Salvo". Gli investigatori registrano, peraltro, una conversazione di Giuseppe Pansera, genero del boss di Africo Giuseppe Morabito 'u tiradrittu', in cui riferisce ad un interlocutore di avere appreso che Caridi "...lo portano i Tegano e i De Stefano..". Per gli inquirenti l'intercettazione di Pansera, "attendibilissima voce dell'ex esponente apicale della cosca Morabito di Africo, Giuseppe Pansera, genero del Tiradritto", "conferma il dettagliato racconto del collaboratore Fiume”.
Lo Giudice: quella nuova commistione con massoneria
"La nuova 'Ndrangheta nasce dalla commistione tra la vecchia struttura criminale di tipo mafioso e la massoneria. In questa nuova organizzazione, la parte identificabile con la vecchia 'Ndrangheta è incaricata di gestire i rituali e di svolgere una funzione di parafulmine rispetto alla componente più importante e riservata, che attraverso i rapporti con ulteriori apparati massonici gestisce un enorme potere anche in campo politico ed economico". A parlare in questi termini è Nino Lo Giudice, boss divenuto collaboratore di giustizia, poi fuggito dalla località segreta dove era nascosto e tornato a collaborare con i magistrati della Dda di Reggio Calabria dopo essere stato riarrestato. Dichiarazioni recenti quelle di Lo Giudice, interrogato il 21 giugno scorso dal pm Giuseppe Lombardo e chiamato a confermare un memoriale del 2013 in cui descriveva il contesto masso-mafioso al quale era stato avvicinato dal boss Pasquale Condello, detto il "supremo", arrestato nel 2008 dopo una latitanza durata 18 anni che lo stesso Lo Giudice aveva agevolato.
Nel memoriale, confermato nell'interrogatorio del giugno scorso, Lo giudice fa i nomi di politici, imprenditori, avvocati, boss e colletti bianchi che sarebbero legati alla massoneria. "Preciso - ha aggiunto il collaboratore - che vi sono ancora molti nomi da inserire in tale società segreta: al fine di non disperdere le mie conoscenze ho iniziato a scrivere un nuovo memoriale che ho intenzione di consegnarle appena sarò riuscito a completarlo". "Voglio chiarire - ha detto Lo Giudice - che una parte di tale struttura massonica è particolarmente riservata: ovviamente è questa la parte che gestisce il potere reale. Gli appartenenti alla parte meno importante in realtà sono solo figure di facciata che si occupano di rituali senza avere grande peso decisionale".
A "confermare" le dichiarazioni di Lo Giudice, quelle di un altro collaboratore Cosimo Virgiglio, uomo di fiducia di Rocco Molè, reggente la cosca fino al suo omicidio, avvenuto il primo febbraio 2008, per il quale curva gli interessi nel porto di Gioia Tauro. Cosca Molè che era federata con i Piromalli. Di Vigiglio, Lo Giudice aveva scritto nel suo memoriale: "confidò che faceva parte a una società segreta chiamata massoneria e che era costituita da tre tronconi: una legalizzata - di cui facevano parte professionisti di alto livello come giudici - servizi segreti deviati - uomini dello stato. La seconda da politici - avvocati - commercialisti. La terza da criminali con poteri decisionali e uomini invisibili che rappresentavano il tribunale supremo che giudicavano la vita e la morte di ogni affiliato, tutti uniti in unica potenza incontrastata".
Una versione confermata da Virgiglio in un interrogatorio dell'aprile 2015. Interrogato il 14 giugno scorso Virgiglio ha confermato gran parte dei nomi fatti da Lo Giudice e che lui aveva già fatto in precedenza. E già in precedenza, nel 2011, un altro boss, Pantaleone Mancuso, capo dell'omonima cosca attiva nel vibonese, intercettato, disse: "La 'ndrangheta non esiste più! la 'ndrangheta fa parte della massoneria! è sotto della massoneria, però hanno le stesse regole e le stesse cose. Ora è rimasta la massoneria e quei quattro storti che ancora credono alla 'ndrangheta!. Il mondo cambia e bisogna cambiare tutte cose! Oggi la chiamiamo 'massoneria'. Domani la chiamiamo P4, P6, P9".
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